Beslan: uno sconvolgente precedente per riflettere anche sulla strage di Parigi

beslan 2 101di Mauro Gemma

Immenso è l’orrore per quanto è accaduto a Parigi e per la efferata crudeltà degli assassini che non hanno esitato a colpire senza pietà centinaia di uomini e donne inermi in una metropoli europea.

La strage nella capitale francese, per le modalità orribili con cui è stata compiuta, rimanda immediatamente, almeno per chiunque pratichi l’esercizio della memoria storica, ad analoghi massacri negli anni scorsi, in diverse località della Russia, perpetrati dalle bande dei terroristi ceceni – imbevuti della stessa ideologia criminale dei carnefici di Parigi – che provocarono eccidi di dimensioni ancora maggiori di quelli del venerdì di sangue.

Ricordate, ad esempio, la strage di Beslan del settembre 2004, in cui, in seguito all’assalto al locale istituto scolastico,  furono massacrate più di 300 persone, tra cui 186 bambini? Ebbene, quando siamo richiamati oggi da una impressionante campagna mediatica all’obbligo di essere “tutti francesi”, non si deve dimenticare quale fu il miserabile trattamento riservato, da tanta parte dei media del mainstream imperialista e dai nostalgici dell’ “era Eltsin” in Russia, alla tragedia che in quel momento sconvolgeva quella nazione.

Non è possibile, ad esempio, dimenticare che qualche “democratico” russo anti-Putin (compresi quelli che ancora oggi vengono, dalle nostre parti, descritti come “paladini della libertà”) allora cercò addirittura di attribuire il massacro alla dirigenza della Federazione Russa, in quanto considerata responsabile del soffocamento “delle legittime aspirazioni all’indipendenza della Cecenia”. Venne così attuato il disgustoso tentativo di giustificare i tagliagole dei clan criminali di Grozny, spacciati da qualcuno persino come “combattenti di liberazione nazionale”, a cui concedere sostegno morale e materiale (come, del resto, fecero concretamente alcuni oligarchi russi, “in esilio” in Occidente e in guerra con Putin).

E come dimenticare che anche da noi simili aberranti giustificazioni trovarono orecchie attente e complici tra alcuni di coloro che oggi, dagli schermi televisivi, si indignano per la strage orribile che continuatori delle “gesta” dei terroristi ceceni (che ancora oggi combattono, in numero consistente, nelle file dell’ISIS e che hanno partecipato anche ai crimini dei battaglioni nazisti ucraini nel Donbass) hanno perpetrato nella capitale francese!

Non pensiamo allora che sia un inutile esercizio ritornare con la memoria a quelle tragiche giornate del settembre 2004 e richiamare alle proprie responsabilità coloro che allora, anche da noi (e anche, purtroppo, in certa “sinistra radicale”, per non parlare di quei settori sedicenti “pacifisti” che oggi, dopo i fatti di Parigi, si allineano alla richiesta di una forza militare comune europea e di corpi “civili” europei… al seguito della NATO, ovviamente), non solo chiusero gli occhi dimenticando rapidamente, ma cercarono in qualche modo di coprire i veri responsabili – ceceni, russi e stranieri – dell’orrendo eccidio, ripetendo lo stesso copione che avevano sostanzialmente seguito quando, due anni prima, le bande degli assassini ceceni avevano colpito la stessa capitale russa, sequestrando 850 spettatori nel teatro Dubrovka e uccidendone 130.

Ma come avevano reagito allora gli opinionisti russi di “fede democratica” (e, in sorprendente armonia con quelli dell’Occidente) di fronte alla tragica vicenda del massacro di Beslan?

Quello che balzò immediatamente agli occhi fu appunto la singolare sintonia, che sembrava indicare una comune regia, con cui si mossero gli organi di stampa più direttamente legati ai grandi oligarchi russi in rotta di collisione con l’amministrazione presidenziale.

Costoro non esitarono a riprendere l’intero armamentario propagandistico in merito alle questioni della politica russa in uso in Occidente, che in quel momento si proponeva come obiettivo prioritario mettere in difficoltà il presidente Vladimir Putin, impegnato a districarsi tra gli ostacoli e le contraddizioni che incontrava il suo tentativo di affermare – dopo i disastri provocati dal decennio eltsiniano seguito alla vittoria controrivoluzionaria del 1991 e che si erano ripercossi pesantemente sul primo periodo del mandato dello stesso Putin – un ruolo di primo piano per la Russia e la ricostruzione di quelle fondamentali basi economiche e politiche necessarie al suo risanamento.

