Cina e Russia dopo i vertici dell’APEC e del G-20

cinarussia cartadi Raul Zibechi*

da ALAI, America Latina en Movimiento

Traduzione di Marx21.it

“Asia per gli asiatici” è il titolo dell’articolo del prestigioso Foreign Affairs, nel quale Gilbert Rozman spiega che l’amicizia sino-russa è destinata a continuare. Non si tratta di un articolo qualsiasi, scritto da un giornalista mediocre in un media di secondo piano. Rozman è professore di sociologia nella Princeton University, autore di numerosi saggi e libri sull’Asia, compreso l’ultimo Il pensiero strategico cinese per l’Asia (1).

Le due potenze condividono alcune visioni che Rozman descrive nel dettaglio:“hanno sfidato l’ordine internazionale, sostenendosi reciprocamente sul piano diplomatico nel confronto su Ucraina e Hong Kong” e, ciò che appare ancora più rilevante, “sono d’accordo sul fatto che l’ordine geopolitico dell’Oriente debba opporsi a quello dell’Occidente, il che ha influenzato significativamente le relazioni bilaterali”.

La maggioranza degli analisti occidentali, buona parte del pubblico e anche le elites politiche, sopravvalutano le tensioni sino-sovietiche durante la guerra fredda e non si rendono conto che “dal 1990 le autorità della Russia e della Cina hanno espresso rammarico per quelle tensioni”. Ora le cose sono cambiate considerevolmente, poiché la Russia non vuole, non può, essere il socio dominante della relazione. “Entrambe hanno accusato gli Stati Uniti di continuare con la mentalità da guerra fredda aggressiva, nel tentativo di contenere le loro legittime ambizioni nella regione”, rileva Rozman.

Sei sono le ragioni che prende in considerazione per affermare che l’alleanza sino-russa sarà duratura. Primo, “sentono l’orgoglio dell’era socialista”. Due, mettono l’accento “sulle loro differenze storiche con l’Occidente”. Tre, respingono il modello economico che è entrato in crisi nel 2008, che “considerano inferiore ai loro modelli”. Quattro, stringono relazioni per fronteggiare le attuali minacce esterne. Cinque, stanno dalla stessa parte nei principali conflitti globali. Sei, “ci sono campagne ufficiali in entrambi i paesi per promuovere l’identità nazionale”.

Due vertici, un trionfatore

Il vertice Asia Pacifico, il Foro della Cooperazione Asia-Pacifico (APEC), di cui i media occidentali hanno enfatizzato il gesto di Vladimir Putin di mettere il soprabito alla moglie di Xi Jinping, sono stati un trionfo cinese. I 21 paesi dell’APEC riuniti dall’8 al 10 novembre hanno sostenuto la creazione della Zona di Libero Commercio Asia Pacifico (FTAAP, la sigla in inglese) che Xi Jinping ha definito come “una decisione iscritta nella storia” (South China Morning Star, 11 novembre 2014).

Secondo il giornale, Washington avrebbe esercitato pressione su Pechino per minimizzare l’importanza del FTAAP, ma Xi ha alzato la posta, ha definito una “road map” per la zona di libero commercio asiatica e ha assestato un colpo mortale all’Alleanza Transpacifico sostenuta dagli Stati Uniti, che include solo dodici paesi ed esclude la Cina. Il fatto è che le 21 economie raggruppate nell’APEC rappresentano più della metà del commercio mondiale. Inoltre, alcuni alleati decisivi per Washington, come Giappone e Malaysia, respingono l’accordo Transpacifico perché non sono disposti ad aprire i loro settori agricoli.

Come sottolinea Pepe Escobar, la Cina ha fatto passi in avanti in una “strategia multilaterale” che include non solo il commercio, ma anche l’energia, le finanze e la tecnologia militare. La proposta di Xi di “connettività a tutti i livelli” per i paesi dell’Asia-Pacifico, comporta un rilevante investimento nell’infrastruttura. Per Escobar, la creazione della Banca Asiatica per gli Investimenti nelle Infrastrutture con sede a Pechino (creata nell’ottobre da 22 paesi della regione), rappresenta il primo passo dell’erogazione di 50.000 milioni di dollari per avviare la connettività. “E’ la risposta della Cina al rifiuto di Washington di darle una voce più rappresentativa nel Fondo Monetario Internazionale, che attualmente rappresenta un irrisorio 3,8 per cento”, ricorda Escobar (Asia Times, 14 novembre 2014).

Certamente, che la prima economia del mondo (secondo un recente rapporto del FMI basato sulla parità del potere di acquisto) abbia una rappresentanza marginale nei principali organismi finanziari del mondo, non solo appare un insulto ma spinge anche tutti i cosiddetti “emergenti” a cercare alternative fuori dall’attuale architettura finanziaria globale.

