Capitalismo ‘umano’?

Andrew Yangdi Mark Epstein

Uno dei candidati meno tipici che si presenta nella schiera dei contendenti per il partito Dem è Andrew Yang. A livello molto superficiale, ma parte dei mantra coltivati, incensati e feticizzati dal postmoderno identitario, è un “Asian-American”, una minoranza in genere sottorappresentata nell’universo politico imperiale.

Ma si disingue soprattutto a livello del programma che propone, che è piuttosto eclettico, ma che cerca di affrontare la situazione di costante declino, devolution e devastazione della situazione economica per la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta. In particolare si concentra su studi che cercano di prevedere vari tipi di conseguenza della sempre maggior automatizzazione e cibernetizzazione dell’economia a livello individuale.

Il rimedio principale che propone, che è preso in prestito da proposte fatte in Europa occidentale ed in altre parti del globo (ma senza in realtà discutere affatto i modelli proposti in altri paesi e da altre correnti politiche), è quello del reddito minimo garantito. Proposta che è evidentemente quasi l’antitetico polare del mito e dell’ ‘ethos’ (ormai molto più ideologico e propagandistico che reale) dello “self-made (wo)man” che è uno dei pilastri ideologici principali dell’individualismo particolarmente aggressivo ed ottuso che fa da sfondo ‘antropologico/psicologico’ alla ‘norma’ imperiale.

Andrew Yang usa una strategia che fa esplodere alcuni dei mantra del “winner” e del “success” imperiali, puntando su una sua versione del reddito minimo garantito, ma appunto anche il nome che gli affibbia, “Freedom Dividend” mostra che in realtà mantiene più che saldi i peggiori cliché del capitalismo imperiale.

So che offenderò molti nell’area della ‘sinistra’ postmoderna identitaria, ma in realtà la stessa idea del reddito minimo garantito, benchè abbia senz’altro valide motivazioni etiche, assistenziali ed ‘umanitarie’, in realtà, alla fine dei conti, crea un forma molto subdola, perversa, ed infida di ghettizzazione: esclusione dalle interazioni di costruzione e partecipazione sociale nel mondo del lavoro, che non deve affatto essere identificato col capitalismo, con l’idea del lavoro retribuito, e via dicendo. Può diventare quindi una gabbia appena appena ‘dorata’ che esclude da vasti settori della vita associata invece che includere.

In termini reali (in dipendenza degli interessi e delle forze politiche che lo propongono) il reddito minimo garantito può spesso diventare un sotterfugio per introdurre sottobanco tagli anche forti delle somme complessive dedite all’assistenza sociale in un paese o area specifica.

Benchè sia più che ovvio che un reddito minimo garantito sia una soluzione infinitamente migliore e preferibile a lasciar morire i disoccupati e senzatetto per strada, in realtà a mio avviso rappresenta anche un modo subdolo di affermare l’ineluttabilità di un ‘futuro capitalista’, dove chi riceve questa forma di assistenza viene a costituire de facto un ghetto di esclusi/assistiti che agli occhi del resto della popolazione coinvolta (bene, male o peggio a seconda del sistema politico-economico-sociale praticato) reca l’etichetta di ‘assistito grazie alla pietà dei ‘normali’’.

In termini reali e realistici (pensiamo solo al sempre più catastrofico impatto del sistema di consumo, spreco, e devastazione capitalista a livello ecologico, climatico, ecc.) è il sistema economico capitalista che è, più che ovviamente, un sistema antitetico alla possibilità della specie umana, ma anche e per certi versi soprattutto di tutte le altre specie presenti negli ecosistemi planetari, di sopravvivere nel medio e lungo termine. Quindi il cerottino esclusivamente economico del reddito minimo garantito rappresenta una soluzione di emergenza per la sopravvivenza dei più colpiti ed esclusi nel brevissimo termine, ma non rappresenta una soluzione reale per uno solo dei problemi catastrofici di fondo che il perpetuarsi e purtroppo espandersi del sistema di riproduzione capitalista rappresenta a livello planetario.

Inoltre a livello umano, la maggior parte delle proposte di reddito minimo garantito oltre ad eternalizzare la situazione precario-assistita, di incombente “esercito di riserva del lavoro” se non altro come minaccia psicologica, esclude chi lo riceve da partecipazioni significative in termini di pianificazione e direzione sociale. La maggior parte delle proposte propone di ‘utilizzare’ questi assistiti per vari lavori e/o operazioni sociali, ma al massimo viene loro offerta una scelta all’interno di una gamma di opzioni prescelta da altri.

Nel caso della proposta non eccessivamente elaborata da Yang, il reddito servirebbe anche come una sorta di “safety net” temporaneo mentre si intraprende la ricerca di altri posti di lavoro o di formazione supplementare: ma ovviamente questo non risolve il problema del rapporto tra automatizzazione, sottooccupazione e divisione sociale sia del prodotto sociale, sia della partecipazione alla organizzazione, pianificazione, direzione del lavoro e delle sue interrelazioni con il complesso delle attività sociali anche non retribuite. Il problema del capitalismo come sistema di spreco, oppressione, sfruttamento, devastazione, espansione irrazionale incontrollata e tumorale non solo rimane, ma continua in realtà a crescere perchè de facto abbiamo solo ‘sottratto’ un numero cospicuo di individui alla possibilità di partecipazione sociale reale.

Per quanto soggettivamente Yang possa anche essere motivato da ragioni umanitarie, in realtà la conseguenza di questo tipo di proposta è semplicemente il dilazionare i problemi nel tempo, e, peggio, renderli ancora meno trasparenti di prima.

Si tratta, in conclusione, di uno dei, molti, nuovi meccanismi del ‘totalitarismo da rimozione’, che potremmo magari anche qualificare come ‘dolce’, ma che alla fine rimuove gruppi sostanziali di esseri umani dalla vita associata e dalla pianificazione condivisa e cogestita della società civile, e li inserisce in un limbo, più o meno ‘ovattato’.

Molto sinteticamente il problema con la proposta di Yang si presenta concentrato nei suoi minimi termini nel suo slogan: “capitalismo umano”. In realtà non è possibile combinare un sostantivo ed un aggettivo più antitetici di questi: si tratta del più eclatante, barbaro e disumano degli ossimori. Al quale bisogna rispondere con uno slogan sempre approssimativo, sempre slogan appunto, ma che coglie l’essenziale del problema: “socialisme ou barbarie”.