Tra le priorità c’era sicuramente la salvaguardia dell’unità e della coesione dell’immenso stato eurasiatico, la cui disgregazione e destabilizzazione ha rappresentato (e continua a rappresentare) fin dai primi anni ’90 dello scorso secolo, senza ombra di dubbio, uno dei principali obiettivi strategici dei concorrenti imperialisti della grande potenza nucleare, i quali si erano saldamente installati ai suoi confini e disponevano ormai di un micidiale meccanismo di alleanze politico-militari, predisposte per intervenire in qualsiasi situazione di crisi che si fosse manifestata ai margini e all’interno stesso della Federazione Russa. Come gli sviluppi degli anni seguenti fino al giorno d’oggi hanno poi drammaticamente confermato.

Ecco allora che, immediatamente dopo la presa degli ostaggi da parte del manipolo di terroristi ceceni, apparvero in molti “media” russi di orientamento “liberal” e nel “network” delle comunicazioni internazionali – pur nel contesto di una scontata esecrazione della tragedia avvenuta nella città dell’Ossezia settentrionale – una serie di significativi “distinguo” rispetto al giudizio da dare in merito al comportamento tenuto dalle strutture di direzione politica e di sicurezza della Federazione Russa nell’affrontare la crisi.

Tali esternazioni si proponevano lo scopo di attribuire le responsabilità della tragedia esclusivamente alle caratteristiche “tecniche” della reazione russa all’attacco terroristico e ad un’attitudine “cinica” dello stesso Vladimir Putin, che non avrebbe tenuto nella giusta considerazione gli aspetti umanitari della vicenda.

Furono prevalentemente queste interpretazioni di alcuni tra i principali organi di stampa russi ad offrire il pretesto per le “richieste di chiarimento” partite da governi dell’Occidente ed esponenti dell’establishment americano ed europeo (a cui  immediatamente si associarono, con trasporto e senza fermarsi a riflettere un attimo, settori significativi della cosiddetta “sinistra radicale” europea che sembravano aver abbracciato la causa del movimento separatista caucasico) tese con ogni evidenza a mettere in imbarazzo nei confronti dell’opinione pubblica russa e internazionale e, in qualche modo, a “ricattare” un Vladimir Putin alle prese con uno dei più difficili momenti della propria carriera politica e ancora troppo condizionato dallo scenario “geopolitico” emerso dalla disgregazione dell’URSS, dalle pressioni che le potenze imperialiste e i grandi gruppi economici internazionali erano in grado di esercitare su una Russia indebolita e costretta in quel momento ad un ruolo di “più basso profilo” nel contesto planetario.

I “distinguo” si trasformarono poi in un attacco pesantissimo quando (ad esempio nel caso di un commento apparso nel sito internet “Gazeta.ru”, anch’esso notoriamente finanziato dagli oligarchi) si arrivò ad invocare la necessità di convocare un tavolo di trattative con i mandanti del massacro, mettendo così in atto la linea tracciata dal principale ispiratore della politica americana verso la Russia, l’autorevole consigliere di vari presidenti USA Zbignew Brzezinski, e dagli esponenti “neoconservatori” che avevano dato vita, insieme a uomini vicini ai leader terroristi Maskhadov e Zakaev, a un “Comitato Americano per la Pace in Cecenia”, che si proponeva di fare pressione sulla Russia perché negoziasse il definitivo sganciamento della Cecenia dal corpo dello stato federale russo, preparando così le condizioni per la sollecitazione di nuovi separatismi e la rivendicazione di nuove “indipendenze”.

Tutto ciò sta ad indicare con chiarezza la straordinaria sintonia esistente tra gli sviluppi della situazione cecena e le mosse politiche delle cordate dei magnati e dei loro protettori occidentali, i cui interessi venivano messi in discussione. Nell’articolo di “Gazeta.ru” dal titolo “Una politica esplosiva”, il suo autore affermava in modo esplicito che “il detonatore principale dei terroristi è rappresentato da Putin e dalla sua crudele politica” e si faceva portavoce delle “elites estromesse dal potere”, affermando che esse intendevano rientrare in gioco anche esternando la loro disponibilità ad intavolare in prima persona un dialogo a tutto campo con i terroristi “non solo sulle questioni che fanno comodo a Putin”.

