In merito alla pericolosa tensione nella Penisola Coreana e alle sue cause

corea guerradi Albano Nunes | da “Avante!”, Settimanale del Partito Comunista Portoghese

Traduzione di Marx21.it

Una dettagliata storia del conflitto che sta sollevando le preoccupazioni di tutto il mondo.

La Corea è una nazione divisa. Da quando? Perché? Cosa impedisce la sua riunificazione? E perché lo spazio in cui vive il popolo coreano, la Penisola Coreana, si è trasformato nel pericolosissimo focolaio di tensione che ha scosso il mondo?

Non si tratta di questioni semplici. Se lo fossero non si sarebbe certamente arrivati alla situazione di acuto scontro a cui si è giunti con uno strascico di distruzione e di morte tra i più tragici che l’umanità abbia conosciuto.

Ma per rispondere a queste domande è necessario spezzare la spessa cortina di fumo ce è caduta sulla verità storica e combattere la campagna manichea che sistematicamente demonizza e caricaturizza la Repubblica Popolare Democratica della Corea e presenta gli Stati Uniti e i loro più prossimi alleati come immacolati paladini del Diritto e della Sicurezza internazionale.

La posizione del PCP in relazione al problema della Corea è molto chiara.

Nell’affermare il proprio programma e progetto per il Portogallo indipendentemente da differenze di opinione e divergenze, alcune di principio, compresi quegli orientamenti che a nostro parere si allontanano dai principi e dalle caratteristiche dell’edificazione delle società socialiste, il PCP ha sempre espresso al Partito del Lavoro della Corea e al popolo coreano (RPD della Corea e Corea del Sud) la solidarietà verso la lotta per la riunificazione indipendente e pacifica della loro patria, contro le minacce e aggressioni dell’imperialismo statunitense, per il completo ritiro delle forze armate degli USA, che stazionano nella Corea del Sud, per una penisola coreana libera da armi nucleari.

Nella sua posizione politica il PCP non ha mai confuso la richiesta di solidarietà con i comunisti, gli altri patrioti e democratici e il popolo coreano con qualsiasi identificazione con il sistema sociale e politico nord coreano da cui ha pubblicamente preso le distanze in varie occasioni, e basti ricordare l’intervista di Alvaro Cunhal concessa ad Avante! del 1 agosto 1991, dopo un’importante visita in Estremo Oriente, quando aveva incontrato Kim Il Sung.

In ogni caso la questione che si pone, e con la maggiore gravità e urgenza, è la questione della pace nella Penisola Coreana, il che significa anche la questione della pace e della sicurezza in una vasta area che coinvolge la Cina, la Russia e il Giappone, e con implicazioni in tutta l’area Asia-Pacifico. E’ questa e non un’altra la questione centrale che si pone alle forze che difendono la pace e la sovranità dei popoli e da essa non ci distrarranno neppure i frequenti attacchi che mirano a pregiudicare il buon nome del PCP (e che comprendono spudorate bugie come è avvenuto in relazione all’ultima Festa di Avante!) e le manovre di diversione che, come certe mozioni all’Assemblea della Repubblica presentate da proponenti che vanno dal CDS a BE (dalle forze più conservatrici fino al Blocco di Sinistra, membro del “Partito della Sinistra Europea”, NdT) che si propongono di dare credibilità, offrendo oggettivamente giustificazioni, alle posizioni aggressive degli Stati Uniti, della NATO e dell’Unione Europea.

Barbara aggressione

Nell’analisi della situazione creata nella Penisola Coreana non si può dimenticare che la Corea è una civiltà millenaria, con una propria identità culturale e nazionale, che a partire dal 1910 ha subito una crudele occupazione giapponese che è terminata solo nel 1945, dopo un’eroica guerra di liberazione diretta dai comunisti coreani e la resa del Giappone nella II Guerra Mondiale, con la Penisola divisa al 38° parallelo in due zone occupate da forze sovietiche e statunitensi.

