Sull’alleanza giallo-verde

lega m5s apedi Francesco Galofaro per Marx21.it

Lo stimolante contributo del compagno Francesco Galofaro alla discussione tra comunisti sugli sviluppi della situazione politica in Italia. L’articolo è anche presente nella rubrica “I comunisti e la questione nazionale

Com’era prevedibile, negli ultimi giorni i leader d’opposizione e la stampa italiana hanno discusso ogni possibile scenario di governo, fomentando giri di scommesse sui ministeri e commentando, con uno sforzo esegetico degno di un teologo, ogni singola riga del “contratto di governo”. Nonostante l’infelice formula privatistica scelta dai due contraenti, che esclude dal proprio orizzonte il popolo italiano, riteniamo che i comunisti debbano distinguersi dalla ciurma: c’è tutto il tempo per un’analisi seria e non frettolosa dei rapporti di forza, degli attori, dei valori in conflitto, perché possano discenderne pratiche politiche sensate.

Uno sguardo al programma del compromesso tra i due attori principali, Lega e 5 stelle, può sconcertare. Accanto a proposte securitarie e xenofobe che destano preoccupazione e che vanno seriamente contrastate, esso riprende temi cari alla sinistra radicale: rispetto del referendum sull’acqua pubblica; ecologia; sanità e scuola pubbliche e universali, critica alla “buona scuola”; investimenti in infrastrutture e critica alla TAV, abolizione della famigerata Legge Fornero sulle pensioni. Contiene inoltre molti buoni propositi su ricerca, università, disabilità;: temi su cui non è difficile ottenere un consenso trasversale, ma che non possiamo dare per scontati neppure a sinistra: nel 2012 Cecilia Guerra, allora sottosegretario alle politiche sociali del governo Monti, candidata alle ultime elezioni in Liberi e Uguali, azzerò i fondi per i disabili [1]. Non ha senso criticare questo programma definendolo un libro dei sogni, vago o senza coperture: si tratta scopertamente di un’operazione di comunicazione, volta a convincere i rispettivi elettorati dell’opportunità dell’alleanza. E l’operazione si direbbe riuscita: un sondaggio commissionato a Demos&Pi e Demetra da Repubblica il 20 maggio registra addirittura un consenso del 60% per il nuovo governo [2]. E’ più interessante interrogarsi sui valori di fondo che permettono di riportare a una qualche coerenza la fusione a freddo di due programmi tanto diversi. Si tratta di tutto ciò che potremmo riassumere sotto l’etichetta di “sovranismo”, una questione che attraversa da decenni sotterraneamente destra e sinistra e che si è manifestata in tutta chiarezza alle scorse elezioni. Gli elettori sono ormai consapevoli delle ricadute negative della globalizzazione liberista sui lavoratori e sui piccoli imprenditori; dei grotteschi limiti dell’Unione europea, ridotta a gendarme di un’ideologia economica contro le “derive” costituite dalle scelte democratiche dei popoli che ne fanno parte; del sacrificio degli interessi nazionali comportato dalla fedeltà atlantica, vissuta ormai come antistorica. Tuttavia, sarebbe frettoloso assimilare sotto la stessa etichetta due modi molto diversi di intendere la difesa della sovranità da parte di Lega e 5stelle.

Cominciando dalla Lega, diremo in primo luogo che si tratta di un partito vero, con un radicamento popolare, sul modello dei partiti di massa della prima repubblica. Fa presa nelle campagne e nelle periferie; nei capoluoghi altre forze politiche possono ancora contenderne l’egemonia. Si tratta di un partito di destra, ma non va confuso con la destra liberale incarnata nei dirigenti di Forza Italia. Il suo tratto prevalente, diffuso anche in altri Paesi europei, è la difesa della comunità locale, senza distinzioni di classe. L’opposizione che tesse non è “capitale/lavoro”, ma “noi/altri”. Negli anni ’80, quelli dei primi successi elettorali, gli “altri” erano gli immigrati meridionali; oggi, dopo un processo di assimilazione mai del tutto compiuto e digerito, gli “altri” sono divenuti gli stranieri, i migranti economici, i tanti profughi generati dai disastri economico-militari del modello occidentale di globalizzazione. Con la crisi, anche l’economia ricca del Nord non è più riuscita a sfruttare appieno questo surplus di manodopera, che in passato impediva la crescita dei salari; così, le comunità del Nord si rifiutano di pagare il prezzo della globalizzazione in termini di disoccupazione, mendicanza, criminaltà. I tratti della Lega sono in larga parte piccolo-borghesi. La Lega difende la piccola azienda e l’economia del territorio dal libero scambio e dalla competizione internazionale, laddove il credo liberista vuole che fallimento dei deboli faccia solo bene al mercato. L’elettore della Lega ha un lavoro e vede positivamente riduzioni di imposte e flat tax, perché dal suo punto di vista i costi dello Stato assistenziale servono solo ad alimentare un esercito di perdigiorno e di scansafatiche. Il radicalismo della Lega, la sua xenofobia, l’anticomunismo viscerale (“zecche rosse”) ha persino portato negli anni a contiguità ambigue con elementi neofascisti. Si pensi a Luca Traini, il maceratese candidato leghista che ha sparato sugli immigrati. Anche a questo proposito, tuttavia, se vogliamo davvero comprendere la Lega occorre resistere a tentazioni semplificatorie. Hitler non avrebbe mai permesso a un ebreo di iscriversi al suo partito; la Lega ha eletto il primo senatore di colore della Repubblica, Toni Iwobi, un imprenditore informatico di Bergamo. Il razzismo della Lega è assimilazionista: il forestiero deve abbandonare la propria cultura e adeguarsi all’uso locale. E’ indecoroso che il musulmano chieda l’elemosina nel parco frequentato da famiglie con bambini; non sarà un problema fare affari con lui se riuscirà ad aprire un’azienda e vestirà un completo di Armani. Per tutto questo insieme di caratteristiche, il sovranismo della Lega non può essere dipinto come un tentativo di ritornare all’Europa del 1939. Come molta “nuova” destra sociale di altri Paesi europei, la Lega pensa a una comunità di Stati sovrani, più attenta ai valori tradizionali, alla famiglia, alla religione, alla protezione delle comunità locali. Questa destra non è vicina a Putin per aver compiuto un ragionamento raffinato sull’Eurasia, ma perché (e fino a che) le piccole aziende avranno buone prospettive d’affari con lui

