Lo sbarramento della democrazia

parlamentodi Ruggero Giacomini per Marx21.it

E’ noto che l’attuale maggioranza del parlamento italiano deve in gran parte la propria investitura ad una legge elettorale porcata, tale riconosciuta dagli stessi promotori e in quanto tale dichiarata anticostituzionale e abrogata con sentenza della Corte costituzionale.

Nonostante ciò, o forse proprio per ciò, la stessa maggioranza ha  concepito un vero e proprio accanimento contro la Costituzione nata dalla Resistenza.

E’ stato appena respinto con il referendum un grave attacco distruttivo pilotato dal segretario del PD Renzi, e si poteva legittimamente sperare che si fosse aperta finalmente la via per l’attuazione dei principi costituzionali a partire dai diritti e dalla dignità del lavoro. E invece ecco che un nuovo attacco si profila su uno dei punti più sensibili della democrazia, quello della legge elettorale.

L’articolo 48 della Costituzione stabilisce che “il voto è personale ed eguale, libero e segreto”. Voto “eguale” significa di uguale peso,  cioè che concorre nella stessa proporzione alla rappresentanza, secondo la regola: una testa un voto.

Che cosa fa invece lo sbarramento, che si vuole introdurre al 5%? Rende nullo il  voto per tutti quegli elettori la cui preferenza vada alla forza politica che non supera la soglia di sbarramento. Priva cioè della legittima rappresentanza parlamentare tale forza, e distribuisce i seggi che  ad essa sarebbero spettati  tra le altre  forze politiche che hanno deciso lo sbarramento e che consumano in tal modo quella che in codice penale si chiamerebbe  “appropriazione indebita”. Cioè ottengono seggi senza voti. In altre parole un vero e proprio furto.

I promotori ed acquiescenti di questo sbarramento della democrazia non si preoccupano neanche di trovare per esso una giustificazione plausibile.

La governabilità?  Suvvia! Con la governabilità potrebbe forse giustificarsi una certa quota di maggioritario, ma lo sbarramento non vi ha nessunissima incidenza. Esso impedisce puramente e semplicemente la rappresentanza agli sbarrati, a maggior beneficio e gloria degli sbarratori.

Il “modello tedesco”. Chi non studia, si sa, tende a copiare.  Già i radicali volevano copiare il “modello anglosassone”. Tutti dimenticando che abbiamo una Costituzione che è italiana, frutto del sudore e dei sacrifici del popolo italiano, scaturita da una dura lotta di liberazione e un’insurrezione nazionale vittoriosa.

Come non è stato in Germania, nonostante i duri sacrifici e il grande prezzo di sangue pagato  dagli antifascisti e specialmente dai militanti e dirigenti del  partito comunista tedesco, il cui capo Thälmann fu anche lui assassinato dopo lunghi anni di prigione, come il nostro Gramsci.

Assumere il “modello tedesco” senza chiedersi come si è costruita la Repubblica federale di Germania che lo ha adottato, e cioè sotto l’egemonia degli Stati Uniti, lasciando nell’oblio la resistenza antinazista e recuperando la gran parte dei quadri dirigenti del nazismo, è subalternità alla potenza esterna egemone in Europa, dimenticanza della base antifascista della nostra Costituzione, puro servilismo.

Il partito comunista tedesco, nato dall’opposizione alla prima guerra mondiale con Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, bandito e perseguitato sotto il regime nazista,  fu messo fuori legge nella “democratica” Germania  nel 1956, militanti e simpatizzanti licenziati dagli uffici pubblici. E lo sbarramento nella legge elettorale aveva il preciso scopo di impedire che esso od eventuali altre forze di sinistra alternativa potessero conquistare una visibilità sgradita e disturbante.

La stessa minoranza di sinistra uscita dal partito socialdemocratico, pur con un leader di prestigio come Oscar Lafontaine, ha potuto superare lo sbarramento con la Linke solo perché dopo l’unificazione delle due Germanie c’è stato l’apporto della socialdemocrazia dell’est col suo robusto insediamento.

Come ogni organismo vivente, anche una forza politica nuova ha bisogno di tempo per crescere e rafforzarsi. Lo stesso partito comunista italiano, nato nel 1921 sull’onda della vittoria della grande Rivoluzione d’Ottobre, e che tanta parte ha avuto nella storia dell’Italia contemporanea,  riportò nelle elezioni del 1921 il 4,6% dei voti e nel 1924 il 3,7.  Ebbe allora rispettivamente 15 e 19 rappresentanti eletti, e Gramsci poté diventare deputato. Ciò che pure nell’80° della morte sinceramente o ipocritamente si ricorda.

Con una legge elettorale sbarratoria come quella che il parlamento  prodotto della “porcata” sembra voler plebiscitare, il PCI non avrebbe avuto alcun rappresentante.

Né il vecchio liberalismo né il fascismo avevano concepito una misura così manifestamente truffaldina per alterare il risultato del voto e impedire o quanto meno fortemente ostacolare il crescer e il rafforzarsi di una forza politica anticapitalista, organizzatrice e rappresentante  della classe proletaria.

Accettare supinamente o addirittura con entusiasmi gradassi una simile stortura è sintomo a sinistra di subalternità culturale e miopia politica. Lo sbarramento della rappresentanza al 5% degli elettori va definito per quello che è, e cioè un attacco che limita la democrazia, e come tale va contrastato e denunciato.