Ma quella che doveva essere una situazione provvisoria si è prolungata a tempo indefinito. L’URSS  ritirò le sue truppe nel 1947 e l’anno seguente fu fondata la Repubblica Popolare Democratica della Corea (in risposta alla proclamazione unilaterale un mese prima della Repubblica di Corea), ma gli Stati Uniti rimasero nel Sud con una potente forza militare appoggiando la dittatura fascista di Sygman Rhee, una situazione che si è mantenuta fino ad oggi. L’indiscutibile legittimità del potere nel Nord, diretto dalle forze che avevano sconfitto il colonialismo giapponese contrastava con il potere imposto dagli USA nel Sud, situazione che ha portato allo sviluppo di poderose lotte popolari, a volte con carattere insurrezionale, contro la dittatura e per il ritiro delle forze straniere.

E’ stata questa complessa situazione che ha portato il 25 giugno 1950 allo scoppio di un conflitto interno che è degenerato in una guerra che sarebbe terminata solo nel 1953. Accusando la RPDC di “invasione” del Sud e approfittando dell’assenza dell’URSS nel Consiglio di Sicurezza (CS) delle Nazioni Unite (in segno di protesta contro l’occupazione del posto della Cina all’ONU da parte della dittatura di Chiang Kai-shek di Formosa), gli Stati Uniti hanno strumentalizzato l’ONU per intervenire militarmente in Corea facendo approvare la risoluzione 84 del CS. E’ così che, sotto la bandiera delle Nazioni Unite, l’imperialismo statunitense ha condotto la più distruttrice e micidiale guerra di aggressione mai vista prima di allora. Si calcola che in essa siano morti più di quattro milioni di coreani e circa un milione di cinesi (mobilitati per impedire il pericoloso avvicinamento degli invasori alla frontiera con la Cina). Nel Nord, l’aviazione statunitense ha bombardato sistematicamente città e villaggi, ha distrutto fabbriche, scuole ed ospedali, ponti e ferrovie, dighe e colture agricole. Pyongyang è stata ridotta a un montagna di detriti. Il napalm, conosciuto solo alla fine della II Guerra Mondiale, ha visto in Corea il suo primo utilizzo sistematico precedendo i mostruosi crimini che più tardi sono stati compiuti nel Vietnam sollevando l’indignazione del mondo. Per resistere e sopravvivere il popolo coreano è stato costretto a organizzare la vita quotidiana in rifugi sotterranei di straordinaria dimensione.

Contesto internazionale

Così immensi crimine e devastazione sono incomprensibili se non si tiene conto della natura criminale dell’imperialismo e del contesto internazionale di allora. Cinque anni prima gli Stati Uniti avevano sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki con l’obiettivo di affermare la loro egemonia nel mondo. La “guerra fredda” era in corso, la dottrina del “contenimento del comunismo” aveva il vento in poppa e la Corea aveva confini con l’Unione Sovietica e con la Repubblica Popolare della Cina che era nata appena il 1 ottobre 1949 come frutto della grande rivoluzione cinese. La NATO era stata fondata l’anno prima e il trattato di sicurezza nippo-statunitense era in fase di elaborazione nello stesso momento in cui si stavano rafforzando la base di Okinawa e altre basi militari statunitensi in Giappone e gli USA stavano appoggiando con forza i colonialisti francesi in Indocina nella loro ingloriosa guerra contro il potente movimento patriottico e rivoluzionario diretto da Ho Chi-Min. Nella terra dello zio Sam la “caccia alle streghe” maccartista stava avanzando e contro Ethel e Jules Rosemberg veniva crudelmente eseguita la condanna a morte nella prigione di Sing Sing il 20 giugno 1953.

