Il contributo della Cina e dell’Italia all’economia mondiale

liruiyudi Francesco Maringiò per Marx21.it

L’ambasciatore cinese chiede all’Italia di sviluppare maggiori sinergie per fare fronte comune alle sfide dell’economia globale e godere di opportunità e benefici reciproci

In un intervento sul Sole 24 Ore (1), l’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, Li Ruiyu, ha recentemente lanciato un segnale molto chiaro al nostro paese: la Cina vuole cooperare ancora di più e costruire le migliori condizioni per «stimolare la crescita economica mondiale (…) obiettivo primario (…) nell’era della globalizzazione».

Nelle parole dell’Ambasciatore i numeri importanti dell’economia cinese (6,7% di crescita economica -con una quota dei servizi pari al 64,6%-; secondo paese a livello mondiale per investimenti diretti esteri -+44,1% solo nel 2016-; una crescita del valore aggiunto delle imprese emergenti del 10,5%), già di per sé lusinghieri, vanno inquadrati nella nuova fase «perché l’economia cinese è entrata nell’era della nuova normalità, in cui vanno di pari passo l’ottimizzazione strutturale e la sostituzione dei vecchi motori di crescita». E citando l’intervento del Presidente Xi Jinping al Forum di Davos, l’Ambasciatore ha sottolineato che «guardare allo sviluppo cinese non significa unicamente fare attenzione ai risultati ottenuti dalla Cina, quanto, piuttosto, osservare qual è il contributo che la Cina dà al mondo intero».

Già «dall’inizio della crisi finanziaria internazionale –sottolinea Li Ruiyu- lo sviluppo economico cinese ha fornito alla crescita dell’economia mondiale un tasso di contributo annuo medio superiore al 30 per cento», ma per il futuro le stime parlano di importazioni per 8mila miliardi di dollari di prodotti, 7500 miliardi di dollari di investimenti all’estero e verranno approvati 600 miliardi di dollari di investimenti esteri. Di fronte a queste direttrici strategiche (sia economiche, sia evidentemente geopolitiche) messe in campo da Pechino, i paesi europei hanno il dovere di individuare una strategia propria di relazione ed interconnessione. Per parte sua, l’Ambasciatore rivolge un invito diretto al nostro paese: «come ha ricordato il presidente Xi Jinping, la Cina accoglie a braccia aperte chiunque voglia viaggiare sul treno dello sviluppo cinese» e sottolinea come «l’Italia è da tempo uno dei paesi europei su cui la Cina punta a investire maggiormente».

Questa linea, che riprende in pieno le indicazioni di Xi Jinping a Davos, punta allo sviluppo di relazioni pacifiche e la collaborazione di Pechino con paesi e popoli del mondo e punta a costruire un sistema policentrico di connessioni interstatuali anti-egemoniche, basate sul principio della condivisione. Una visione completamente differente sia dall’unilateralismo statunitense affermatosi dagli anni ’90 del secolo scorso, sia con una sorta di chiusura autarchica che sembra affacciarsi in questo squarcio di secolo, con l’intento (tra gli altri) di impedire la connessione tecnologica con la Cina (e quindi il suo sviluppo qualitativo).

Al nostro paese è lanciata pertanto la sfida alla condivisione che, nella chiusa dell’Ambasciatore Li, diventa un esplicito invito a lavorare «attivamente a connessioni delle strategie di sviluppo dei rispettivi Paesi, (…) realizzando interessi comuni per contribuire a dare un forte stimolo all’economia mondiale».

Ci auguriamo che questo stimolante contributo sia recepito dalla classe dirigente (politica, economica ed intellettuale) del nostro paese, e che essa avvii subito una seria autocritica. Senza la rottura dall’asse atlantico (che ci costa 55 milioni di euro al giorno come presenza nella Nato e che Trump ha chiesto di far salire a 100) e l’apertura ai Brics ed allo sviluppo condiviso con la Cina, ogni ipotesi di uscita dalla crisi, libero sviluppo del paese e futuro per le giovani generazioni restano solo parole vuote, (sempre meno) buone per la prossima campagna elettorale.

(1) Li Ruiyu, Pechino aiuta la crescita globale, Il Sole 24 Ore del 6/02/2017, p. 1+8