Legge elettorale e norme anticostituzionali. Le motivazioni della Sentenza della Corte Costituzionale

di Ruggero Giacomini

mollette italiaLa Corte Costituzionale ha depositato e rese note il 13 gennaio con la sentenza n. 1/2014  le motivazioni della decisione del 4 dicembre scorso che ha dichiarato incostituzionali alcune norme della legge elettorale n. 270 del 2005,  il cosiddetto “Porcellum” Calderoli-Berlusconi. Norme che sono state perciò abrogate.  

La Corte Costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità dalla Corte di cassazione con ordinanza 17 maggio 2013, in seguito a un ricorso contro sentenza della Corte d’appello di Milano del 24 aprile 2012, con cui quest’ultima, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda con la quale un cittadino elettore “aveva chiesto che fosse accertato che il suo diritto di voto non aveva potuto e non può essere esercitato in coerenza con i principi costituzionali”.


Quel cittadino benemerito aveva convenuto in giudizio, dinanzi al tribunale di Milano, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno, adducendo che nelle elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all’entrata in vigore della legge n. 270/2005, e specificamente nelle elezioni del 2006 e del 2008, gli era stato precluso di esercitare il diritto di voto in modo «personale ed eguale, libero e segreto», come stabilito dall’art. 48, secondo comma, della Costituzione; ed «a suffragio universale e diretto» come pure stabilito dall’artt. 56, primo comma e 58, primo comma, della Costituzione. 

A differenza dei giudici di primo e secondo grado, la Cassazione aveva trovato non manifestamente infondate le ragioni del ricorrente e deciso perciò di interpellare la Corte Costituzionale, la quale convenendo ha dichiarato l’illegittimità costituzionale e conseguentemente abrogato le norme contestate, relative al premio di maggioranza alla Camera e al Senato e alla mancanza del voto di preferenza.

La Corte Costituzionale ha riconosciuto che le giustificazioni addotte per il premio di maggioranza, e cioè “garantire la stabilità del governo del Paese e rendere più rapido il processo decisionale”, configurano “un obiettivo costituzionalmente legittimo”, ma rileva  l’abnorme sproporzione tra l’obiettivo e il mezzo. Il premio infatti,  non legato ad alcuna “soglia minima” di voti, è stato tale da produrre “una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Costituzione”. 

Più precisamente “il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate”, risulta  “tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi”. Dunque:

Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello dellastabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente.”

Gli stessi  rilievi sono mossi al premio di maggioranza il  Senato, anch’esso di entità “manifestamente irragionevole” e tale che “comprime la rappresentatività dell’assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito (garantire la stabilità di governo e l’efficienza decisionale del sistema), incidendo anche sull’eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.”

L’abolizione del voto di preferenza e l’elezione dei candidati secondo l’ordine di lista ha privato poi l’elettore “di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti” ed inciso sulla stessa libertà di voto, ragion per cui con la sentenza la preferenza è stata ripristinata. 

La sentenza della Corte Costituzionale non ha aperto alcun vuoto giuridico e la Corte stessa lo chiarisce  molto bene:

La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione è «complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo», così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012).”

Dunque non c’è alcun ostacolo giuridico per andare a votare in qualunque momento, con la legge elettorale vigente, proporzionale e con voto di preferenza. L’affanno con cui i  capi partito borghesi, dopo essersi tenuti senza troppi scrupoli e con tanta ipocrisia il porcellum,  sostengono ora che bisogna cambiare in tutta fretta la legge elettorale, tradisce il loro disappunto e la volontà di ripristinare al più presto “premi” e  privilegi.

Il pronunciamento della Corte costituzionale, come è detto nelle motivazioni, non poteva “andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente,” cioè dalla Cassazione e non si pronuncia perciò sulla “previsione di soglie di sbarramento all’accesso” rilevando che i punti relativi non sono stati “censurati”. Si tratta di quella parte cioè della legge che priva di qualunque rappresentanza i cittadini elettori la cui forza politica non superi la soglia di sbarramento fissata al 4%. La sua incostituzionalità risulta però chiara da tutto il complesso delle motivazioni. Infatti un  contenimento “proporzionato” della rappresentanza di ciascuna forza politica può trovare giustificazione solo nell’obiettivo della “stabilità di governo” e dell’efficienza del sistema decisionale, rispetto a cui  la norma sbarratoria è del tutto ininfluente. Mentre provoca in concreto ciò che la Corte Costituzionale ha anche altre volte censurato, e cioè “in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”.

Lo sbarramento, che non era previsto neanche nella famigerata legge Acerbo del 1924 di mussoliniana memoria, non incide infatti sulla governabilità, ma sulla rappresentanza, tenendone fuori completamente una parte degli elettori. Il motivo della norma sbarratoria non è l’efficienza governativa, ma la compensazione degli interessi tra le oligarchie dominanti nel sistema rovinoso della seconda repubblica. Infatti mentre il premio di maggioranza arricchisce di seggi  la coalizione o forza politica maggiore, a quelli che seguono è attribuito il “ premio di consolazione” dei seggi sottratti d’autorità alle forze politiche sbarrate. Così si stabilisce una connivenza di interessi tra le oligarchie attorno alla legge elettorale truffaldina, trovando ciascuna la propria convenienza e compensazione. E non solo “il peso” del voto risulta disuguale,  ma ad una parte di cittadini è reso uguale a zero. Cosa che è puntualmente accaduta nelle elezioni dal 2008 e che l’affannosa corsa a una nuova legge elettorale premiale dei capi oligarchi  pare voglia assolutamente mantenere. In continuità di spregio della Costituzione.