Donald Trump Presidente: ragionando sulla politica estera

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Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Federico La Mattina alla discussione sulle prospettive che si aprono nella politica internazionale dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

In pochi ci avrebbero scommesso ma alla fine è successo: il tycoon Donald Trump sarà il futuro Presidente degli Stati Uniti d’America. Proviamo ad analizzare i possibili scenari in politica estera: esercizio certamente non facile, considerati i vincoli e le imprevedibilità che riguardano le relazioni internazionali. Risulta fondamentale la prospettiva con cui si guarda all’elezione di Trump, certamente differente se si è messicani, cinesi o europei. L’Unione europea stessa è però tutto fuorché un monolite (geo)politico e le contraddizioni sul ruolo della Nato e sui rapporti euro-russi sono evidenti a tutti. La prospettiva neo-isolazionista di Trump potrebbe lasciare nuovi margini di autonomia ai paesi europei rispetto alle prospettive in caso di vittoria clintoniana ma bisogna vedere come si svilupperanno le contraddizioni intereuropee in tale senso. Non si può discutere di “Europa” senza affrontare i rapporti con la Russia dato che in assenza di evidenti frizioni geopolitiche (eccetto che per i paesi della “Nuova Nato” dell’Est) ci troviamo in collisione con Mosca. Secondo Germano Dottori la prospettiva realista di Trump non rappresenterebbe infatti alcun pericolo per l’Europa dato che “il cambio di paradigma avvenuto in questi anni verrebbe confermato e consolidato, tra l’altro restituendo agli europei ulteriori quote di autonomia effettiva”.

La fascia Nato “Intermarium” va dal Baltico al Mar Nero, frapponendo una vera e propria linea di contenimento tra Russia ed ex paesi “satelliti”. Le relazioni con la Russia e la politica mediorientale saranno il primo banco di prova della politica estera di Trump nonché principale elemento di novità rispetto all’eredità obamiana (e ad una possibile prospettiva clintoniana, in contrapposizione anche agli aspetti realisti di Obama). Trump sostiene infatti di volere dialogare con Putin per trovare un accordo: il problema principale per Trump – recenti sondaggi confermano tale sensibilità negli Usa – non sarebbero Putin o Assad ma l’Isis e il terrorismo ed è in questa direzione che la politica americana deve concentrarsi. Eterodosso all’interno del fronte repubblicano, su tale questione si trova persino in opposizione al suo vice Mike Pence (maggiormente anti-Assad) e in effetti i rapporti fra Trump e la maggioranza repubblicana al Congresso saranno un altro dei nodi che soltanto il tempo ci permetterà di sciogliere. Le sue posizioni molto critiche verso l’accordo sul nucleare iraniano – tra i pochi successi della politica estera obamiana – e il forte legame con Israele (che a sua volta però non è in brutti rapporti con la Russia, pur avendo una geopolitica mediorientale divergente) potrebbero essere questioni di non secondaria importanza nel riassetto mediorientale. Ulteriori questioni saranno i rapporti con le monarchie del golfo e quelli turco-americani: certamente non si mette in discussione il fondamentale ruolo turco nella Nato ma le recenti criticità nei rapporti tra i due paesi nonché le divergenze nello scenario siro-iracheno rappresentano contraddizioni a cui Trump e il suo entourage dovranno fare fronte.

Se lo scenario russo-mediorientale (con l’incognita iraniana) è il principale banco di prova della politica estera di Trump, le questioni riguardanti la regione Asia-Pacifico saranno meno tangibili nel breve periodo ma non meno importanti a livello strategico. Probabilmente diminuirà la campagna “dirittoumanista” in favore di una maggiormente nazionalista sulla “concorrenza sleale” cinese. Non è da ritenere realistica la prospettiva di una vera e propria “guerra commerciale” con la Cina e in qualche modo – a parere di chi scrive – prevarrà l’aspetto realpolitico di mutuo vantaggio, pur nella reciproca diffidenza. E’ inoltre incerto come si porrà con gli storici alleati della regione, in particolare in merito alla questione filippina recentemente aperta dal Presidente Duterte. E’ evidente che di Donald Trump conosciamo attualmente le linee generali di politica estera ma non i dettagli e poi – come è normale che sia – saranno anche gli avvenimenti globali ad influenzare la politica estera dell’unica super-potenza globale. Nessun determinismo geopolitico: le intenzioni e le rappresentazioni geopolitiche – nonché la capacità di intendere e comprendere le rappresentazioni geopolitiche altrui – sono fattori di non secondaria importanza. Non saranno però le intenzioni neo-isolazioniste di un Presidente a modificare strutturalmente la proiezione americana nel mondo (senza azzardare paragoni nefasti è bene ricordare che anche Bush junior prima dell’11 settembre si dichiarava isolazionista). Non ci resta che attendere e cominciare a pensare che può esistere – ed esisterà – un mondo senza il ruolo sovraordinante degli Stati Uniti.

Federico La Mattina