Italia: aggressore della Libia

di Diego Angelo Bertozzi

 

guerra libia_ansa_italia_comando_nato-w350L’operazione neocoloniale in Libia ha visto, e vede tutt’ora, l’Italia impegnata in prima persona. Un impegno, iniziato in sordina tra le divisioni interne al governo – dove si imposta alla fine la fazione accesamente atlantista dei ministri della difesa La Russa e degli esteri Frattini – che si rivelato poi indispensabile. Senza la “portaerei” Italia, infatti, nessun serio intervento in Libia sarebbe stato possibile al di là del furore interventista di Parigi, Londra e Washington.


Nel panorama della stampa italiana soprattutto nei suoi quotidiani di punta – alla mascheratura ideologica umanitaria della spedizione punitiva – condivisa da tutto lo schieramento parlamentare e da alcuni ambienti della sinistra radicale – a sostegno dei sedicenti combattenti per la libertà si è unita una coltre di fumo sul reale impegno militare dell’aeronautica e della marina nostrane, preferendo presentare la nostra partecipazione come sostanzialmente logistica. Insomma, ci siamo ma le nostre mani non si sono macchiate di sangue.


Nulla di sorprendente, ovviamente: non si tratta di una guerra di aggressione, ma del semplice sostegno alle aspirazione democratiche delle masse di Bengasi, uniche vittime della violenza cieca di Gheddafi, il famelico dittatore di turno. Nulla di nuovo, ripetiamo: siamo in piena riproposizione dei topoi della tradizione coloniale europea, prima, statunitense poi, per i quali le superiori civiltà democratiche non commettono mai violenza. Un dogma secondo il quale la violenza, stupri di massa e fosse comuni artatamente dati in pasto al pubblico sono sempre prerogativa dei barbari di turno che osano resistere. La veridicità delle informazioni un dettaglio secondario.


Torna in mente quanto scritto da Marx nel lontano 1857 a proposito della accanita e per forza di cose violente resistenza del popolo cinese durante la seconda Guerra dell’oppio, subito battezzata come barbara dai civili aggressori occidentali: A questa gigantesca rivolta contro lo straniero ha portato la brigantesca politica del governo di Londra, che le ha imposto il suggello di una Guerra di sterminio. […] I trafficanti di civiltà che sparano palle infuocate contro città indifese, e aggiungono lo stupro all’assassinio, chiamino pure barbari, atroci, codardi, questi metodi; ma che importa ai cinesi se sono gli unici efficaci. […] Se i rapimenti, le sorprese, i massacri notturni vanno qualificati di codardia, i trafficanti di civiltà non dimentichino che, come essi stessi hanno dimostrato, i cinesi non sarebbero mai in grado di resistere, coi mezzi normali della loro condotta di Guerra, ai mezzi di distruzione europea1.


Chiusa la breve parentesi soffermiamoci ai dati riportati dal Sole24 Ore (4 ottobre 2011, pag. 15). Veniamo a sapere che l’80% dei raid sulla Libia sono partiti dalla basi italiane messe a disposizione della Nato (Amendola, Aviano, Decimomannu, Sigonella, Trapani, Gioia del Colle e Pantelleria) e che gli aerei italiani hanno svolto un ruolo fondamentale con un numero di missioni che la scorsa settimana – a Libia liberata come ci raccontano – aveva superato quota 2000 (con oltre 7mila ore di volo) a cui aggiungere le quasi 400 compiute dagli elicotteri imbarcati dalla Marina. Negli ultimi giorni l’impegno italiano si è concentrato sulle cosiddette roccaforti lealiste – anche se da più parti si segnala che la resistenza libica è in grado di fare incursioni anche a Tripoli o nel centro petrolifero di Ras Lanuf2– come a Sirte e Bani Walid3.


Continuiamo: i velivoli italiani hanno individuato 1.500 obiettivi, attaccandone oltre 500 con circa 850 bombe a guida laser e satellitare. Di queste circa 160 sono state lanciate in 170 missioni dagli Harrier della Marina, le altre da Amx e Tornado dell’aeronautica che hanno impiegato oltre due dozzine di missili da crociera Storm Shadow. Arriviamo, infine ad una parte dei costi sostenuti in piena emergenza economica con conseguente richiesta di sacrifici (non per tutti): Tenuto conto di un costo medio di 40 mila euro per ogni bomba guidata e un milione per ogni Storm Shadow, nel conflitto gli italiani hanno impiegato finora ordigni per un valore circa di 60 milioni.


Tanto impegno per salvaguardare gli interessi nazionali, quindi? Tutt’altro se ascoltiamo l’allarme lanciato in questi giorni da Alfredo Cesari (presidente della camera di commercio Italafrica centrale): Dei passati rapporti imprenditoriali e industriali con la Libia resteranno gran parte di quelli con l’Eni e di qualche altra big. Ma centinaia di altri contratti saranno carta straccia”4. Alla faccia delle dichiarazioni del falco atlantico Frattini, gli imprenditori italiani si sono visti lasciati soli fin dalla prima ora, hanno perso investimenti e insediamenti realizzati in Libia, escono da questa guerra altamente danneggiati e, oggi, appaiono indisposti a ricominciare in condizione di oggettivo svantaggio rispetto ad omologhe imprese francesi, inglesi o turche a cui, invece, i rispettivi governi hanno saputo sapientemente e certosinamente spianare la strada”. A questo aggiungiamo la minaccia del CNT di rivedere nell’interesse della nuova Libia”5 i contratti firmati da Gheddafi.


NOTE


1 K. Marx e F. Engels, India Cina Russia. Le premesse per tre rivoluzioni, il Saggiatore, pag. 165.

2 Libya Intensifies Resistance to U.S. and NATO-led Occupation Pentagon admits greater involvement on the ground, Abayomi Azikiwe, Global Research, 14 settembre 2011.

3 Secondo lo Stato Maggiore della Difesa italiana nell’ultima settimana le incursioni effettuate dai nostri velivoli sono state 29. Sono stati impiegati Tornado, F16 Falcon, AMX, G222VS gli aerorifornitori KC130J e KC767A ed un velivolo ”a pilotaggio remoto” Predator B.

4 Libia, strada in salita per le Pmi italiane, www.lettera43.it, 2 ottobre 2011.

5 Libia, l’Azienda Italia in bilico, La Stampa, 2 ottobre 2011