Alcune note a proposito della situazione negli Stati Uniti

trump protestda “Avante!”, Settimanale del Partito Comunista Portoghese

Traduzione di Marx21.it

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I recenti avvenimenti negli Stati Uniti – con l’elezione e l’insediamento di Donald Trump come presidente e l’entrata in funzione della nuova amministrazione da lui diretta – continuano a porre comprensibili domande in merito ai loro reali impatti nello sviluppo dell’agenda neoliberale e aggressiva che ha caratterizzato le diverse amministrazioni statunitensi che si sono succedute e le  loro conseguenti ripercussioni sul piano interno ed esterno, poiché rappresentano un fattore aggiuntivo di incertezza e instabilità nell’attuale situazione internazionale.

Come è stato sottolineato, le ultime elezioni negli Stati Uniti hanno evidenziato con insolita chiarezza, e come da molto tempo non accadeva in questo paese, importanti fratture nella società statunitense e significative spaccature in seno alla classe dominante, che hanno svelato la profonda crisi economica, sociale e politica della principale potenza del mondo capitalista, che è espressione dell’approfondimento della crisi più generale e strutturale del capitalismo.

Allo stesso modo, con le sue dichiarazioni e azioni iniziali, il nuovo presidente statunitense, assumendo e riaffermando chiaramente l’obiettivo strategico degli Stati Uniti, vale a dire, la prevalenza della sua egemonia mondiale, ha posto anche in primo piano le rivalità, a fronte delle contraddizioni e al binomio rivalità-concertazione, che caratterizzano le relazioni tra le grandi potenze imperialiste. Ricordiamo le sue dichiarazioni contro la Germania, che ha accusato di usare l’Unione Europea come strumento di dominio in Europa, e nei confronti del Giappone, principale  alleato nella “Partnership per il Commercio nel Pacifico” (TPP) e nel quadro della militarizzazione della regione Asia-Pacifico.

Cercando di trovare soluzioni per, se possibile, invertire la tendenza del declino economico relativo e contrastare l’ampio processo di riaggregazione delle forze che sta avendo luogo sul piano mondiale (in cui ha avuto particolare importanza il ruolo svolto dalla Cina), Donald Trump e gli interessi e i settori della società statunitense che egli incarna danno diversi segnali di non solo  pretendere di determinare nuovi termini del loro rapporto con la Repubblica Popolare di Cina – definita come il principale avversario strategico degli Stati Uniti – ma anche nella loro relazione con paesi alleati e partner vicini – di cui sono esempio Messico e Canada e il corrispondente Trattato Nordamericano di Libero Scambio (NAFTA) e l’insieme di paesi che hanno istituito il TPP, nel quale la partecipazione degli Stati Uniti è stata revocata da Donald Trump.

Pur in presenza di differenze, Donald Trump non rappresenta una visione diversa per quanto riguarda gli aspetti fondamentali della società statunitense, come l’affermazione e l’imposizione del dominio egemonico degli Stati Uniti. Tuttavia, è attorno alle “soluzioni” che cercano di contrastare il declino economico relativo degli USA sul piano mondiale che, apparentemente, si verificano le principali divergenze e gli scontri tra la classe dominante degli Stati Uniti, sia su come affrontare l’enorme sfida posta dalla convergenza che si sta verificando su diversi piani (economico, energetico, militare,…) tra la Cina e la Russia, che sul come determinare e imporre nelle relazioni commerciali con paesi terzi, compresi gli alleati-partner , i (nuovi) termini e le condizioni più favorevoli per gli Stati Uniti.

Non è ancora possibile evidenziare il risultato immediato dello scontro che si verifica in questo momento in seno alla classe dominante statunitense e l’effettiva gamma di elementi di differenziazione nel segno della continuità degli aspetti essenziali della politica realizzata, come pure delle loro eventuali conseguenze sul piano interno ed esterno. Nel frattempo e in questo contesto si sviluppa una multiforme campagna che mira, tra le altre cose, a imbiancare la politica dell’amministrazione Obama, salvaguardare la globalizzazione capitalista, difendere la NATO e affermare l’Unione Europea.

