L’incontro Trump/Putin e i portavoce della guerra

trump putin helsinki2018di Wevergton Brito Lima*

da resistencia.cc

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

17 luglio 2018

L’incontro avvenuto il 16 luglio, nella capitale finlandese, Helsinki, tra Trump e Putin, i due massimi dirigenti delle due più grandi potenze nucleari del pianeta, Stati Uniti e Russia, potrebbe essere analizzato sotto diversi angoli di visuale: geopolitici e /o militari in cui direttamente o indirettamente i due paesi sono coinvolti (Ucraina, espansione della NATO, Siria, Medio Oriente, Crimea, ecc.), contraddizioni economiche, opinioni divergenti sul sistema di governance globale (ONU ecc.).

Tutte queste questioni coinvolgono aspetti che vanno oltre gli interessi delle due nazioni e i loro sviluppi, in una direzione o nell’altra, che possono investire centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Così, è a partire da questi argomenti che può essere fatta un’analisi dei progressi, del congelamento o degli arretramenti nelle relazioni tra queste due potenze, tenendo conto degli interessi della pace mondiale.

Tuttavia, secondo gli analisti del mainstream dominante, niente di tutto questo è importante. Anche perché su tutti questi argomenti propone una visione inconfondibile e senza sfumature: la Russia ha torto e gli Stati Uniti hanno ragione.

Pertanto, non sorprende che l’analisi corale dei media egemonici internazionali si concentri su un aspetto assolutamente secondario: la presunta interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali americane tenutesi nel 2016.

Questa non è solo una questione secondaria, ma, in effetti, del tutto irrilevante, sia per l’umanità in generale che per gli Stati Uniti in particolare.

Diciamolo: se il tentativo di interferire nella direzione della politica interna degli Stati Uniti fosse vero, cosa avrebbe reso la Russia diversa da ciò che fanno gli Stati Uniti in tutte le elezioni del globo?

Gli Stati Uniti sono stati recentemente presi con le mani in pasta, spiando e persino violando telefoni di fedeli alleati, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, che si era lamentata amaramente nel 2013: “spionaggio tra amici, questo non va fatto“. L’allora primo ministro belga, Elio Di Rupo, un altro alleato vittima dello spionaggio americano, aveva chiesto che fosse intrapresa un’azione legale: “I fatti sono fatti. Non possiamo accettare, da nessuno, spionaggio sistematico. Sono necessarie misure e non si può immaginare che lo debba fare un singolo paese. Sono necessarie misure europee … per fermarlo”.

Sono passati cinque anni da allora. Rupio non è più il primo ministro belga, nessuna misura è stata presa dall’ “Europa” e gli Stati Uniti continuano a spiare tutti come prima.

Ora, con quale obiettivo gli Stati Uniti spiano gli alleati? La risposta è ovvia: per avere informazioni privilegiate, con mosse che interferiscono nelle politiche interne di questi paesi a favore degli interessi americani.

La storia delle interferenze americane nelle elezioni di tutto il mondo, con la frode o promuovendo frodi, non è un segreto per nessuno e persino apertamente ammesso dagli ex capi della CIA. Ma gli “analisti”, al soldo dell’apparato mediatico dominante, parlano con isteria di una presunta interferenza russa nelle elezioni americane come se cose simili non fossero mai accadute nel mondo.

La loro “analisi” dell’incontro tra Putin e Trump potrebbe essere tratta dalla versione offerta dalla CIA. È solo una lista delle opinioni di Washington, prese come verità indiscutibili, e una difesa dei “servizi segreti”, un eufemismo per descrivere l’apparato repressivo statunitense.

E’ patetico che i nostri media riprendano queste analisi senza alcun filtro e finiscano per adottare un tono indignato nei confronti di Trump perché “non difende gli interessi degli USA”, o perchè non dà credito ai “servizi di intelligence statunitensi”.

Diamo un’occhiata, ad esempio, poiché non ha scritto nulla di molto diverso dalla stragrande maggioranza degli “analisti” dei media commerciali, al testo scritto da Helio Gurovitz pubblicato in G1 (il portale di Globo). L’editorialista inizia condiscendente verso Trump, poiché dopo tutto “non ha riconosciuto la sovranità russa sulla Crimea, non ha esentato la Russia dalle responsabilità per gli avvelenamenti nel Regno Unito, né ha sostenuto il regime di Bashar Assad”.

