Gli strateghi militari statunitensi suggeriscono la guerra psicologica contro la Cina

china economy widedi Alan Macleod, Mintpress

da https://www.alainet.org

Traduzione di Marx21.it

Mentre le forze armate statunitensi spostano la loro attenzione dal Medio Oriente al conflitto con Russia e Cina, i pianificatori della guerra statunitensi stanno consigliando agli USA di espandere notevolmente le proprie “operazioni psicologiche” online contro Pechino.


Un nuovo rapporto del Financial Times descrive in dettaglio in che modo i vertici di Washington stanno pianificando una nuova Guerra Fredda con la Cina, descrivendola più che una terza guerra mondiale come un conflitto in cui i paesi “si prendono a calci sotto il tavolo”. Il generale Richard Clarke, capo del comando delle operazioni speciali, ha dichiarato che le “missioni di cattura e uccisione” che i militari hanno svolto in Afghanistan sono inadeguate per questo nuovo conflitto e che occorre passare a campagne di cyber-influenza.

L’analista militare David Maxwell, ex soldato delle Operazioni Speciali, si è fatto promotore di una guerra culturale generalizzata, che dovrebbe indurre il Pentagono a porsi l’obiettivo di demonizzare la Cina e demoralizzare i suoi cittadini persino con storie romanzate, sostenendo paradossalmente che Washington dovrebbe “trasformare in arma” la politica cinese del figlio unico, bombardando il popolo cinese con racconti di potenziali morti in guerra dei propri figli unici.

Una tattica non troppo diversa fu usata durante la prima Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica, quando la CIA mobilitò un’enorme rete di artisti, scrittori e pensatori per promuovere le critiche di stampo liberale e socialdemocratico contro l’URSS, all’insaputa del pubblico e talvolta, anche degli stessi artisti.

La fabbricazione del consenso

Nel giro di poco tempo, l’amministrazione Trump ha smesso di elogiare la risposta della Cina alla pandemia di COVID-19 per passare ad incolparla della sua esplosione, suggerendo anche che debba pagare le riparazioni per una sua presunta negligenza. Solo tre anni fa, gli americani avevano una visione neutrale della Cina (e nove anni fa essa era fortemente favorevole). Oggi, gli stessi sondaggi mostrano che al 66% degli americani non piace la Cina, e che solo il 26% che mantiene un’opinione positiva del paese. Quattro persone su cinque sostengono la necessità di una guerra economica su larga scala con Pechino, qualcosa che il presidente ha minacciato di scatenare nelle scorse settimane.

Anche la stampa delle grandi imprese sta facendo la sua parte, descrivendo costantemente la Cina come una minaccia pericolosa per gli Stati Uniti, piuttosto che una forza neutrale o persino un potenziale alleato, portando a un’ondata di attacchi razzisti anti-cinesi all’interno del paese.

La preparazione di una guerra intercontinentale

Gli analisti da lungo tempo sostengono che la scarsa efficacia delle simulazioni di guerra calda con la Cina e persino con la Russia, ma non è chiaro se si tratti di una sobria valutazione o di un tentativo egoistico di ottenere un aumento delle spese militari.

La recente richiesta di bilancio del Pentagono per il 2021 chiarisce che gli Stati Uniti stanno preparandosi a una possibile guerra intercontinentale con la Cina e/o la Russia. Vengono richiesti 705 miliardi di dollari per “spostare l’attenzione dalle guerre in Iraq e in Afghanistan e una maggiore enfasi sui tipi di armi che potrebbero essere utilizzate per combattere i giganti nucleari come la Russia e la Cina”, osservando che ciò richiede “sistemi di arma più avanzati e sofisticati, che offrano una maggiore capacità di impatto, una maggiore mortalità e un dispositivo capace di far fronte alle minacce di avversari di pari dimensione in un ambiente più complesso ”. I militari hanno recentemente ricevuto il primo lotto di testate nucleari a basso rendimento, che, secondo gli esperti, confondono il confine tra un conflitto convenzionale e uno nucleare, rendendo molto più probabile quest’ultimo.

Un approccio bipartisan 

Non c’è stata una risposta significativa da parte dei democratici. Infatti, il team di Joe Biden ha suggerito che l’intera politica industriale degli Stati Uniti dovrebbe ruotare attorno alla “competizione con la Cina” e che la sua “priorità principale” è quella di affrontare la presunta minaccia rappresentata da Pechino. L’ex vicepresidente ha anche attaccato Trump da destra sulla questione della Cina, cercando di presentarlo come uno strumento di Pechino, ricordando come Clinton lo aveva ritratto nel 2016 come un agente del Cremlino. Solo il candidato del Partito Verde, Howie Hawkins, ha promesso di tagliare il bilancio militare del 75% e di attuare un disarmo unilaterale.

Le voci che esprimono preoccupazione per una nuova corsa agli armamenti sono poche. L’attivista veterano della non proliferazione nucleare Andrew Feinstein è un’eccezione, avendo dichiarato:

“I nostri governi spendono ogni anno più di $ 1,75 trilioni in guerre, armi, conflitti … Se potessimo impiegare questo tipo di risorsa per affrontare la crisi del coronavirus che stiamo vivendo, immaginate che cosa potremmo fare. Immaginate come potremmo combattere la crisi climatica, come potremmo affrontare la povertà globale, la disuguaglianza. La nostra priorità non deve mai essere la guerra; le nostre priorità devono essere la salute pubblica, l’ambiente e il benessere umano”.

In ogni caso, di fronte a una nuova guerra psicologica del governo contro la Cina, è improbabile che voci come quelle di Feinstein ricevano spazio sulla stampa mainstream.