No, non si è trattato di una guerra puramente difensiva come ancora oggi la comunicazione sociale dominante cerca di far credere. In Corea l’imperialismo statunitense applicava la sua teoria del “contenimento del comunismo” e cercava di affermare i percorsi di egemonia mondiale che si proponeva, non esitando anche a brandire la minaccia della ripetizione dell’utilizzo (“preventivo”, è chiaro) dell’arma nucleare, uno scenario che nella guerra di Corea è stato in diversi momenti considerato e che non si è verificato solo perché l’URSS, in una corsa contro il tempo che ha salvato l’umanità da una nuova guerra mondiale ancora più terribile di quella precedente, è riuscita a dotarsi dell’arma atomica nel 1949 e della bomba all’idrogeno nel 1955, riuscendo così a raggiungere e a garantire l’equilibrio militare strategico con gli Stati Uniti.

Come nei passati anni cinquanta, anche oggi non è possibile isolare le minacce che incombono sulla Penisola Coreana dalla lotta di classe sul piano mondiale nel contesto dell’aggravamento della crisi strutturale del capitalismo e dello sforzo degli Stati Uniti per contenere il declino della loro influenza sul piano mondiale. Non è separabile dalle aggressioni all’Iraq e alla Libia, con la distruzione di questi paesi; dal bombardamento con missili della Siria dove, tra l’altro, gli Stati Uniti stanno subendo una severa sconfitta; dal lancio della “madre di tutte le bombe” sull’Afghanistan; dal proseguimento nell’impunità dell’azione criminale dello Stato di Israele nei territori palestinesi occupati, di un paese il cui possesso dell’arma atomica non inquieta per nulla l’imperialismo; dalle minacce di intervento militare in Venezuela; dal rafforzamento militare degli USA in Afghanistan e dal dispiegamento delle basi militari statunitensi in tutto il mondo.

La tensione in Corea si inserisce nella scalata militarista nel Pacifico, dove accanto alla presenza sempre crescente delle squadre navali degli USA, che già solcano il Mar Meridionale Cinese, stiamo assistendo a un balzo in avanti pericoloso del militarismo giapponese (che violando la sua Costituzione pacifista già reclama armi nucleari), prendono coraggio i “nazionalisti” di Formosa provocando la Cina, e nella Corea del Sud si cerca di annientare qualsiasi sentimento di sovranità e apertura al dialogo con il Nord e si impone l’installazione di un sistema anti-missili che giustamente preoccupa la Repubblica Popolare della Cina. E tutto questo, va notato, agitando sempre il pretesto secondo cui la RPDC costituisce una minaccia alla sicurezza nella regione. E’ la strategia della tensione tanto cara all’imperialismo, strategia che gli permette di abbattere resistenze, far avanzare le proprie posizioni e sfruttare il lucroso commercio delle armi (come in Arabia Saudita e ora in Corea del Sud e in Giappone) che il poderoso complesso militare-industriale esige e che aiuta l’economia statunitense a eludere la propria crisi strutturale.

L’armistizio del 1953

Dopo due anni di faticosi negoziati, durante i quali, senza risultato, gli Stati Uniti avevano fatto di tutto per occupare l’intero Nord e piegare il popolo nord coreano, fu firmato il 27 luglio 1953 a Panmunjong l’armistizio che pose finalmente fine alle operazioni militari ma non allo stato tecnico di guerra che è continuato fino ad oggi di fronte al rifiuto degli Stati Uniti di firmare un accordo di pace. Nord e Sud sono stati separati da una zona smilitarizzata di quattro chilometri lungo (approssimativamente) il 38° parallelo. Ma questa linea di demarcazione che doveva essere di dialogo e di pace, è stata sistematicamente violata. Si sono moltiplicate le azioni di propaganda ostile, i voli spia e le violazioni delle acque territoriali nord coreane, il che ha portato all’abbattimento di aerei da parte delle batterie della contraerea nord coreana e allo speronamento di navi da guerra degli Stati Uniti. Con il pretesto della “minaccia del Nord” è stato costruito, da costa a costa e al confine con la parte Sud della zona smilitarizzata, un muro del quale la comunicazione dominante non parla mai. Nel frattempo, nel Sud le mobilitazioni per la riunificazione e per il ritiro delle truppe statunitensi di occupazione non sono mai cessate. L’insurrezione di Gwangju del maggio 1980 contra la dittatura di Chun Doo-huan, affogata nel sangue, ancora oggi è celebrata come simbolo della lotta per la democrazia nella Repubblica di Corea.