E’ interessante notare quanto sia molto importante per il giornalista che Trump non riconosca la sovranità della Russia sulla Crimea (regione che fa parte della Russia dal 18° secolo – con una breve interruzione nel XX secolo – e la cui popolazione ha fortemente espresso il desiderio di essere parte della Russia), non assolva la Russia per aver avvelenato una spia e sua figlia (accusa che non è sostenuta da prove e che appare una storia senza capo né coda, che qui non abbiamo tempo di dettagliare) né difenda il legittimo governo siriano di Bashar Al-Assad che sta sconfiggendo i terroristi finanziati e addestrati da Washington. Perché trova tutto questo importante? L’autore non perde tempo a discutere. La risposta è implicita: se gli Stati Uniti sostengono che la Crimea non è la Russia, che la Russia ha avvelenato una spia a Londra e che Bashar Assad deve essere rovesciato in Siria, non c’è nulla da discutere, questo può essere solo vero, una verità sacra.

A questo punto l’articolo inizia il massacro contro il magnate razzista e reazionario Donald Trump, ma non perché sia un magnate, razzista e reazionario, ma perché Trump “ha negato le conclusioni di tutti i servizi di intelligence americani” e tra le smentite di Putin e “le indagini della CIA, dell’FBI, della NSA “, Trump avrebbe scelto Putin, che, per” l’analista “, avrebbe scelto la bugia.

Ciò significa che per Helio Gurovitz e i suoi simili è ancora una volta sottinteso che ciò che la CIA, l’FBI o l’NSA dicono sia, in realtà, una sacra verità. Sono le stesse persone che sperano ancora di trovare in Iraq le armi di distruzione di massa che questi stessi servizi segreti statunitensi hanno dichiarato essere in possesso di Saddam Hussein, una menzogna ordita per giustificare una guerra che ha distrutto un paese e ucciso milioni di persone a beneficio delle tasche di qualcuno.

Dopo aver espresso la sua indignazione per il fatto che Trump non abbia creduto si suoi servizi di intelligence, l’editorialista di G1 descrive, con ovvia soddisfazione, le ripercussioni negative negli Stati Uniti della performance di Trump con Putin e cita il senatore repubblicano John McCain, un veterano del Vietnam, ultraconservatore, per il quale “nessun precedente presidente si è abbassato in modo così abietto davanti a un tiranno”.

In realtà, ciò che ha turbato John McCain non è che considera Putin (il presidente eletto con il voto a maggioranza del popolo russo, al contrario di quanto è accaduto con il presidente degli Stati Uniti) un “tiranno”, perché non gli piacciono davvero i tiranni, mentre mostra il suo rapporto intimo con la dispotica famiglia reale dell’Arabia Saudita, che riempie generosamente le casse delle sue entità “caritatevoli”. Ciò che ha turbato MacCain e altri critici in merito ai risultati dell’incontro tra Putin e Trump (che concretamente non ha presentato molte novità), è qualcosa di molto diverso.

MacCain e molti parlamentari repubblicani e democratici sono legati in modo ombelicale a una delle principali industrie americane: l’industria delle armi, l’industria bellica.

Quello che avrebbero voluto è che Trump e Putin avessero incentivato lo scenario dell’instabilità che il mondo vive già a un limite massimo di tensione. Ma Trump, che usa l’imprevedibilità dei suoi gesti come propria strategia, non ha rispettato la tabella di marcia pianificata in quel momento.

Bisogna capire che l’industria bellica è come ogni altra: ha bisogno di vendere i suoi prodotti. In questo senso, maggiore è la tensione, meglio è. Anche se la guerra non esplode, le nazioni si armano, e puoi essere sicuro che stiamo parlando di miliardi e miliardi di dollari che finiscono nelle casse di MacCain e simili.

Non dubitiamo che parte di questo mare di denaro serva a mantenere il potere delle oligarchie, e dei loro media, nei paesi sfruttati, il che spiega molto del “patriottismo” per una patria straniera di “analisti” al servizio del mainstream egemonico.

Il potere di questa lobby di armi è potente e alla fine Trump è costretto ad affermare di essere stato “male interpretato” e che in realtà sostiene e accetta le conclusioni dei suoi infallibili servizi segreti e che alla fine la Russia è responsabile di tentare di interferire nelle elezioni americane. Gli scribi dei media commerciali sono già pronti a commentare abilmente la ritirata senza contraddirsi, e non nascondono un sorriso di soddisfazione: la lobby della guerra ha vinto ancora.

* Wevergton Brito Lima, giornalista, è membro della Commissione di Politica e Relazioni Internazionali del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)