Ora, per capire la ramificata e organizzatissima rete che stava dietro alla campagna internazionale di discredito del presidente russo e di sostegno al terrorismo ceceno, torna utile riprendere quanto ebbe a scrivere nelle pagine dell’autorevole giornale britannico “The Guardian” (8 settembre 2004), John Laughland, fiduciario del “British Helsinki Human Rights Group”: “…le cosiddette “crescenti critiche” sono di fatto dirette da uno specifico gruppo dello spettro politico russo e dei suoi sostenitori americani. Gli esponenti che dirigono le critiche russe al modo come Putin ha gestito la crisi di Beslan sono i politici filo-USA Boris Nemtsov e Vladimir Rizhkov – uomini associati alle riforme del mercato neo-liberale più spinto che hanno avuto effetti tanto devastanti sotto Boris Eltsin così amato dall’Occidente – e il Carnegie Endowment’s Moscow Centre. Fondato dal quartier generale di Washington, questa influente fondazione – che opera in coppia con la militare-politica Rand Corporation, allo scopo di produrre documenti sul ruolo della Russia nel sostegno agli USA a ristrutturare il “Più grande Medio Oriente” – ha ripetutamente biasimato Putin per le atrocità in Cecenia…Costoro tengono essenzialmente la stessa linea che è stata espressa dai leader ceceni, come Ahmed Zakaev, in esilio a Londra…

La durezza nei confronti di Putin si spiega forse con il fatto che, negli USA, il gruppo che si impegna per la causa cecena è rappresentato dal “comitato Americano per la Pace in Cecenia” (ACPC). La lista degli “americani in vista” che sono suoi membri è una rassegna dei più rappresentativi neoconservatori sostenitori entusiasti della “guerra al terrore”. Essa include Richard Perle, noto consigliere del Pentagono; Elliot Abrams con la fama di Iran-Contra; Kenneth Adelman, ex ambasciatore USA all’ONU che aveva incitato all’invasione dell’Iraq, pronosticando che sarebbe stata “una passeggiata”; Midge Decter, biografo di Donald Rumsfeld e direttore della Heritage Foundation di destra; Frank Gaffney del militarista Centre for Security Police; Bruce Jackson, ex ufficiale dell’intelligence militare USA e una volta vice-presidente della Loockeed Martin, ora presidente del Comitato USA sulla NATO; Michael Ledeen dell’American Enterprise Institute, ammiratore del fascismo italiano e ora fautore di un cambiamento di regime in Iran; e R. James Woolsey, ex direttore CIA, che è uno dei principali sostenitori dei piani di George Bush di rimodellare il mondo musulmano in base alle direttive USA.

L’ACPC diffonde energicamente l’idea che la ribellione cecena mette in evidenza la natura non democratica della Russia di Putin, e ricerca sostegni per la causa cecena, enfatizzando la serietà delle violazioni dei diritti umani nella minuscola repubblica caucasica. Il comitato paragona la crisi cecena alle altre cause “musulmane” alla moda, Bosnia e Kosovo, giungendo alla conclusione che solo un intervento internazionale nel Caucaso è in grado di stabilizzare la situazione…Provenendo da entrambi i partiti politici, i membri dell’ACPC rappresentano la spina dorsale della politica estera dell’establishment USA, e le loro opinioni sono di fatto quelle dell’amministrazione USA”.

Dati questi precedenti, non ce n’è a sufficienza per diffidare di certa “commozione” ipocrita che ci tocca ascoltare in questi giorni di lutto per la strage parigina?

Per questa ragione, ricordando gli eventi di quei giorni in Russia, non abbiamo inteso offrire solo la semplice rivisitazione storica di un tragico evento di undici anni fa, ma una delle innumerevoli testimonianze delle responsabilità che l’Occidente imperialista porta nella crescita del fenomeno del terrorismo jihadista (e non solo di quello, se pensiamo all’incentivo ad azioni terroristiche in funzione destabilizzante di governi progressisti, che viene offerto in paesi della stessa America Latina).

Quanti di simili episodi, che riguardano le più diverse aree geografiche e che rimandano alle responsabilità gravissime di tanti che, con una grande dose di ipocrisia, oggi invocano (seppur con diverse modulazioni) la “guerra di civiltà”, potrebbero essere riportati alla memoria? In ogni angolo delle aree di crisi, colpite dal flagello terroristico (dalla Libia alla Siria, dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Somalia all’Africa Occidentale, dal Kosovo alla stessa Cina, dove da lungo tempo mietono vittime inermi le azioni terroristiche di gruppi separatisti che godono, come quello ceceno, di coperture anche negli Stati Uniti).

Non è forse di queste omissioni, ammiccamenti e complicità che dovrebbero vergognarsi coloro che ieri tacevano e persino simpatizzavano per il terrorismo in Russia (e altrove), ma che oggi, strumentalizzando la giusta indignazione di un’opinione pubblica sconvolta dalla strage di Parigi, si strappano le vesti all’unico scopo di preparare nuovi interventi di coalizioni imperialiste e aggressioni a guida USA, UE e NATO in grado di garantire la realizzazione di progetti egemonici che poco hanno a che fare con i legittimi interessi dei popoli del nostro pianeta ed anche con la “lotta al terrorismo”?