Dal vertice APEC sono arrivate anche altre notizie non meno importanti. La Cina ha annunciato lo stanziamento di 40.000 milioni di dollari per iniziare la costruzione della Cintura Economica della Via della Seta, sia terrestre che marittima. Si tratta di una rete di treni ad alta velocità, porti, gasdotti e oleodotti, cavi di fibra ottica e telecomunicazioni che imprese cinesi già stanno costruendo per connettere la Cina con Russia, Iran, Turchia e l’Oceano Indiano, per arrivare nelle principali città commerciali europee, come Berlino, Rotterdam e Duisburg.

La Cina e la Russia hanno firmato un secondo mega-accordo energetico per l’arrivo del gas dalla Siberia, in conseguenza del protocollo del maggio scorso. La banca russa VTB ha annunciato la possibilità di lasciare la Borsa di Londra per trasferirsi a quella di Shanghai, mentre giganti russi dell’energia cominciano ad operare ad Hong Kong (Asia Times, 14 novembre 2014).

Inoltre, la Cina ha firmato un accordo di libero commercio con la Corea del Sud, uno dei più importanti alleati degli Stati Uniti in Asia. Il commercio bilaterale sale alla favolosa cifra di 228.000 milioni di dollari e continuerà a crescere. Un recente rapporto dell’Istituto Petersen di Economia Internazionale, sostiene che “le monete di Corea del Sud, Indonesia, Malaysia, Singapore e Thailandia sono più strettamente connesse con lo yuan cinese che con il dollaro statunitense” (Quotidiano del Popolo, 21 ottobre 2014).

Un mortificante G20

Il secondo vertice, quello del G-20 svoltosi a Brisbane (Australia) il 15 e 16 novembre, alcuni giorni dopo quello di Pechino, è stato un insuccesso. La sfida principale consisteva nell’avviare la riforma delle istituzioni internazionali, ma il Congresso degli Stati Uniti (dominato dai repubblicani) continua a bloccare qualsiasi riforma del FMI che dia maggiore potere ai paesi emergenti.

Il risultato è stato che “I Brics prendono il controllo dell’agenda del G-20”, cercando soluzioni tecniche al blocco parlamentare statunitense (Geab N° 89, 17 novembre 2014). Il vertice ha vissuto momenti burrascosi. Mentre i cinque paesi BRICS svolgevano il proprio mini-vertice in cui si richiedevano cambiamenti negli organismi finanziari internazionali, gli alleati di Washington inscenavano una polemica con il presidente Vladimir Putin, che a un certo punto ha abbandonato la riunione, prima del previsto.

Secondo l’analista Alfredo Jalife, che cita l’ambasciata russa a Canberra, il rientro di Putin “è da attribuire alle minacce di morte che incombevano su di lui, al punto da spingere la Russia a spedire sue navi da guerra – L’incrociatore Varyag e il cacciatorpediniere Maresciallo Shaposhnikov – al largo delle coste australiane” (La Jornada, 19 novembre 2014).

Quello che è certo è che il successo del vertice di Pechino contrasta con le asprezze e il fallimento di Brisbane, dove la retorica ha sostituito gli accordi e, soprattutto, i richiesti progressi per sbloccare il sistema finanziario. Le ragioni vanno ricercate tanto nell’avanzata consistente dell’economia e della diplomazia cinesi, che offrono maggiore e migliore libero commercio, in contrasto con le chiusure di Washington, una potenza che dopo le elezioni parlamentari si è trovata intrappolata tra un governo democratico e una maggioranza repubblicana al Congresso che difendono politiche per molti aspetti in contrasto tra loro.

L’organo ufficiale cinese Quotidiano del Popolo sostiene che la zona di libero commercio di Asia-Pacifico, creata al vertice APEC, contrasta con “i negoziati sul commercio multilaterali che stagnano nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)”. Auspica che la regione si trasformi “in un modello di libero commercio globale, che potrebbe cambiare il paesaggio economico non solo dell’Asia-Pacifico, ma anche del resto del mondo”. E aggiunge: Come blocco importante della cooperazione internazionale, l’APEC è in vantaggio rispetto all’OMC nella realizzazione di standard più creativi e flessibili”.

In definitiva, Asia-Pacifico non è solo il motore dell’economia mondiale e il centro del commercio globale, ma anche la regione più attrattiva e innovativa del mondo.

Moneta e armi

Di fatto, “l’agenda internazionale della globalizzazione è pilotata dalla Cina”, sostiene il Laboratorio Europeo di Anticipazione Politica (Geab N° 89, 17 novembre 2014). Uno degli aspetti meno visibili di questa leadership consiste nella costante crescita dello yuan, moneta che tende a internazionalizzarsi togliendo spazi al dollaro.

Il problema, come segnalano gli economisti Ariel Noyola e Oscar Ugarteche, dell’Osservatorio Economico dell’America Latina, è che l’internazionalizzazione del yuan e la dedollarizzazione globali rappresentano lo stesso processo. Inevitabilmente conflittuale. Forse per questo la Cina punta ad avanzare passo dopo passo, lentamente, eludendo lo scontro.

