Trump-Putin è una chance per l’Italia

putin trump poll featuredi Giampiero Massolo
la Stampa, 23 luglio 2018

Questo articolo apparso il 23 luglio su ‘la stampa’ è interessante per due motivi. Innanzitutto perché propone una nuova fase nei rapporti internazionali del nostro paese e successivamente perché è stato scritto da Giampiero Massolo, che rappresenta un pensiero diffuso in parte della diplomazia italiana. L’Italia è stata una fedele sostenitrice dell’alleanza atlantica ma, pur collocandosi in quel campo, ha sempre tentato di esercitare una propria autonomia in politica estera (vicinanza al mondo arabo, dialogo ad est, ecc…), anche durante i governo della cosiddetta prima Repubblica. Moro e Mattei sono state espressioni di questa politica. Negli ultimi anni queste posizioni si sono indebolite a favore di un sostegno più spinto agli Stati Uniti, anche quando questo appoggio configgeva con gli interessi italiani.

Quanto può contare l’Italia sulla scena internazionale? L’ambizione di far valere anche con toni inediti le nostre esigenze, di enfatizzare gli interessi nazionali è sicuramente legittima. Lo è sui tavoli europei, sul piano dei flussi migratori, come il Governo ha già iniziato a fare, e su quello della crescita economica e sociale, come prevedibilmente farà in autunno con la legge di bilancio e il riavvio dei negoziati su prospettive finanziarie e governance dell’eurozona. Lo è nel più ampio contesto internazionale, dove la crisi delle istituzioni multilaterali sembra offrire agli Stati nazionali maggiori possibilità di manovra e di schieramento.

Per soffermarci su quest’ambito più vasto, non sono mancati finora, nel contratto di Governo come in dichiarazioni anche recenti in parlamento e alla stampa internazionale, ad esempio da parte di Matteo Salvini al «Washington Post», accenti innovativi e non irragionevoli sulla nostra collocazione e segnatamente sui rapporti con Mosca e con Washington.

Intendiamoci, il desiderio di fare da sé al di fuori dei canoni tradizionali, la tentazione del free riding come si dice, non sono nuovi per l’Italia. Ci sentiamo, in fondo, a tratti un po’ costretti, se chiamati ad adempiere ai vincoli di alleanza, che comunque onoriamo con puntualità e pienezza; percepiamo sempre come un po’ prevaricanti, spesso non a torto peraltro, i rapporti con partners europei anche assai vicini a noi, ma molto concorrenziali nel perseguimento dei rispettivi interessi.

Il nostro rapporto con la Russia ne ha sempre fornito una rappresentazione paradigmatica. Non è nuova una certa simpatia e comprensione per le ragioni di Mosca, basata su ragioni storiche e culturali, su rapporti commerciali e energetici tradizionali, sul pragmatico riconoscimento del ruolo russo nelle principali crisi internazionali e, in ultima analisi, della sua stessa collocazione geopolitica. In certa misura conseguenziali sono dunque stati i nostri ricorrenti tentativi di evitare una divaricazione eccessiva tra Mosca e Washington – lesiva dei nostri spazi – e di cui gli accordi di Pratica di Mare del 2002, con la Russia sulla soglia della Nato, rappresentarono l’espressione più compiuta e di successo.

Ma questa volta qualcosa di diverso potrebbe esserci davvero: una forma più organica e politicamente impegnativa del nostro disegno, che porterebbe, a quanto è dato comprendere, a perseguire la normalizzazione con la Russia sostanzialmente a titolo nazionale, anche al di fuori del coordinamento atlantico e del consenso europeo, che da parte italiana si potrebbe anzi provare a bloccare unilateralmente. Allo stesso tempo, cercando sponde fruttuose alla Casa Bianca. Una linea di politica estera in definitiva non del tutto scevra dal consueto, ma portata avanti dal Governo in modo più concludente e originale.

Certo, l’avvento della presidenza Trump e lo sconvolgimento del quadro tradizionale delle alleanze transatlantiche, l’atlantismo à la carte, basato su cointeressenze definite volta per volta e sulla responsabilizzazione dei Paesi in quanto tali senza schermi multilaterali, può giustificare e incoraggiare una simile tendenza. Lo spirito del tempo, si potrebbe dire e dunque può valere la pena di assecondarlo.

Non senza qualche accortezza, tuttavia. Pur in epoca di revival degli Stati nazione, anzitutto, chi non dispone individualmente di potenziali militari significativi e di ampi mercati interni ha bisogno più di altri di cercare sia pure occasionali ma utili compagni di viaggio. E senza perdere l’Europa per strada. Non è detto difatti che i partners si trovino necessariamente solo al di là dell’Atlantico, dove il moto d’istinto di un Presidente verso Putin incontra più di un bilanciamento nell’Amministrazione e nel Congresso. Proprio il ruolo e le responsabilità crescenti dei singoli Stati, inoltre, corroborano la necessità di un loro significativo rafforzamento sia come efficienza dei sistemi istituzionali e del coordinamento delle politiche di sicurezza, sia come efficacia dei sistemi Paese nel loro complesso. Mettersi in gioco con le proprie posizioni implica, infine, attitudine ad assumere e mantenere impegni anche talvolta scomodi o poco comprensibili per l’opinione pubblica, ma che conferiscono autorevolezza e credibilità. L’Italia avrebbe bisogno di tutto questo.

Si tratta insomma, se politica estera vogliamo fare, di dotarci rapidamente di una visione complessiva che aiuti a tenere insieme i vari dossier, di una base operativa solida che li faccia perseguire con autorevolezza, di un’opinione pubblica che sia preparata e consapevole per sostenere le forze politiche. Solo da un disegno complessivo possono scaturire iniziative sostenibili.