Confindustria chiede una banca pubblica

di Pasquale Cicalese per Marx21.it

confindustria sovietIl 20 maggio scopri che in Italia ci sono i sovietici; di ritorno dalla sede della Regione Calabria dove rendiconti spese comunitarie, accendi il pc, Vlad Ilic, come al solito, ti ha mandato la rassegna stampa finanziaria, non c’è granché, lasci perdere, vediamo cosa dice Confindustria. Molti documenti non li puoi leggere, sono riservati alle sedi territoriali, che ovviamente manco calcolano, non hai rapporti con la sede di Crotone, non ne vuoi avere, hai il ricordo dei miliardi truffati degli incentivi a fondo perduto donati a partire dal 1992, mille miliardi di lire in dieci anni solo a Crotone mangiati da commercialisti, professionisti e da quel che il proletariato crotonese ha definito “i prenditori”. Chissà perché da queste parti sbattono in galera manovalanza della ‘ndrangheta e gente che per campare vende e coltiva marjuana, mentre per gli altri vige l’impunità più assoluta. Ah, la maria! Se la legalizzassero…i terreni da queste parti li fittano a poche lire, sono abbandonati, i paesani sono emigrati in Germania, se fosse legalizzata in culo al lavoro salariato, alla disoccupazione, alla miseria e all’emigrazione.

Vuoi mettere la sensimiglia di Amsterdam con la “rossa” calabrese? Per non parlare di quella albanese, robaccia da schifo totale venduta a tonnellate negli anni novanta al nord a gente che si bruciava il cervello. Noi terroni calabresi abbiamo il “Brunello di Montalcino” della canapa indiana, ma se la coltiviamo ci schiaffano 8 anni di galera, l’alternativa è fornire braccia ai sanfedisti brianzoli, veronesi o bolognesi. Pensi a questo dopo aver letto domenica 19 maggio un autentico manifesto antiproibizionista del principe degli economisti di Confindustria, Fabrizio Galimberti. Che strano, Confindustria non la capisci più. Il giorno dopo, di ritorno da quello schifo di posto chiamato “Regione Calabria” ti imbatti nelle “Note CSC” titolo “Nuova finanza per le imprese: più capitale, più bond e strumenti innovativi per le PMI”, e righe finali votate alla richiesta di una banca pubblica di finanziamenti a medio lungo termine. Non c’è più religione, i “post-comunisti” avevano privatizzato tutto il sistema bancario italiano. Non c’è più religione: “maggiori risorse devono venire dal capitale proprio delle imprese, deve ripartire il percorso di rafforzamento patrimoniale”(pag. 3). Tradotto: cari associati, i patrimoni familiari bisogna destinarli alle aziende, i soldini li avete eccome, magari in Svizzera o a Singapore o in qualche fondo di investimento. Scordatevi le obbligazioni argentine, il mattone e le scatole cinesi, verrà tutto giù, stiamo lavorando per riportare il peso dell’industria dal 16,5% attuale al 21%. Non c’è niente da fare, è il ritorno del profitto industriale. Per questo serve capitale, che voi avete, le banche non vi daranno nulla, troppe sofferenze bancarie li avete lasciato, Caltagirone non vende una casa a Roma da un anno, Ligresti ha combinato quel che ha combinato e i patti di sindacato (vedi Rizzoli Corriere della Sera) sono alla sfascio: è finito un mondo. Il messaggio è indirizzato alle piccole imprese. Ma, ripeto, non c’è più religione. Andiamo alle medio-grandi: “il limitato sviluppo del mercato azionario è uno dei tradizionali fattori di ostacolo ad una maggiore patrimonializzazione delle imprese italiane”. Più o meno suona così: cari associati, un certo Marx e un certo Grossmann sostengono che una delle controtendenze alla caduta tendenziale del saggio di profitto è la quotazione azionaria. Sappiate che persino nella comunista Cina hanno intenzione di sviluppare un florido mercato finanziario alternativo a Londra e New York. Il mercato azionario in questo Paese è una roba ridicola, tolte le imprese di Stato privatizzate c’è ben poco, si quotano uno o due aziende l’anno, ce ne vorrebbero centinaia, se non migliaia. Cari associati, la roba può essere mantenuta anche tenendo il 70% del capitale, ma che il resto sia flottante borsistico, abbiamo messo i fondi previdenziali con la riforma Damiano apposta e come al solito non ne avete approfittato; risultato, il salario differito è andato all’estero e voi avete il credit crunch. Cari associati, sarebbe ora che vi svegliaste.

