Legge elettorale: democrazia oligarchica e mito della governabilità

di Anna Migliaccio, Comitato regionale PdCI Lombardia

napolitano-w300Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione

Con il procedere della senilità, il nostro Presidente della Repubblica, che un tempo fu un militante del più laico e democratico – popolare dei Partiti politici, il PCI, pare vieppiù andarsi affezionando ad un modello platonico, spiritualista, aristocraticamente oligarchico delle istituzioni repubblicane. 

Non sappiamo se l’origine di questa conversione va fatta risalire ai tempi del viaggio in America, e se cela calcolo, machiavellica astuzia, dissimulato disegno.

Se insomma il platonismo delle sue esternazioni sia abile affabulazione da dare in pasto al popolo chiuso in un antro oscuro di disinformazione, come l’uomo platonico del “mito della caverna”. 


Non ci ha forse propinato l’aberrazione del Gran consiglio dei Saggi? 

Negli ultimi giorni non fa che ripetere che il Paese ha bisogno di governabilità, stabilità, che occorre combattere l’endemica fragilità dei governi.

Di cosa è preoccupato? Della prossima legge elettorale, di entrare d’imperio nel gioco delle trattative in corso. 


La medicina all’endemica fragilità dei governi sarebbe il sistema elettorale maggioritario, il bipolarismo, la democrazia dell’alternanza. Quel mito della governabilità che ha scomodato Prodi dal pur comprensibile Aventino e lo ha spinto nuovamente nell’agone delle Primarie.

Re Giorgio, come lo celiano Grillo e Berlusconi, si è dunque incancrenito irrimediabilmente nell’allergia platonica alla democrazia, sinonimo di caos e di ingovernabilità. 

Grillo, Berlusconi, e Renzi fanno prove di dialogo per sistemare subito la legge elettorale. Come se fosse davvero la priorità del Paese invece che esserlo un intervento serio e consistente dello Stato, che si rimettesse a far l’imprenditore facendo ripartire occupazione, produzione, consumi e assestando così un duro colpo a quell’endemica tendenza all’eversione che dal dopo guerra ad oggi ci ha condotti più volta ad un passo dall’abisso di un colpo di mano, senza che ne sapessimo nulla. 

Il Presidente si preoccupa di scongiurare l’imminenza di elezioni, e nel contempo di garantire che l’esito dell’ennesima riforma elettorale sia quello sperato.

Cioè che non si getti via il giocattolo rotto del maggioritario bipolare. 

Le forze politiche sono al lavoro su due ipotesi, dal Sindaco d’Italia al ritorno al Mattarellum epurato della quota proporzionale, il tutto (e nessun giornale lo scrive) per rifare un giocattolo più letale alla democrazia rappresentativa di quello che la Corte costituzionale ha rotto con la sua sentenza.

Comunque si accordino partoriranno un ossimoro: una democrazia oligarchica, evidentemente in contrasto con quella disegnata dalla Costituzione.

Condurre una battaglia politica su questo tema significa uscire dalla caverna. Vedere le cose come stanno. Togliersi il velo dagli occhi. 

A parere di chi scrive, non è mai esistito nessun sistema politico al mondo che abbia garantito la governabilità e la stabilità. Non esiste, neppure nel mondo platonico delle Idee, e nessuno potrebbe inventarlo.

Neppure le monarchie assolute, le dittature, i sistemi totalitari hanno mai garantito veramente la governabilità. 

E’ chiaro che il fine che ci si propone di raggiungere è altro e va chiamato con il vero nome. 

A Firenze, nella patria di Renzi, tra Medio Evo e Rinascimento il governo delle oligarchie, saldamente in pugno ad un gruppo ristretto di ricchi, ci ha offerto uno dei massimi esempi di instabilità politica della storia patria, contrastato qua è là da interessi corporativi, tra moti dei Ciompi e congiura de’ Pazzi. 

I sistemi più autoritari o totalitari non garantiscono affatto la governabilità più di quanto ci riescano le democrazie confusionarie, soprattutto nelle epoche di recessione economica: la scelta, semmai, è tra una gestione del conflitto di classe e dei conflitti economici che sia palese oppure oscura, evidente o nascosta. 