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Il Movimento 5 stelle è per molti versi antitetico rispetto alla Lega. Se quella è un partito tradizionale, questo non è un Partito. Come Forza Italia, anche i 5 stelle potranno col tempo diventarlo, ma attualmente il loro sistema operativo è quello di un’agenzia di comunicazione. Spesso anche i più critici dimenticano questo tratto, offrendo così al M5s un riconoscimento politico implicito e insperato. Attraverso la rete, questa agenzia trasmette argomenti a una rete di leader d’opinione e di influencer, che “ritrasmettono” questo punto di vista sul territorio: un aggiornamento del classico modello two-step flow of communication [3]. Questa forma di marketing politico spiega anche una certa volatilità delle prese di posizione dei 5 stelle, pronti a smussare la radicalità del programma della prima ora, e ad abbracciare, seppur criticamente, l’Euro e la Nato, nella prospettiva di tessere alleanze di governo. Tra Lega e i 5stelle, è la prima ad essersi dimostrata più intransigente nel criticare l’Europa, la Nato, e nel perorare il dialogo con la Russia. Il sovranismo dei 5 stelle presenta tratti specifici, e questo dipende dalla composizione della propria base. Se, come si è detto, la Lega non fa distinzioni di classe, i 5s tentano di rappresentare quanti in questi anni hanno pagato maggiormente il prezzo della globalizzazione: disoccupati, precari, piccoli impiegati il cui reddito non cresce, pensionati. I 5s non si rivolgono a una classe sociale definita, ma assumono per istinto una posizione di tipo “pauperista”. Il sovranismo 5s è quello di quel terzo del Paese su cui tutte le forze politiche tradizionali hanno scaricato i costi della globalizzazione senza nemmeno tentare di rappresentarlo. Al contrario della Lega, il sovranismo dei 5s comprende politiche assistenzialiste e di spesa pubblica. Il reddito di cittadinanza, o una qualche forma di credito di imposta, è un compromesso che la Lega può accettare, in forme limitate e controvoglia, per sedare il malcontento sociale.

Venendo alla canea delle critiche a Lega e 5 stelle, due tratti mi sembrano interessanti: l’eterogeneità delle critiche e la loro natura di “attacco preventivo”. Concediamo pure che una metà degli italiani sia ostile al nuovo governo: la percentuale sale quasi al 100% quando consideriamo i media tradizionali, le televisioni, i quotidiani. Le caricature del prof. Conte sono state pubblicate prima delle sue fotografie. Su richiesta dei colleghi italiani, il New York Times è sollecitamente corso a verificare ogni riga del suo curriculum. Assistiamo alla reazione di un blocco di forze che comprendono la destra e la sinistra liberale, la grande borghesia cosmopolita che governa attualmente l’Unione Europea e che difende quel modello e i propri interessi, anteposti a quelli della nazione. L’Unione Europea è garante del quadro di regole che permettono la competizione dei grandi gruppi di affari senza conflitti, protezionismo, guerre; poco importa se i volumi richiesti per far parte del gioco economico escludono medie imprese e piccoli artigiani, votati alla scomparsa e al fallimento, e riducono alla disoccupazione intere città: è funzionale all’economia che i disoccupati emigrino dove il lavoro è richiesto, e ogni forma di sostegno sociale rappresenta solo una rigidità che impedisce al mercato del lavoro di trovare un equilibrio.

