Emergenza sanitaria e crisi economica: intervista a Marco Rizzo (PC)

rizzoIntervista per Marx21.it al Segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo. 

A cura di Francesco Fustaneo e Alessandro Pascale

– Segretario Rizzo, è lecito dire che i paesi socialisti abbiano saputo affrontare meglio la gestione della pandemia rispetto ai paesi occidentali? Da cosa dipende tale fenomeno?

Io direi non solo che è lecito dirlo, ma che doveroso, che è sotto gli occhi di tutti.

Partiamo ad esempio da quella piccola isola popolata da 11 milioni di abitanti che è Cuba.

Cosa ci insegna? Che le crisi sanitarie si combattono con la capacità, la determinazione e l’esperienza e la scienza degli uomini. Se la sanità è un affare, i disastri sono assicurati; se la sanità è uno strumento pubblico e collettivo per aiutare gli uomini e le donne che soffrono, il successo è assicurato. I medici cubani e le loro brigate questo lo fanno sempre, da sempre, per tutti quelli che accettano il loro aiuto disinteressato e gratuito. Cosa differenzia Cuba? Una sola parola, il socialismo. E quindi in particolare un sistema sanitario che è indirizzato a far star bene i suoi cittadini e non male, in cui nessuno guadagna sulle cure e quindi si devono cercare di prevenire il più possibile. In cui c’è la rete più diffusa di sanità sul territorio, medicina di prossimità che si sarebbe dimostrata utilissima anche da noi, non la avessimo distrutta in questi ultimi trent’anni.

E l’Europa come ha ripagato da decenni quest’isola? Col blocco più immorale, illegale, barbaro della storia. Sarà utile che il popolo italiano se lo ricordi, passata l’emergenza. Obiettivamente poi ha fatto un certo effetto nella nostra opinione pubblica vedere gli americani che ci “sottraevano” tamponi e strutture per la rianimazione, l’Unione Europea “matrigna” e distante, mentre arrivavano medici e aiuti da Cuba, Vietnam, Cina, Russia e Albania…

– La crisi in atto rafforzerà o indebolirà il sistema capitalistico affermato nel mondo occidentale?

Ci sono rischi per la tenuta delle democrazie liberali?

Devo rispondere a questa domanda in modo duplice, con l’ottimismo della volontà e con il pessimismo della ragione. Intanto – nel dramma – esiste un dato incoraggiante ed oggettivo: nel senso comune e collettivo viene avanti la percezione che, di fronte a grandi emergenze come questa, esiste una sorta di “superiorità” delle società organizzate collettivamente rispetto a quelle, capitaliste, badate solo sul profitto.

La volontà e l’azione che il nostro partito persegue è quella di indirizzare la giusta rabbia che sta montando nella società verso una critica alle sue basi, finalizzata sempre di più verso un ribaltamento su cui essa è costruita. Una critica che si svincoli dalle false soluzioni che restano tutte interne alla compatibilità capitalistica e filoeuropeista e che guardi all’unica prospettiva che può sostituire questa società e suoi meccanismi economici: il socialismo.

L’azione è quella di unire e dare forza alle lotte operaie nei luoghi di lavoro, che ricostituisca l’unità dei lavoratori, che è stata smembrata sia dall’atomizzazione del lavoro perseguita dai nuovi sistemi produttivi, sia dalla nefasta attività dei sindacati concertativi che hanno introiettato in tutto e per tutto le logiche padronali. Unire anche i lavoratori autonomi in una prospettiva di nuovo blocco sociale, evidenziando che il loro alleato è il proletariato e non il capitalismo globalizzato che li prende per la gola, che la prospettiva è una direzione dello stato centralizzata che garantisca lavoro e benessere a tutti.

Il pessimismo della ragione però mi fa vedere che del residuo di diritti che le “democrazie” liberali ancora concedevano ai lavoratori resterà ben poco. Già i diritti e le condizioni di lavoro erano sotto attacco da decenni. L’emergenza sarà il passaggio col quale si archivierà – o si tenterà di archiviare – quello che ne resta.

La crisi economica non l’ha fatta scoppiare la pandemia. C’era da prima ed è connaturata al sistema capitalistico, oggi la situazione – col Covid19 – è solo peggiorato rispetto al prima. Il capitalismo ha sempre “superato” le crisi con le guerre. Questa è una guerra senza bombe, ma con effetti altrettanto gravi. La direzione del capitale è: concentrazione monopolistica, distruzione della concorrenza dei più piccoli, indebitamento ancora più grande delle nazioni e loro sottomissione alla finanza, estromissione definitiva della mediazione politica come l’abbiamo conosciuta nel secolo scorso.

Le “democrazie liberali” non avranno grandi prospettive di tenuta. Potremmo anche assistere a regimi caratterizzati da tratti sempre più autoritari, ma formalmente sempre sulla stessa base.

– Guardando al nostro paese, qual è stato il ruolo giocato da Confindustria?

È giusto dare soldi pubblici a fondo perduto alle aziende?

Cosa sono le aziende? Le grandi aziende, come le case automobilistiche già li pretendono e li avranno. Il caso vergognoso della FCA è sotto gli occhi di tutti: dividendi miliardari non tassati, sede legale e fiscale all’estero e richiesta corposa di ben 6.3 miliardi di Euro. Le piccole aziende – che io chiamo le piccole attività produttive, proprio perché sono di singoli lavoratori autonomi – riceveranno solo le prese in giro a cui stiamo assistendo in queste settimane.