La riunificazione della Corea è rimasta per decenni la principale rivendicazione della RPDC che ha avanzato importanti proposte politiche come quella della creazione di una “Repubblica Democratica di Koryo” basata sul principio originale di “una nazione, uno Stato, due sistemi”, che ha anticipato in un certo modo la politica cinese di “un paese, due sistemi” sulla cui base Macao e Hong Kong sono stati integrati nella Repubblica Popolare della Cina. La lotta per la riunificazione della Corea, per la trasformazione dell’armistizio in accordo di pace, per il ritiro delle truppe straniere dal Sud e la trasformazione della Penisola Coreana in una zona denuclearizzata ha suscitato un ampio movimento internazionale di solidarietà con il popolo coreano. In Portogallo, dove fino al 1995 la RPDC manteneva un’ambasciata, è stato creato un ampiamente unitario Comitato Portoghese per la Riunificazione Pacifica della Corea di cui è stato esponente l’ex presidente della Repubblica maresciallo Costa Gomes e, tra le molte manifestazioni di solidarietà, ha avuto luogo un’importante Conferenza Internazionale organizzata dal movimento della pace. La Rivoluzione di Aprile ha adempiuto al suo dovere verso il popolo coreano.

Preparativi di guerra

La questione del disarmo nucleare e della trasformazione della Penisola in zona libera dalle armi nucleari ha assunto progressivamente una grande dimensione. Gli Stati Uniti avevano installato nella Corea del Sud armi dotate di ogive nucleari puntate contro la Corea del Nord, che (ufficialmente) sono state ritirate solo nel 1991. La RPDC aveva aderito volontariamente al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) nel 1985, (al contrario ad esempio di Israele che non lo ha mai firmato). Lo sviluppo del suo programma nucleare per fini pacifici è diventato oggetto della maggior parte dei sospetti da parte dell’imperialismo che, di richiesta in richiesta, è arrivato a minacciare di bombardare la centrale nucleare di Yongbyong. E’ in questo quadro di tensione, e quando, in conseguenza della scomparsa dell’URSS e dei grandi disastri naturali che avevano colpito l’agricoltura, irrompe una gravissima crisi alimentare nella RPDC, che è firmato il 21 ottobre 1994 a Ginevra un Protocollo di Intenti tra gli USA e la RPDC che prevedeva l’interruzione del suo programma nucleare, aiuto alimentare e 500.000 tonnellate di petrolio all’anno per compensare l’arresto della produzione nucleare di energia elettrica. Questo accordo non è stato rispettato dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e in seguito alti responsabili hanno confessato che l’obiettivo degli statunitensi era quello di strangolare energeticamente la RPDC. 

Questo è appena un esempio, ma particolarmente importante, dei laboriosi accordi non rispettati, dei progressi e delle battute di arresto in molti processi negoziali, che hanno coinvolto direttamente le due parti coreane (tra cui sono da rilevare la Dichiarazione congiunta del 15 giugno 2000 e la Dichiarazione del Vertice del 4 ottobre dello stesso anno che rendevano possibili lo sviluppo di relazioni umane ed economiche tra il Sud e il Nord, compresa la creazione della zona industriale di  Kaesong) e che coinvolgevano anche gli Stati Uniti e la RPDC in promettenti processi di distensione come è accaduto con i negoziati a Sei (con Cina, Russia, Corea del Sud e Giappone) in un intricato processo in cui non è facile discernere le responsabilità per la loro rottura. Accordi e negoziati punteggiati da frequenti incidenti militari, pericolose minacce, picchi di tensione molto seri, e numerose sanzioni contro la RPDC. La RPDC sembra sempre essere identificata come quella che minaccia la sicurezza regionale e internazionale. Quando George Bush proclama nel 2002 il celebre “asse del male”, in esso include, oltre all’Iraq e all’Iran, anch’esse nemici da abbattere, la RPDC, distruggendo con un solo colpo qualsiasi elemento di fiducia che ancora esisteva nelle parole degli Stati Uniti. E’ da molto tempo che la Corea del Nord è inserita dagli Stati Uniti nella loro lista degli Stati “promotori del terrorismo”. Altri eventi, come le aggressioni all’Iraq, alla Libia (invase dopo avere distrutto i loro arsenali di armi non convenzionali) e alla Siria hanno alimentato ancora più seria sfiducia in relazione alle reali intenzioni degli USA. E’ in questo contesto che la RPDC abbandona il TNP nel 2003 e decide di dotarsi di un sistema di dissuasione nucleare.