E’ specialmente la posizione del PD a stupire. Renzi converge con Forza Italia nella critica al giustizialismo [4]. Orfini si affretta a dire che una rinascita del partito non può voler dire un ritorno alla sinistra perdente del passato – come se quella attuale avesse vinto [5]. Si tratta di una classe politica il cui programma è dettato da cordate di imprenditori, grandi gruppi, banche, manager pubblici remunerati a suon di fantastiliardi; una classe politica culturalmente estranea alle esperienze più interessanti che proprio in Europa lasciano intravvedere una sinistra nuova, credibile, percepita come utile dal proprio elettorato. Questa sinistra non è certo turbata dalla prospettiva che la Lega chiuda i campi nomadi abusivi, quanto da quella – ben più concreta – che non firmi il trattato di libero scambio tra Europa e Canada (CETA). Altri rischi sono stati enumerati dal presidente di Confindustria Boccia, che vede già pregiudicata l’attività dell’ILVA di Taranto, la realizzazione della TAV e del gasdotto TAP [6].

Quanto alla discussione nella sinistra sociale, il luogo e il laboratorio dove tante proposte del contratto di governo sono nate, si intravvedono due rischi. Una parte della sinistra etichetta senza argomentare come “fascioleghista” ogni giudizio che suoni vagamente positivo sul governo che si prospetta. In particolare, viene fatta passare per “rossobruna” ogni analisi che colleghi le vittorie della nuova coalizione alle insufficienze della sinistra stessa. E’ un modo scontato di evitare l’autocritica: bisognerà spiegare come mai, proprio mentre la sinistra anticapitalista rischia seriamente l’estinzione, i 5s e la Lega stanno portando al governo tanta parte dei suoi temi e delle sue proposte. Il secondo rischio è insito nella critica a Lega e 5s. Come abbiamo visto, queste due forze stanno suscitando la reazione preventiva e preoccupata della borghesia cosmopolita italiana ed Europea: mezzi di informazione, attori economici, speculatori, burocrati, socialisti e popolari europei … Non c’è nessun bisogno di sommare le critiche della sinistra anticapitalista a questo coro. Non è nel nostro interesse rafforzare la reazione del grande capitalismo internazionale al cambiamento. Il nostro obiettivo non è riconsegnare il potere a Renzi o a Bersani. La sinistra socialdemocratica, in crisi in tutta Europa, non offre soluzioni o prospettive.

Non è facile indovinare lo scenario futuro. Non è appassionante prevedere quanta parte del contratto di governo sarà effettivamente realizzata: la domanda da porsi è piuttosto se la nuova alleanza sarà in grado di saldare i rispettivi elettorati in un unico blocco sociale. In caso affermativo, diverrà stabile e aumenteranno le possibilità di completare il mandato elettorale, nonostante i numeri risicati. Nel caso contrario, se dovesse svanire come una bolla di sapone o fallire nel proprio progetto, va comunque considerato un fatto: come apprendisti stregoni, Lega e 5 stelle hanno sdoganato un insieme di proposte in precedenza bollate come “radicali” e “comuniste” dalla sinistra cosmopolita e liberista, e non è un caso che quest’ultima abbia infine perduto. Se anche la Lega e i 5 stelle non riuscissero più a controllare le forze che hanno evocato, la maggior parte degli elettori continuerebbe a nutrire l’aspettativa che le forze politiche diano risposte all’insieme dei temi etichettabili come “sovranismo” – giustizia sociale, recupero di un ruolo internazionale per l’Italia, critica all’atlantismo. Per questo non è pensabile che la sinistra resti a guardare “mangiando il popcorn”, aspettando passivamente che ritorni il proprio turno, o proponendo l’ennesima ignobile ammucchiata. Occorre individuare nell’ampio e variegato panorama dell’elettorato delle forze al governo quei settori più sensibili alle nostre parole d’ordine e più aperti al dialogo, costruendo fin d’ora relazioni politiche che rendano credibile un ritorno dei comunisti in Parlamento. Le prossime elezioni europee del 2019 potrebbero diventare un laboratorio interessante per sperimentare in questa direzione.

NOTE

https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/25/disabili-dopo-fondi-tagliati/206635/
http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/ListaSondaggi.aspx
3 Lazarsfeld, Berelson e Gaudet – The people’s Choice. How the Voter Makes up his mind in a Presidential Campaign, 1944
http://ildubbio.news/ildubbio/2018/05/19/142591/
http://www.globalist.it/politics/articolo/2018/05/11/orfini-non-torniamo-alla-sinistra-perdente-di-20-anni-fa-bastano-lui-e-renzi-2024137.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/23/boccia-confindustria-politica-non-pensi-di-essere-forte-indebolendo-leconomia-non-ridiscutere-scelte-strategiche/4375812/