Un nuovo ordine mondiale?

trump putin helsinki manoLe letture che la stampa ha dato del vertice fra Trump e Putin concordano su di un punto, il vertice, per usare le parole di Guido Salerno Aletta (Milano Finanza, 17 luglio), “segna uno spartiacque storico”. Ovviamente i giudizi cambiano di molto. Secondo Federico Rampini (la repubblica, 17 luglio) “Un ordine internazionale sembra sul punto di dissolversi a 70 anni dalla sua fondazione da parte di Franklin Roosevelt, Harry Truman, George Marshall, e una vasta famiglia di leader dell’Europa occidentale di estrazione democristiana, liberale, socialdemocratica”. In realtà l’ordine internazionale nato dopo il secondo conflitto mondiale è finito nell’89, il mondo segnata dalla politica guerrafondaia di questi anni (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria solo per citare gli ultimi) non ricorda il mondo teorizzato da Franklin D. Roosevelt.

Questo ordine mondiale è stato segnato dall’unilateralismo ed è questo unilateralismo che sta dando segni sempre più forti di cedimento, come ha scritto Aletta “si pone fine al duplice eccezionalismo americano, che nacque con la dissoluzione dell’URSS, che era stata fino ad allora l’altra superpotenza. L’unilateralismo americano è stato basato sul potere militare, che i Presidenti Bush, padre e figlio, implementarono con le due guerre del Golfo e con l’intervento in Afganistan per combattere il terrorismo ijadista, e sulle relazioni economiche internazionali, sempre più esclusive verso il Pacifico e l’Atlantico, con cui Barak Obama avrebbero voluto isolare la Russia da una parte e la Cina dall’altra, con due Trattati speculari di liberalizzazione del commercio, il TPP ed il TIIP“.

L’unilateralismo americano è insostenibile, lo notò anche Lucio Caracciolo anni fa in uno suo libro (America vs America), e la relazione sempre più stretta fra Russia e Cina sta ponendo le basi per un nascente nuovo ordine multipolare. È da questo punto di vista interessante riportare le conclusioni dell’articolo di Aletta: “La destabilizzazione del nord Africa e del vicino Oriente per un verso, e della Ucraina dall’altro, voluta dal Segretario di Stato Hillary Clinton per ridurre le aree in cui l’Unione europea avrebbe potuto estendere la sua area di influenza dopo la crisi americana del 2008, sono state un banco di prova insuperabile per gli Usa. Sono stati squassati equilibri storici: mettendo in discussione la presenza russa in Crimea, irrinunciabile; accerchiando l’unica sua residua presenza nel Mediterraneo militare rappresentata dalla base a Tartous in Siria; fomentando l’estremismo sciita come clava per abbattere i regimi arabi filoccidentali.

Gli Usa, secondo la Clinton, non potevano tollerare un’Europa pacificata che si estendeva addirittura a Sud con l’Unione Euro-mediterranea ed ancora ad Est senza scontrarsi con la Russia. La strategia dei democratici americani puntava ad isolare militarmente la Russia ed economicamente la Cina: ma non è riuscita né ad evitare che la prima mantenesse in piedi il governo di Bashar el-Assad in Siria e ad annettersi la Crimea, né che la seconda formulasse con la nuova Via della Seta la più grande strategia di penetrazione geopolitica mai concepita dai tempi del Piano Marshall.

Saldatura tra Russia e Cina, che avrebbero dovute rimanere ostili fra di loro e comunque isolate rispetto al resto del mondo mentre avevano reagito con la creazione del Gruppo dei Brics; accidia europea rispetto alle richieste di riequilibrare la bilancia commerciale con gli Usa, che si faceva negli anni addirittura irridente; annessione della Crimea e intervento in Siria della Russia; nuova Via della Seta: sono state queste, le quattro risposte all’unilateralismo americano.

Anche l’estensione dell’Unione Europea a 28 Paesi era stato un frutto dello stesso disegno: agglomerare ad ogni costo le aree eterodirette dagli Usa, attraverso la Nato, per cingere d’assedio la Russia. L’euro nasceva ostaggio di una triplice frustrazione: quella comune, nei confronti dello strapotere del dollaro; quella della Francia. che ambiva a sottrarre finalmente alla Germania il dominio della politica economica europea; quella della Germania, che si era trovata costretta negli anni a dover procedere continuamente alla rivalutazione del marco per bilanciare gli squilibri ricorrenti americani nella bilancia commerciale.

L’unilateralismo di questi ultimi venti anni non è riuscito ad eliminarli, anzi li ha accresciuti per via di un impegno militare eccezionalmente gravoso. Il riequilibrio economico e geopolitico è iniziato, ma la strada sarà ancora molto lunga”.