Nel frattempo, un fatto incontestabile persiste: gli Stati Uniti non solo non hanno ritirato le loro truppe dalla Corea del Sud ma hanno rafforzato la loro presenza militare nella regione e hanno realizzato sempre più numerose e minacciose manovre militari congiunte con la Corea del Sud, manovre che rappresentano effettivi preparativi di guerra, tanto più che Washington non ha mai escluso l’uso della forza militare, compresa l’arma nucleare, per “prevenire la minaccia” proveniente dal Nord.

La posizione del Partito Comunista Portoghese

E’ in questo complesso quadro che la pericolosa situazione nella Penisola Coreana deve essere valutata. Senza di ciò non sarà possibile avviare la soluzione politica che si impone. Senza riconoscere le responsabilità storiche dell’imperialismo statunitense, non sarà possibile instaurare il clima di fiducia necessario a qualsiasi processo di negoziati, il che passa necessariamente non solo attraverso la fine delle minacce, ma con garanzie per la RPDC di sicurezza esigibile e di sviluppo di misure per ridurre la tensione e avanzare verso la necessaria soluzione politica.

Il 2 settembre la RPDC ha testato la sua arma nucleare e ha dichiarato di essere in grado di fronteggiare un’aggressione al suo territorio da parte degli USA. L’11 il Consiglio di Sicurezza ha adottato all’unanimità, con il voto della Cina e della Federazione Russa, un altro durissimo pacchetto di sanzioni con l’obiettivo di ostacolare e costringere la Corea del Nord a rinunciare al proprio programma nucleare e balistico. La risoluzione fa riferimento alla necessità di una de-escalation della tensione e si pronuncia per una soluzione negoziata. La Russia e la Cina vi sono particolarmente impegnate. Ma l’assenza del minimo riferimento alle responsabilità degli Stati Uniti e anche al sistema anti-missili in fase di installazione non lascia presagire niente di buono. Come non fa augurare niente di buono anche la reazione della RPDC che insiste con la retorica del confronto e con i test di un nuovo missile a lunga gittata, che rischia così di alienare alleati, di  isolarsi pericolosamente dall’opinione pubblica internazionale e di fornire all’imperialismo statunitense il pretesto per proseguire nella sua scalata militarista aggressiva nella regione e nel mondo. Di fatto si è accentuata ancora di più la retorica bellicista, si sono verificati nuovi e pericolosissimi movimenti militari, e la necessità del dialogo per una soluzione politica si è fatta ancora più pressante.

Per quanto riguarda il PCP la sua posizione è chiara: no alla proliferazione di armamento nucleare, si a una Penisola Coreana libera dalle armi nucleari, si alla completa abolizione dell’arma nucleare, no alla corsa agli armamenti, si al disarmo generale, simultaneo, controllato, si a un mondo di coesistenza pacifica, di cooperazione e di pace. E, allo stesso tempo, solidarietà con tutti i popoli che lottano contro le aggressioni dell’imperialismo e per la loro liberazione e solidarietà con la lotta del popolo coreano per liberare la sua terra dalle forze militari straniere e per la riunificazione senza ingerenze esterne della propria patria millenaria.

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