Già sono 40 le banche centrali del mondo che hanno riserve in yuan, oltre a quelle delle monete tradizionali. La Banca Popolare della Cina ha firmato swaps bilaterali con 25 banche centrali. “Fuori dal continente asiatico la moneta cinese ha ottenuto appoggi importanti in Europa”, segnalano Noyola e Ugarteche (http://alainet.org/active/78200&lang=es). La City di Londra, Francoforte, Parigi e Lussemburgo sono piazze aperte alla moneta cinese. Londra ha realizzato la prima emissione di buoni sovrani in yuan fuori dalla Cina. La Banca Centrale Europea ha concluso un accordo di swaps in yuan per 57.000 milioni di dollari.

La Russia ha trovato nella Cina non solo un alleato ma “un partner strategico in conseguenza delle sanzioni economiche imposte dall’Occidente”, sottolineano gli economisti. In America Latina sono Brasile e Argentina i paesi che già hanno swaps in yuan per più di 40.000 milioni di dollari.

Inoltre, la Cina ha creato la Piattaforma di Negoziazione delle Divise che permette di formare centri di liquidazione diretta per facilitare l’uso della moneta cinese. Utilizzando le monete nazionali si riducono i costi di conversione, il che permette a Pechino, secondo Noyola, “di ridurre gli effetti negativi del diritto di signoraggio del dollaro sui flussi globali di capitale, oltre che di avanzare verso la costruzione di un sistema monetario multipolare” (http://alainet.org/active/77758).

Seguendo i passi della Russia e di Londra, ora il Canada, un paese alla frontiera ed alleato degli Stati Uniti, ha raggiunto un accordo con la Cina per lo scambio in yuan. La differenza rispetto ai casi precedenti, però, è grande: “Questa volta i cinesi non hanno dovuto andare da loro, ma sono stati i canadesi quelli che si sono mossi” (Geab N° 89).

Infine c’è la questione militare, terreno in cui la cooperazione russo-cinese è in rapido aumento. Il ministro della Difesa russo, Serghey Shoigu, nella sua visita in Cina, ha evidenziato che la cooperazione militare tra i due paesi ha acquisito “un carattere strategico”. Il titolare della Difesa russo ha informato che la Russia e la Cina hanno concordato di attuare, nel 2015, esercitazioni navali congiunte, tanto nel Pacifico, come nel Mediterraneo (Russia Today, 18 novembre 2014).

Mosca venderà alla Cina sistemi di difesa S-400 e più avanti S-500, capaci di assicurare la difesa del paese asiatico. Intanto Pechino ha sviluppato missili anti-navi, in grado di distruggere portaerei e sfidare la marina statunitense, il che permette scambi tra i due paesi nell’area super sensibile della tecnologia militare (Asia Times, 14 novembre 2014).

Il periodico thailandese The Nation assicura che Obama “ha perso vigore” nel corso della sua visita in Asia, mentre il presidente russo Putin e il suo omologo cinese Xi esercitano un impatto maggiore sugli affari del mondo. Una delle conseguenze di questo indebolimento del presidente ha portato, secondo quanto scrive il periodico, ad una presenza “impacciata” nei vertici in Estremo Oriente. Allo stesso tempo, il suo omologo russo è stato indicato come la persona più potente del mondo dalla rivista Forbes per la seconda volta in due anni consecutivi, “eclissando Obama in quasi tutti gli aspetti della leadership mondiale” (http://www.nationmultimedia.com/opinion/Obama-loses-his-shine-in-Asia-as-Xi-and-Putin-stea-30247719.html).

Ma a parte Obama, il problema è come la superpotenza sta affrontando il suo declino. Appena sono terminati i vertici di Pechino e Brisbane, membri del Pentagono hanno insistito sulla necessità di intensificare la modernizzazione delle forze armate. “Se non raggiungiamo prontamente un equilibrio, sarà troppo tardi e ne soffriremo le conseguenze”, ha avvertito il vice dello Stato Maggiore Congiunto, ammiraglio James Winnefeld, nel discorso pronunciato in una riunione con i legislatori e i rappresentanti del settore industriale militare alla Biblioteca Ronald Regan vicino a Los Angeles (Reuters, 15 novembre 2014).

Altri funzionari della difesa si sono pronunciati nello stesso modo. Il problema è che l’economia non lascia margini per mantenere il ritmo degli investimenti dei concorrenti. I militari avvertono che stanno per essere sorpassati nella guerra elettronica e sottomarina, per fare solo due esempi, in cui “diventeremo obsoleti in futuro per il semplice fatto che non investiamo più”.

Nota:

(1) Chinese Strategic Thought toward Asia, Macmillan, 2010

*Raul Zibechi è un giornalista uruguayano, collaboratore di “La Jornada” e membro del Consiglio di America Latina en Movimiento, ALAI