Soumaila ucciso da sfruttamento e razzismo

soumaila cartellidi Carmine Tomeo
da lacittafutura.it

Nella sua lotta per l’emancipazione dalle condizioni di sfruttamento, Soumaila ha incontrato la violenza e l’odio allevati con la propaganda razzista e l’istigazione all’abuso della legittima difesa.

È stato ammazzato un uomo. Un lavoratore ridotto in schiavitù. Un uomo povero costretto a vivere in una tendopoli. È stato ammazzato mentre aiutava altri uomini come lui, lavoratori come lui ridotti come lui in schiavitù, a recuperare lamiere per migliorare le baracche dove vivono, ai margini delle campagne calabresi. È stato ammazzato un immigrato che aveva scelto la lotta sindacale e di classe con l’Usb. Ora che è stato ammazzato conosciamo anche il suo volto ed il suo nome: SoumailaSacko, maliano di 29 anni, ucciso da sfruttamento e razzismo.

Soumaila non stava rubando, come subito dopo la sua morte era stato frettolosamente affermato. Invece, il giovane maliano raccoglieva lamiere nell’area di una fabbrica abbandonata, la fornace Tranquilla di San Calogero, posta sotto sequestro da anni perché sotto i suoi terreni sarebbero depositati qualcosa come 130 mila tonnellate di rifiuti tossici industriali sui quali aleggia l’ombra della ndrangheta. L’uomo fermato nei giorni scorsi per l’omicidio di Soumaila, avrebbe sparato da circa 70 metri, colpendo alla testa il sindacalista e provocando il ferimento di due suoi compagni. Per gli inquirenti sarebbe da escludere il “movente xenofobo”, in quanto l’assassino avrebbe agito per “vendetta” contro quelli che riteneva furti dentro la sua proprietà.

Ma l’accertamento freddo dei fatti non può escludere il clima d’odio, di razzismo e di prevaricazione che pervade la società italiana. Solo poche ore dopo l’omicidio di Soumaila, il presidente del consiglio Conte pronunciava il suo discorso per la fiducia al Senato. L’ennesima occasione per le forze xenofobe di questo Paese, ma questa volta direttamente dai banchi di governo, per porre l’accento su lotta all’immigrazione e potenziamento della legittima difesa e per portare (neanche troppo implicitamente) un attacco contro chi lavora per il salvataggio in mare dei migranti. Un pericoloso concentrato di populismo, aggressività e razzismo latente, che continua ad alimentare il razzismo viscerale ed il barbaro ed ossimorico senso di solidarietà quando si uccide per difendere la proprietà privata. Così, il ricordo di Soumaila in Parlamento è apparso un calcolato passaggio formale. Ma soprattutto, grottesca e patetica è apparsa la precisazione di Conte che questo non sarà un governo razzista. Una precisazione che nel 2018, 68 anni dopo la dichiarazione Unesco della non esistenza delle razze, dovrebbe essere inutile pleonastica, ridondante.

D’altronde, è sotto la spinta della violenta retorica xenofoba e classista che si è prodotto in Italia uno stato di diritto diseguale, dove lo straniero, per il solo fatto di essere tale, è sottoposto ad un diritto penale più opprimente. Basti pensare che per chi è extracomunitario è stata rimossa la presunzione di non colpevolezza: è sufficiente essere “considerato una minaccia per l’ordine pubblico” per impedire l’ingresso sul territorio italiano. È sulla base di questa presunta minaccia che al loro arrivo gli immigrati vengono sottoposti al regime delle strutture per l’identificazione e l’espulsione, privandoli delle loro libertà. Una misura che dovrebbe costituire l’extrema ratio per chiunque, ma che per un immigrato povero è la normale soluzione.

Jerry Masslo, rifugiato sudafricano ucciso a Villa Literno il 25 agosto 1989, aveva fondati motivi, circa trent’anni fa, per dire che Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”.

Jerry Masslo incontrò la morte per mano violenta e razzista mentre dormiva nei casolari di campagna dove viveva con altri immigrati in condizioni estremamente precarie. Come Soumaila ed i suoi compagni quasi trent’anni dopo. E come già avveniva più di mezzo secolo fa, quando nonostante i Trattati di Roma e la cosiddetta libera circolazione, erano ancora “vigenti, in Germania, per i lavoratori immigrati, i ‘contratti annuali’, le indegne speculazioni delle ‘ditte ombra’ e dei singoli agenti di reclutamento che sottraggono agli immigrati una parte del loro salario, le baracche circondate dal filo spinato, le guardie ai cancelli dei ‘lager’”.

La denuncia, del 1970, è del combattente partigiano e militante comunista Paolo Cinanni, a dimostrazione che con i Cie non è stato inventato niente di nuovo. Come non sono nuove le baraccopoli e le tendopoli di oggi dove Soumaila viveva, né la necessità di trovare un riscatto alle degradanti condizioni di vita se ancora Cinanni, quasi 50 anni fa, mostrava come, nonostante i trattati, rimanessero in vigore “le vecchie legislazioni del lavoro, con le disparità di trattamento e le vecchie discriminazioni nei confronti degli immigrati”. Se allora come oggi, agli immigrati è limitata la libertà. Se ancora oggi Salvini, nonostante il ruolo di ministro, si affanna a dire che è finita la pacchia per gli immigrati e che è ora di dire basta basta a “gente a spasso”, a migranti in giro per le strade “che non si sa cosa fanno o fanno casino”, mentre Cinannni, decenni prima già denunciava che l’unica libera circolazione concessa agli immigrati è “di circolare liberamente da un cantiere all’altro, da un paese all’altro, per potersi trovare sul posto, a disposizione del padrone, nel momento in cui egli può averne bisogno”.

La questione di fondo, oggi come allora, è che il razzismo è istituzionalizzato ed è strumento di gestione del mercato del lavoro. Gli immigrati vanno bene se restano confinati nelle loro baraccopoli, a disposizione quando servono; se quei bassifondi sociali restano un osceno mercato di braccia; fino a quando le periferie piene baracche e tende dove vivono a centinaia costituiscono un magazzino di forza lavoro a disposizione dei caporali.

Soumaila lottava contro questa condizione di sfruttamento. Poco importa, ai fini delle reali cause sociali della sua morte, se da un punto di vista giudiziario l’omicidio abbia avuto un movente xenofobo o meno. Soumaila, lavoratore e immigrato, è stato ucciso nella lotta per l’emancipazione sua e dei suoi compagni dalla condizione di sfruttamento e riduzione in schiavitù. Una lotta che avveniva con la militanza nel sindacato di classe e conflittuale come nei piccoli gesti di aiuto a migliorare il tetto di una baracca recuperando lamiere in una fabbrica abbandonata. In questa sua lotta ha incontrato la violenza e l’odio allevati con la propaganda razzista, con l’incitazione alla guerra tra poveri, con la sete di giustizia privata, con l’istigazione all’abuso della legittima difesa.

Soumaila, lottando per la giustizia sociale e per eliminare le disparità di condizioni di lavoro e di vita, lottava contro la concorrenza imposta dal padronato tra italiani e immigrati. Soumaila ha trovato la morte nella lotta quotidiana per l’emancipazione dalle miserabili condizioni prodotte dallo sviluppodiseguale, che il razzismo impedisce di vedere. Perciò possiamo dire che Soumaila è morto per mano di un cecchino la cui mano è stata armata dal razzismo e dallo sfruttamento.