Il Regional Comprehensive Economic Partnership, la Cina si rafforza in Asia

asean xidi Marco Pondrelli

La stampa italiana ha dedicato scarsa attenzione all’accordo firmato il 15 novembre. Il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) merita invece una riflessione approfondita, non solo per le conseguenza pratiche che avrà ma anche per quello che rappresenta per la Cina e per l’Asia. Questo accordo è stato paragonato al Trans Pacific Partnership (Tpp) che gli USA avevano proposto e che avrebbe ricompreso oltre a Washington molti paesi asiatici escludendo però la Cina. Appena eletto Trump fece retromarcia ed abbandonò il progetto. Nel caso del Rcep non solo la Cina non è esclusa ma ha avuto un ruolo centrale nella gestione del percorso.

L’accordo RCEP non prevede l’abolizione delle tariffe ma ne elimina molte esistenti e rende più facile aumentare la quota di commercio regionale. Molti osservatori ritengono che la firma del RCEP sia un’indicazione del declino dell’influenza degli Stati Uniti a livello internazionale, mentre allo stesso tempo evidenzia il crescente potere dell’Asia orientale negli affari economici mondiali[1].

L’accordo è stato firmato da 15 paesi che rappresentano 2,2 miliardi di persone e un terzo del Pil mondiale[2], l’area commerciale più grande al mondo. Dei 15 firmatari 10 sono componenti dell’ASEAN (Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam). L’ASEAN nacque nel 1967 per contrastare il pericolo comunista del sud-est asiatico. Nel tempo questa organizzazione internazionale è cambiata, non solo con l’ingresso di paesi non sospettabili di simpatie anti-comuniste (ad esempio il Vietnam) ma anche perché i rapporti con la Cina si sono intensificati.

Oltre all’ASEAN ed alla Cina ci sono altri 4 paesi coinvolti: Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. L’importanza di questo accordo è sottolineata dalle parole di Deborah Elms, direttrice esecutiva del think tank dell’Asia Trade Center di Singapore, la quale ricorda che i firmatari sono i principali produttori di beni e servizi destinati agli Stati Uniti e all’Europa, questo accordo mira a invertire la tendenza dando impulso al commercio asiatico sul proprio territorio[3].

Per quanto occorra ancora la ratifica di tutti i parlamenti già ora si può parlare di svolta e non solo per i motivi appena descritti. L’accordo aiuta a modificare gli equilibri geostrategici, rafforzando il ruolo della Cina e contribuendo a rasserenare il contesto internazionale.

Pensiamo ai rapporti difficoltosi fra Cina e Australia. Canberra non solo ospita a Darwin i marines statunitensi ma ha in atto una guerra a bassa intensità nel tentativo di fermare quella che viene vista da alcuni come una invasione silenziosa da parte di Pechino[4]. Il governo australiano ha bloccato il 5G sul proprio territorio e tenta anche di impedire che Pechino aiuti l’infrastrutturazione nei paesi limitrofi. Inoltre l’Australia sta tentando di vietare la presenza ed il sostegno alle associazioni cinesi, parlamentari di origine cinese sono stati attaccati ed inquisiti[5] con l’accusa di avere avuto rapporti con il governo cinese. Dall’altra parte questo atteggiamento, che spesso sconfina nel vero e proprio razzismo, deve fare i conti con un ruolo economico sempre più importante di Pechino rispetto all’Australia.

Un discorso simile può essere fatto anche per il Giappone. L’ex premier Abe Shinzō è stato protagonista di una forte virata nazionalista e militarista, dimostrando di essere pronto ad interpretare il ruolo di bastione statunitense nell’area in funzione anti-cinese, anche in questo caso però alle tensioni si accompagna un rapporto commerciale sempre più importante con la Cina.

Siamo, a maggior ragione dopo la firma dell’accordo RCEP, di fronte ad una guerra che Cina e Stati Uniti combattono con armi diverse. Gli USA spostano il confronto sul piano militare, la base di Okinawa, quella a Darwin, il THAAD in Corea del Sud oltre alla presenza militare nelle acque prospicienti le coste cinesi sono solo alcuni casi che mostrano la forte militarizzazioni che gli Stati Uniti stanno dispiegando. L’impero statunitense però non è più quello uscito vittorioso dalla guerra fredda e, fedele al vecchio assunto per cui non ci sono pasti gratis, chiede ai propri alleati di pagare per essere difesi. Il conto per questi paesi è sia diretto (aumentando le spese per la difesa) che indiretto (rinunciando a parte degli investimenti cinesi), è un costo sempre più difficile da reggere in un momento di forte crisi come quello presente.