L’eredità di Obama

Il passaggio del “testimone” da Obama a Trump è stato accompagnato da un’intensa campagna che, caricaturizzando e demonizzando Trump, ha cercato di far dimenticare il “cambiamento” che Obama ha detto di rappresentare, pur avendo in realtà proseguito l’essenziale dell’agenda neoliberale e aggressiva dell’ “establishment” statunitense, che cerca di affermare e imporre il dominio mondiale degli USA. Insediatasi all’inizio del 2009 dopo l’esplosione della crisi del 2007/8 negli Stati Uniti, e dopo avere ricevuto due mandati, l’amministrazione Obama non è riuscita ad assicurare una crescita economica stabile, nonostante la massiccia iniezione di miliardi di dollari nel sistema finanziario, mentre la società statunitense ha continuato ad essere segnata da profonde ingiustizie, disuguaglianze e discriminazioni sociali. Pur in presenza dell’accordo firmato con l’Iran e i passi verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba, il blocco degli Stati Uniti continua ancora e occorre avere presente che negli ultimi anni: la prigione nella base militare di Guantanamo non è stata chiusa; continua la guerra degli USA in Afghanistan; gli Stati Uniti sono tornati ad avere truppe in Iraq, da dove in realtà non sono mai usciti; i droni statunitensi continuano ad assassinare; la Libia e il suo Stato sono stati brutalmente distrutti dall’aggressione della Nato e dei suoi alleati; la Siria è stata aggredita e devastata da gruppi di mercenari appoggiati dagli USA e la sua sovranità e integrità territoriale minacciata; in Ucraina gli USA hanno promosso il golpe attuato da oligarchi e gruppi fascisti che hanno scatenato una guerra contro il popolo ucraino; prosegue lo sviluppo delle armi nucleari e la corsa agli armamenti, come pure l’installazione del sistema anti-missile degli USA in Europa e viene ribadita l’intenzione di installarlo in Asia; le forze della Nato sono avanzate verso l’Est dell’Europa, rafforzando la loro presenza a ridosso della frontiera con la Federazione Russa; ed è stata promossa la presenza militare statunitense nella regione Asia-Pacifico, prendendo di mira la Cina. Sono esempi, tra gli altri, dell’eredità di Obama che provano il proseguimento della politica militarista, di destabilizzazione e di guerra degli Stati Uniti contro coloro che nel mondo essi considerano essere un ostacolo all’imposizione del loro “ordine mondiale”, alla politica di aggressione che tante sofferenze e distruzioni ha provocato. Una continuità che Hillary Clinton rappresentava – in quanto candidata del sistema, che univa attorno a sé grande parte dell’ “establishment” e, in particolare, gli interessi predominanti del capitale finanziario e del complesso militare-industriale – e che ha subito una sconfitta.

Si tratta di una campagna che mira a far perdere di vista gli obiettivi e le conseguenze di circa 25 anni di globalizzazione capitalista, con l’imposizione di relazioni di dominio e dipendenza nei rapporti tra gli stati, l’arbitrio delle multinazionali, la liberalizzazione del commercio, l’incremento dell’accumulazione e la concentrazione della ricchezza, l’intensificazione dello sfruttamento, la precarietà del lavoro e le crescenti disuguaglianze sociali e i divari nello sviluppo. Un processo, una politica, che ostacola e promuove la mancanza di rispetto per i diritti dei lavoratori e dei popoli, per la sovranità e l’indipendenza degli stati, per la democrazia, per i diritti politici, economici, sociali e culturali, per la realizzazione di relazioni economiche e commerciali che si basino sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa sul rispetto del diritto degli stati allo sviluppo economico e sociale sovrano.

Una campagna che cerca anche di mistificare la natura e gli obiettivi della NATO – blocco politico-militare, strumento della politica aggressiva dell’imperialismo – e nascondere la sua responsabilità per le guerre di aggressione alla Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq e alla Libia, e il suo bilancio di morte, sofferenza e distruzione. Allo stesso tempo, cerca di aprire la strada all’aumento delle spese militari della maggioranza dei paesi membri della NATO, utilizzando come pretesto l’ingannatrice “lotta al terrorismo” e la pretesa “minaccia russa”. Vanno ricordate a tale proposito le ricorrenti proposte perché le spese militari possano non essere contabilizzate nel calcolo dei deficit pubblici dei paesi che fanno parte dell’Unione Europea (e della NATO), allo scopo di facilitare il percorso al militarismo, alla corsa agli armamenti e alla guerra.