Inoltre è del tutto negativo che questi soldi vengano dati aumentando il debito dello Stato. Non è vero che gli strumenti europei non hanno condizionalità. Ma anche se arrivassero a bassissimo tasso, esporrebbero negativamente il debito pubblico non tanto per quanto riguarda i nuovi debiti, ma soprattutto per quanto riguarda gli interessi sui vecchi, che sono la vera montagna.

A questo proposito diventa quindi del tutto indispensabile rompere i trattati europei che strozzeranno sempre di più i popoli.

– Si può dire che il Sud sia stato ulteriormente penalizzato dai provvedimenti presi dal governo?

Questo governo ha costruito uno ‘specchietto per le allodole’ creando un Ministero per il Sud. Si sta dimostrando quello che non poteva che essere, un’altra presa in giro voluta da questo governo “PD – 5 stelle”. Se già la situazione economica e sociale del sud Italia era disastrosa, con differenziali di crescita sempre più accentuati, oggi siamo al disastro. Le attività produttive che maggiormente stavano decollando nel sud erano quelle legate al turismo. Noi non abbiamo mai creduto che intere regioni possano basarsi sul turismo, è un controsenso persino fisico, ma tuttavia un sollievo alla crisi il turismo può darlo, soprattutto in luoghi in cui per promuoverlo basterebbe non devastare il territorio e preservare i beni storici. Ebbene, la crisi innescata dalla pandemia e che si ripercuoterà per più tempo si abbatterà soprattutto sul turismo. Le grandi catene ne usciranno bene, perché hanno il fiato per sopravvivere e soprattutto avranno i capitali freschi dati dallo stato, i piccoli saranno spazzati via. Questo significa non solo perdita di attività, ma disastro anche per chi si era indebitato per mettere su con grandi sacrifici un b&b o una piccola trattoria. Ma tutte le attività del sud verranno colpite, dalla campagna ai trasporti, dalla piccola manifattura al commercio. Verranno gli sciacalli del grande capitale e si compreranno il tutto a pressi da saldo.

Nelle grandi città del sud (e non solo) ci sono file interminabili ai banchi pegno dove gente, anche abbiente all’apparenza, per mangiare va a impegnarsi quel poco che ha. Roba appunto da tempo di guerra! Se è questo quello che si vede, immaginiamo cosa c’è nascosto nelle case della borghesia mafiosa e come questa sta aumentando la propria presa sul territorio. La risposta dello stato è desolante. Neanche i pacchi viveri sono riusciti ad assicurare con continuità. E la risposta qual è? Polizia e botte, come al solito.

Mi sia consentito di citare un caso limite ma emblematico. Quello di Lampedusa. Una situazione in cui i cittadini vengono messi davanti al ricatto di uno Stato che lascia i profughi per giorni sulla banchina del molo, mentre l’isola è militarizzata. In cui manca persino l’ospedale. I grandi alberghi si piegano alla proposta di trasformare le proprie strutture in accoglienza, imprimendo a tutta l’isola uno stigma che non si cancellerà più. Il turismo a Lampedusa così non ripartirà mai più. Qual è l’alternativa che resta ai giovani di Lampedusa e di tutto il sud? Emigrare e basta.

– Quali sono le strategie che intende mettere in campo il Partito Comunista nel prossimo futuro? Esiste un “programma minimo” comunista per la fase in corso?

Il nostro partito ha elaborato un programma di emergenza che abbiamo recentemente reso pubblico, basato sul sostegno immediato a chi ne ha bisogno per la spesa, le bollette, l’affitto; cassa integrazione immediata a salario pieno per chi ha perso il lavoro; sostegno a fondo perduto alle piccole attività. È tutto il contrario di ciò che questo governo sta facendo nella realtà e non nelle parole.

Ma desidero anche sottolineare che il nostro programma di emergenza differisce totalmente dai programmi di altre forze politiche, non solo ovviamente della destra cosiddetta “sovranista”, ma anche delle forze della sinistra collaterali al PD.

Noi, come ho già detto, siamo per rompere i trattati e tutte le alleanze imperialiste che ci vincolano. Queste alleanze favoriscono solo i grandi monopoli europei e sono a danno dei popoli e dei lavoratori. Questo è sotto gli occhi di tutti, ma la soluzione non è un’uscita “a destra” o un’uscita “a metà”. Mi spiego meglio.

La destra sovranista – che tra l’altro quando era al governo ha votato tutto quello che l’Europe voleva – non dice più “rompiamo i trattati”, ma “trattiamo”. “Sovranisti di cartone” li abbiamo definiti per far capire al maggior numero di persone un concetto semplice. Cercano di incarnare gli interessi di una certa parte della borghesia che non vuole uscire dall’Europa, dentro la quale ha fatto e fa i propri profitti, ma che ora non vuole essere lasciata indietro.

La sinistra che finisce per aggregarsi al carro del PD cerca di “riformare” Ma ciò non è proprio possibile i trattati non sono riformabili e quindi smascherano la loro incapacità di imporre una prospettiva di classe davvero rivoluzionaria, nei fatti e non a parole.