La prima scelta, portare i conflitti alla luce del sole, è sempre preferibile alla seconda, che per contro è foriera di un’endemica tendenza al complotto, ad un perseverante esercizio delle arti oscure, alla perdurante tendenza all’eversione, palese o nascosta. 

La storia della così detta seconda Repubblica è stata costellata di endemiche fragilità basate sull’improvviso colpo di testa di qualche pazzo. Ma che cosa ci si dovrebbe aspettare quando un sistema attutisce diversità e conflitti, autentiche radici culturali differenti e sane battaglie d’idee con il collante artificioso di innaturali alleanze, di comitati elettorali, di false e forzate polarizzazioni? 

E’ proprio il sistema maggioritario a generare la fragilità degli esecutivi e l’ingovernabilità. I fatti ce lo dicono in maniera evidente.

Il mito della governabilità attraverso la democrazia dell’alternanza disegna un sistema unipolare, non bipolare ma bifronte. Un’oligarchia, democratizzata nell’apparenza da un passaggio elettorale tecnico i cui esiti sono de facto irrilevanti. Questo sistema non garantisce affatto né stabilità né governabilità. La storia più recente, quella della così detta “seconda Repubblica”, ci ha mostrato come sia proprio questo sistema ad essere endemicamente soggetto all’alternanza con il metodo della congiura di palazzo, proprio come accadeva nei sistemi oligarchici dell’antichità.

Abbiamo assistito a compravendite di senatori, salti della quaglia, governi di “responsabili” e governo del senatore a vita (stato d’eccezione del dittatore romano?), alle larghe intese che poi si son ristrette. 

Quanto assai più rassicurante era la stabilità mutevole della prima Repubblica, quando la possibilità di ricomporre i conflitti in Parlamento trovando una nuova maggioranza, garantiva l’economicità di gestire la fragilità dei governi senza dover ricorrere a nuove e costose elezioni!

Noi comunisti la responsabilità di una proposta seria dobbiamo prendercela: mi permetto di avanzarne una, ovviamente coi limiti dell’opinione personale.

Si potrebbe effettivamente semplificare il sistema, eliminando il Senato, sede strategica della porcata di Calderoli, così da raggiungere insieme due obiettivi. Accelerare il processo di produzione delle leggi ed assestare finalmente un duro colpo a quel corporativismo campanilista di origine medievale, a quello spirito neo guelfo e ghibellino, a quel lobbismo primordiale da Ciompi che ancora informa di sé il processo di formazione della classe politica italiana. La Camera così riformata, cioè il Parlamento monocamerale, dovrebbe a quel punto essere eletta in maniera rigorosamente proporzionale, e senza sbarramenti. Occorre combattere, sempre nello spirito della Costituzione, la confusione di ruoli tra Parlamento ed Esecutivo, ed evitare che la produzione normativa avvenga a suon di Decreti frettolosi quanto plurigemini nelle materie trattate, parti deformi e ciechi come quello che ha generato l’aberrazione degli esodati, spesso forieri di antinomie irresolubili, (il contrasto palese con Leggi dello stato tuttavia vigenti) come il recente Decreto del fare, buoni al più per l’esercizio interpretativo della giurisprudenza e della dottrina. 

Buoni cioè solo a gonfiar le parcelle per la corporazione dei Ciompi del diritto.

Pur consci che allo stato dell’arte (occorrerebbero anni per radicare nuovamente nel Paese partiti politici di spessore, capaci di allevare un vivaio di veri statisti) una cosa del genere non risolve tutti i problemi e meno che meno i nostri: non ci esime dallo sciogliere i nodi strategici sulla necessità di costruire, con spirito togliattiano, un’alleanza democratica di vasto respiro, necessaria alla vera stabilità delle nostre istituzioni, conquistate a fatica, endemicamente soggette agli attacchi eversivi di un’endemica destra fascista, che nel nostro Paese non è mai stata veramente sconfitta, che al massimo in certe fasi storiche scompare dalla scena, mentre cova sotto la cenere, pronta a riemergere in maniera feroce.