Andiamo avanti: “la ridotta dimensione delle imprese italiane in Italia, con maggior presenza di PMI rispetto ad altre economie avanzate, spiega in parte il minore accesso al mercato dei capitali. Un processo di crescita dimensionale può aiutare”. Per chi voglia intendere vuol dire: cari associati, sempre un certo Marx e un certo Grossmann sostengono che la concentrazione manifatturiera è una leva fondamentale, un’altra controtendenza alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Gli zombies che non reggono vadano a farsi fottere, verranno assorbiti da altri, così può ripartire il profitto industriale. Che c’è poi? “Private equity e mezzanine finance possono crescere rapidamente e divenire canali di finanziamento molto importanti per le PMI, anche se il loro contributo alla ricapitalizzazione del sistema delle imprese nel suo complesso resterà minore rispetto a quello dell’aumento del capitale ordinario”. Cari associati, in giro per il mondo c’è una liquidità pazzesca, volete soldi? Metteteci del vostro, i fondi sovrani seguiranno, aziende industriali interessanti il nostro Paese ne ha ancora, investitori interessati ci sono, ma vi dovete patrimonializzare. Cari associati, smettetela con il sanfedismo, insomma. Certo, vi diamo la riforma del lavoro e salari da fame, ma abbiamo scoperto che non è sufficiente, l’apporto di k per la produttività è necessario, per decenni pensavamo che non era così, ma la scala di produzione delle aziende cinesi ci ha fatto capire che ciò è fondamentale. Cari associati, da quelle parti non è più una faccenda di bassi salari, ma di produttività totale dei fattori produttivi, è amaro constatarlo, ma è così.

Non c’è più religione: a Viale dell’Astronomia ci sono marxisti, a Botteghe Oscure c’è il ciellino Matteo Renzi. Compagni, il centro studi di Confindustria è il nuovo soviet italiano.

Chicca finale: “un altro intervento essenziale è la creazione di strumenti adatti al finanziamento dei progetti di investimento delle piccole e medie imprese. Cassa Depositi e Prestiti può intervenire nella creazione di istituti, sul modello dell’originale Mediocredito e delle banche di credito fondiario, che facciano attività di raccolta e prestito a medio-lungo termine per le imprese con minore accesso ai mercati finanziari. Bisogna superare l’attuale modello di banca universale, tornando a una specializzazione tra banche per scadenza”. Compagni, queste frasi rivoluzionarie vogliono dire due cose: dateci banche pubbliche e ritorniamo alla legge bancaria del 1936 varata da Beneduce e Menichella. Il socialismo è risorto a Viale dell’Astronomia, a Botteghe Oscure ci sta il nipote di Letta. La schizofrenia del capitale descritta da Deleuze e Guattari trova il suo faro in questo documento.

Vogliono il Mediocredito.. e ti ricordi di quando andavi a Roma a trovare Vlad Ilic nelle sede del Mediocredito Centrale (allora ancora pubblica); ti dava la Relazione Finale della Banca d’Italia, un tomo di 400 pagine, dicendoti: “vedi un po’ che passa nella borghesia italiana”. Gli rispondevi: “non c’è più la borghesia in Italia, Cuccia è morto da poco, sono rimasti i sanfedisti”. Cuccia, il genio della finanza, guadagnava 300 milioni di lire l’anno, quanto guadagnano oggi un qualsiasi consulente o dirigente della fottuta Regione Calabria. Signs of the times, cantava Prince, il genio di Minneapolis. Signs of the times, Confindustria vuole banche pubbliche….Gli unici che lo hanno detto sono stati quei matti di Rivoluzione Civile con documenti economici curati da Vlad Ilic, ma gli italiani gli preferirono Vendola e il ciellino Matteo Renzi. Signs of the times…..

“Cari associati, dopo decenni non siamo più i portavoce dei sanfedisti, abbiamo scoperto di essere funzionari del capitale, seguiamo il capitale transnazionale e siamo diventati “sovietici”. Cari associati, è questa la nostra liberazione, è questa la nostra coscienza di classe. Il nostro centro studi è il nuovo “soviet italiano”, visto che i post comunisti sono diventati ciellini. Cari associati, la nostra è una lotta contro il sanfedismo, ce lo impone la legge del capitale, la loro svalorizzazione di capitale, soprattutto nella forma di rendita, equivale al nostro profitto industriale”. Signs of the times…

“A proposito, cari associati, come fece Stalin con l’industrializzazione di massa? Pare che abbia stroncato sottoproletariato mezzo arricchito e abbia centralmente pianificato. Cari associati, voi sanfedisti parlate di province, ma sapete quant’è il budget delle regioni alla voce sanità? Ve lo diciamo noi, 104 miliardi di euro. Bene, stronchiamo le regioni, e in culo alla Regione Calabria. Soluzione, riforma Titolo V della Costituzione, che quel sanfedista di Bassanini fece nel 2001. Cari associati, quanto si cresceva negli anni sessanta quando non c’erano le regioni e le banche erano pubbliche. Qualcuno parla di tutto ciò? Si dia il caso, cari associati, che il nostro quotidiano è stato l’unico a porre l’attenzione al programma di Rivoluzione Civile e che, a distanza di qualche mese, prendiamo spunti da loro. D’Alema? Meglio lasciar perdere. Berlusconi? Quel tipo di economia non ci ha mai capito un tubo, Bersani va ancora dietro ai sanfedisti, negli anni novanta sosteneva che non era necessaria una “politica industriale”; che ci volete fare, è un burocrate emiliano, da quelle parti, così come dal Veneto e dalla Lombardia, negli ultimi vent’anni hanno esportato idiozia. Noi stiamo a Roma, fianco a fianco la Banca d’Italia, lì c’è un napoletano che sostiene che il costo del lavoro è l’ultimo problema. I napoletani, prima ancora di studiare economia, studiano filosofia, brutta gente quella. Cari associati, dopo decenni, invece di comprarvi la coca, compratevi dei libri. Abbiamo scoperto che nel XXI° secolo la conoscenza è il driver della crescita”. Signs of the times…