Le regole di ingaggio cinesi sono diverse. Pur non rifiutando lo strumento militare Pechino punta sul commercio e sulle relazioni economiche. In questo modo la Cina sta diventando un elemento centrale nel quadrante asiatico. Dopo il 2008 quando la crisi, nata negli Stati Uniti, ha destabilizzato l’intero globo la Cina è stata un elemento di stabilizzazione. La stessa cosa può essere affermata per il quadro che uscirà dalla crisi pandemica globale. Pechino sta guidando la ripresa mondiale, mentre altri stati si stanno dimostrando incapaci di assicurare la sicurezza dei proprio cittadini. La risposta sanitaria, non sempre efficace, ha portato ad una forte contrazione economica. In una condizione in cui si deve scegliere fra salute e lavoro (rischiando di perdere entrambi) è normale guardare a chi può fornire un aiuto, sia in termini sanitari (vaccino e best practice) sia in termini economici. La crisi si conferma un potente acceleratore delle dinamiche mondiali in atto. Il motivo per cui questa guerra può essere definita asimmetrica è questo: da una parte c’è la forza militare, dall’altra quella economica.

Descritto brevemente il quadro occorre capire quali sono gli obiettivi della Cina. In questa fase Pechino guarda al proprio continente e non ha più timori a pensare ad un Asia (e ad un’Oceania) senza la presenza degli Stati Uniti. Al centro della politica del Presidente Xi Jinping non c’è, come qualcuno erroneamente pensa, l’Europa, magari nel vano tentativo di strappare qualche paese al patto atlantico. Sarebbe una scelta velleitaria che anche se si realizzasse non eliminerebbe la presenza delle portaerei statunitensi al largo delle coste cinesi. Lo scontro per l’egemonia globale nel XXI secolo si combatte nell’Indo-Pacifico: dal mar cinese meridionale fino alle coste africane, passando per lo stretto di Malacca.

Trump proseguendo la politica del Pivot to Asia di Obama ha realizzato il QUAD, l’alleanza fra Stati Uniti, Australia, India e Giappone. Non c’è motivo di pensare che Biden cambierà strategia. Questo dimostra come lo scontro nell’Indo-Pacifico sia fondamentale, per cui la Cina non si limita a rafforzarsi militarmente ma si incunea dentro l’alleanza avversaria. L’accordo RCEP è un tassello di questa politica. Un discorso a parte meriterebbe l’India che è assente dall’accordo (ma non è detto che sia un’assenza definitiva) e che si muove sempre più come una potenza regionale, sensibile alle sirene statunitensi ma capace anche di conservare un buon rapporto con Mosca.

È probabile che nel quadrante asiatico a breve arriverà presto un’altra importante prova per la Cina: quella coreana. La politica di Biden verso la RPDC chiuderà con le aperture di Trump tornando ad una posizione simile alla ‘pazienza strategica’ di Obama, se Pyongyang dovesse irrigidire la propria posizione la tensione salirebbe. Gli USA ne approfitterebbero per aumentare la presenza e la pressione militare verso la RPDC e verso la Cina. Assieme agli USA anche Giappone e Corea del Sud potrebbero essere tentati da una escalation, con Tokyo pronta a considerare l’ipotesi nucleare, non solo a fini civili. In questo quadro una Cina assertiva a livello diplomatico potrebbe giocare un ruolo importante, convincendo tutti i soggetti che il suo ruolo può essere quello di garante della stabilità e della sicurezza dell’area. Pochi anni fa questa sarebbe stata fantapolitica oggi è una delle possibilità in campo.

Note:

1. Horowitz, Amiad; RCEP creates world’s largest free trade zone, but where does U.S. Stand?, https://peoplesworld.org/article/rcep-creates-worlds-largest-free-trade-zone-but-where-does-u-s-stand/, 23 novembre 2020.

2. Rampini, Federico; La globalizzazione riparte dall’Asia Pechino sfida Biden sul libero scambio, la repubblica, 17 novembre 2020.

3. Vidal Liy, Macarena; Ambicioso acuerdo en Asia, El Pais, 18 novembre 2020.

4. Hamilton, Clive; Silent invasion. China’s Influence in Australia, Hardie Grant Books, Melbourne Australia, 2018

5. Pompili, Giulia; La cultura del sospetto applicata alla Cina. Il caso australiano di Gladys Liu, il foglio, 21 settembre 2019.