Una campagna che, di fronte all’accumularsi di contraddizioni e alle crescenti manifestazioni di rifiuto dell’Unione Europea, di cui è significativo esempio il referendum nel Regno Unito, agita ogni tipo di manaccia (Donald Trump, Russia, Cina, terrorismo, populismo,…), per promuovere la creazione delle condizioni per un nuovo approfondimento dell’integrazione capitalista europea – federalista, neoliberale e militarista – in confronto diretto con i diritti, gli interessi e le aspirazioni dei lavoratori e dei popoli e la sovranità e l’indipendenza degli stati, puntando, tra le altre cose, al completamento dell’Unione Economica e Monetaria (dell’Euro), con il compimento dell’unione bancaria e l’incremento della politica fiscale, con il rafforzamento dell’Unione Europea securitaria e delle cosiddette politiche della migrazione e dell’asilo, con la promozione della militarizzazione dell’Unione Europea e della sua capacità di intervento militare.

Migranti e rifugiati

Per quanto riguarda i migranti e i rifugiati, riveste particolare gravità l’adozione da parte dell’amministrazione statunitense di misure che, approfondendo aspetti di una politica che in parte era già stata implementata, violano i loro diritti – come la continuazione della costruzione del “muro”, iniziata dall’amministrazione Clinton alla frontiera con il Messico; e le ancora più restrittive regole di asilo e accoglienza dei rifugiati; e la discriminazione sulla base della nazionalità, in particolare dei cittadini vittime delle guerre di aggressione da parte degli USA – che non è una politica esclusiva degli Stati Uniti. L’Unione Europea ha varato misure come il disumano accordo con la Turchia e con altri paesi, come la Libia; la militarizzazione delle questioni umanitarie; la cosiddetta politica del ritorno; l’esternalizzazione delle frontiere e il concetto di “Europa fortezza”; la selettiva “carta blu” a imitazione della “carta verde” degli Stati Uniti, la costruzione dei centri di detenzione, tra le altre che vanno nella stessa direzione.

La drammatica situazione di milioni di esseri umani sfollati e rifugiati ha come una delle principali cause le guerre risultanti da azioni di aggressione, ingerenza e destabilizzazione contro stati sovrani condotte dagli Stati Uniti d’America, dalla NATO, dall’Unione Europea e dai loro alleati: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen, tra gli altri, ne sono la testimonianza.

Allo stesso modo, i flussi migratori di milioni di esseri umani che tentano di sfuggire alla povertà e ad altri drammi sociali, aumentano in modo direttamente proporzionale alle crescenti e stridenti disuguaglianze sociali e asimmetrie dello sviluppo risultanti da politiche di sfruttamento, accumulazione e concentrazione della ricchezza e di imposizione di relazioni di dominio economico nei rapporti tra gli stati.

Sono queste le politiche che sono all’origine dei maggiori movimenti nel post II Guerra Mondiale e dell’alto livello dei flussi migratori. I migranti e i rifugiati non sono una minaccia e neppure i responsabili della crisi economica e sociale. Al contrario, sono vittime di politiche che ora li strumentalizzano per aumentare ancora di più lo sfruttamento e la precarietà e per promuovere derive securitarie che, con il pretesto della cosiddetta “lotta contro il terrorismo”, minano le libertà e i diritti fondamentali, incentivando la xenofobia e valori retrogradi e aprendo il campo alle forze reazionarie e di natura fascista.

La soluzione dei gravi problemi che sono all’origine dei flussi migratori e dei rifugiati risiede nell’adozione di politiche di pace, di progresso sociale, di cooperazione e di sostegno allo sviluppo.

Da rilevare ancora, a proposito delle elezioni negli Stati Uniti, le manovre in corso che, sotto la copertura del “populismo”, del “nazionalismo”, dell’ “estremismo” e del “protezionismo”, cercano in modo inaccettabile di associare coloro che, come i comunisti e altri patrioti e democratici, assumono una posizione patriottica e internazionalista, di rifiuto della globalizzazione capitalista, dell’aggressività imperialista, dell’Unione Europea federalista, neoliberale e militarista del grande capitale, della NATO, che lottano per la libertà, per la democrazia e la sovranità nazionale, per la giustizia e il progresso sociale, per la pace e la cooperazione, per l’emancipazione dei lavoratori e dei popoli, a posizioni e forze reazionarie e di natura fascista che si caratterizzano per il nazionalismo xenofobo e sciovinista, per il loro falso discorso “anti-sistema”, mello stesso momento in cui eludono la natura del capitalismo e non si rendono protagonisti di alcun processo di trasformazione di significato progressista e di liberazione. Una manovra che mira a nascondere non solo le reali cause e i responsabili dell’attacco alle condizioni di vita e ai diritti dei lavoratori e dei popoli – il grande capitale e le forze che lo servono –, ma anche le forze protagoniste della lotta autenticamente conseguente e una reale alternativa.