La riforma, la guerra e il “rischio Stranamore”

il dottor stranamore 1di Franco Bianco

da “Patria Indipendente“, Quindicinale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia

Il nuovo articolo 78 della Costituzione: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Sparito il Senato, decide la sola Camera eletta con la nuova legge elettorale che dà la maggioranza assoluta a una minoranza fedele al Presidente del Consiglio

Nella Costituzione vigente (quella approvata nel dicembre ’47 dall’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946) la guerra è regolata da due articoli: il primo, l’art. 78, recita «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari»; il secondo, l’art. 87 – che riguarda le attribuzioni del Presidente della Repubblica – recita al comma 9 che «[Il Presidente] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».

Nel progetto di revisione targato Renzi-Boschi i numeri degli articoli e dei commi restano immutati, salvo che all’espressione “le Camere” viene sostituita la sola “Camera dei deputati”. Leggiamo l’art. 78 nella sua interezza: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari».

Quindi una decisione così coinvolgente e devastante per il Paese intero – la guerra –, che competeva alle due Camere, viene ora attribuita alla sola Camera dei deputati, che delibera a maggioranza assoluta di entrare in una situazione che potrebbe risultare rovinosa per tutto il Paese e che trova una sanzione etico-politica fortissima nell’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…». Notiamo un particolare che ha un’importanza che si spiega da sola: le Camere di cui recita l’art. 78 della Costituzione “dei padri” erano elette con sistema elettorale proporzionale, sì che le loro decisioni rispettavano pienamente la più importante delle declamazioni della Costituzione, quella dell’art. 1, comma 2: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», poiché il sistema elettorale proporzionale garantiva la reale rappresentanza popolare, senza “forzature” di alcun tipo.

Ma questa formulazione dell’art. 78 (quello modificato) appare come un’altra mancanza di “coerenza interna” della proposta Renzi-Boschi. Infatti appare contradditorio (è stato uno degli argomenti dell’intervento del 6 settembre scorso) che al Senato, che «rappresenta le istituzioni territoriali» (art. 55 comma 4), si attribuisca poi il compito di esercitare la funzione legislativa «per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali» (oltre che per molte altre, secondo l’art. 70 comma 1, con le sue lunghe 193 parole), nonché quello della «ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» (art. 80) – questioni entrambe delle quali non si comprende il nesso con gli interessi precipui delle “istituzioni territoriali” –; appare poi una clamorosa “contraddizione nella contraddizione” che quel medesimo Senato non debba partecipare ad una decisione veramente “di vita e di morte” quale quella della “deliberazione dello stato di guerra”. Pare evidente che anche questo art. 78 rappresenti un “anello debole” – non l’unico, purtroppo – della riforma della Costituzione.

Fin qua si è all’interno del “dominio costituzionale“. Ma c’è di più, perché sullo sfondo c’è, preoccupante e pericoloso, il “contesto elettorale” – che non è parte della Costituzione, ma ad essa è intimamente connesso – della legge denominata Italicum o, se pure questa venisse modificata (molti, anche all’interno del Pd, ora “spingono” in quella direzione perché temono che il ballottaggio potrebbe consegnare la vittoria non al loro partito ma all’aborrito M5S), di una legge elettorale comunque ipermaggioritaria, tale che assegna un impropriamente definito “premio di maggioranza” (un dispositivo che un costituzionalista come Gianni Ferrara ha definito «falso nel nome, nel contenuto e negli effetti») ad una lista nettamente minoritaria (si può dire meno minoritaria, ma pur sempre minoritaria), trasformando così la minoranza politica in maggioranza numerica.

L’Italicum infatti (quello che conosciamo a tutt’oggi) come si sa attribuisce 340 seggi della Camera – pari al 54% dei 630 complessivi – alla lista che esce vincitrice dal ballottaggio, al quale accedono le due liste che prendono più voti al primo turno di votazioni, senza alcuna soglia di partecipazione minima di votanti né al primo turno né al ballottaggio (è giusto che si chiami “Italicum“: non c’è alcun altro Paese al mondo che adotti un sistema elettorale come questo. Ma non c’è da andar fieri di questa “unicità”). È del tutto evidente che in questo modo è sicuro che la maggioranza parlamentare assoluta venga assegnata ad un unico partito (è stato proprio questo, d’altronde, il fine dichiarato della legge) che rappresenta il 20% – o anche meno – degli elettori complessivi aventi diritto (come ad esempio il 30-35% dei consensi sul 50-60% dei votanti), con l’aggravante che quel partito è fortemente controllato – per i meccanismi di formazione delle liste prima ed elettorale poi – dal suo Capo. Che questa maggioranza assoluta così creata alla Camera, in realtà minoranza assoluta nel Paese, ed il Capo che la controlla, abbiano il diritto di decidere di portare il Paese alla guerra è un fatto che suona oltraggio alla logica prima ancora che alla democrazia, che viene deprivata del diritto di decidere sulla vita stessa dei cittadini con una maggioranza adeguata all’importanza del tema. Quantomeno si sarebbe dovuto alzare la soglia di decisione a due terzi della Camera dei deputati (una maggioranza qualificata) o, meglio ancora, fissare la condizione di una maggioranza qualificata delle due Camere in seduta comune: sia per rendere la decisione più inclusiva (e più difficile, perché no), sia per sottrarla alla potestà unica del partito che detiene, grazie al “premio”, la maggioranza assoluta.

Ciascuno di noi si può immaginare uno scenario (da incubo) nel quale sia arrivato al potere, per circostanze fortunose agevolate dalla “legge ipermaggioritaria”, un personaggio irresponsabile (quello che – ognuno a sua scelta – più disistima e detesta), che si troverebbe fra le mani un “giocattolo” mortale (la vecchia ma non dimenticata finzione cinematografica del “Dottor Stranamore” di Kubrick rischierebbe di trasformarsi in tragica realtà). Ciascuno di noi deve chiedersi: vogliamo davvero correre questo rischio, a prescindere da chi è oggi al Governo, ma in un futuro imprevedibile che non si può escludere? Potremmo mai perdonarcelo, se dovesse succedere? Una prospettiva del genere – nei tempi pericolosi ed ormai “stabilmente instabili” in cui viviamo, nei quali, purtroppo, la guerra è una possibilità tutt’altro che remota: gli ammonimenti di Papa Francesco, continui ed accorati, lo confermano – mette francamente i brividi: si devono assolutamente alzare le soglie di decisione e renderle più partecipate, non abbassarle e farle più ristrette.

Quell’anello costituzionale, da “debole” che già era, combinato con lo scenario elettorale diventa “debolissimo”, e rischia che nello spezzarsi ci faccia precipitare tutti in un gorgo: è un’altra delle ragioni di sostanza – e che sostanza! – per votare No.