Beirut Addio

caccia bombardamentoQuesto articolo scritto dal direttore del sito Marco Pondrelli compare in contemporanea su ‘marx21’ e su Ragioni&Conflitti

di Marco Pondrelli

L’esplosione del 4 agosto al porto di Beirut ha provocato una vera e propria strage, ovviamente la politica e la stampa, italiane e non solo, sanno già chi sono i responsabili: i ‘terroristi’ di Hezbollah. Questa propaganda prolifera sulla scarsa conoscenza del Libano e di tutto il Medio Oriente (o Vicino Oriente). Quando si parla di politica internazionale queste posizioni sono la norma ma è solo grazie all’elargizione di luoghi comuni a piene mani che si possono fare affermazioni a dir poco azzardate come, ad esempio, definire l’Iran antisemita, dimenticando (o forse ignorando) quali sono le popolazioni semitiche e che, tolto Israele, la più grande comunità ebraica del Medio Oriente si trova in Iran, dove gli ebrei non solo godono di molti più diritti dei palestinesi ma sono anche presenti in Parlamento.

È necessaria quindi un’analisi che espunga questi luoghi comuni e che si basi sulla lettura della realtà e non su interpretazioni fantasiose.

Enigma Libano

Un bel film di Ziad Doueri, l’insulto, uscito nel 2017 racconta un processo in cui sono coinvolti un cristiano ed un rifugiato palestinese, è un processo che spacca il paese, perché viene a caricarsi di significati che vanno oltre la contesta fra due persone. È un film che rappresenta bene l’attuale Libano, un paese prostrato da infinite guerre.

Un piccolo excursus storico è il punto da cui partire per capire come quella che un tempo era conosciuta come la Svizzera del Medio Oriente sia ora persa in una durissima crisi: politica, economica e sociale.

Il Libano nasce sul Monte Libano. Trascurando, non essendo questo il tema dell’articolo, la sua storia (che ha visto svilupparsi grandi civiltà) possiamo collocare questa entità non ancora Stato all’interno dell’Impero Ottomano, quando faceva parte di quella che era conosciuta come la Grande Siria. La crisi dell’Impero Ottomano viene conclamata dalla Prima Guerra Mondiale e dall’accordo Sykes-Picot che divise la regione fra Francia e Regno Unito. Il Libano divenne una colonia francese, la Francia oltre a smembrare la Grande Siria (che comprendeva gli attuali stati di Siria, Libano, Palestina, Israele e Giordania) creò il Grande Libano allargando i confini e comprendendo più confessioni, memori del vecchio adagio divide et impera.

Per il Libano, un paese con 18 differenti confessioni religiose, ancora più importante della Costituzione del 1926 e dell’indipendenza del 1946 è il Patto Nazionale del 1943 che, nella sua parte fondamentale, assegna ad un cristiano la Presidenza della Repubblica, ad un sunnita la Presidenza del Consiglio dei Ministri e ad uno sciita la Presidenza del Parlamento. Il Libano apparentemente sembra un paese diviso verticalmente con comunità distinte ed autonome, quello che in politologia è conosciuto come un paese consociativo. Questo è un giudizio che risente di un pregiudizio eurocentrico, fuori dal civile Occidente le divisioni sono ancora religiose o tribali. Tenterò di spiegare nel prosieguo dell’articolo che le cose non stanno così.

Un altro elemento che contraddistingue il paese dei cedri è quello dei profughi: ai palestinesi cacciati dalle loro terre dal ’48, e che oggi sono circa 300-400 mila, si sommano i profughi della guerra siriana, circa 1,5 milioni. È una cifra enorme e potenzialmente destabilizzante per un paese di 4,5 milioni di abitanti. Fatte le proporzioni è come se l’Italia, che chiude i porti e litiga per poche decine di migranti su un barcone, ospitasse più di 20 milioni di rifugiati.

La crisi del Libano e le ingerenze straniere

L’odierna crisi del Libano non nasce dall’interno ma, come per la Jugoslavia all’inizio degli anni 90, sono state forze esterne a soffiare sul fuoco delle divisioni confessionali. Israele ha favorito e sostenuto le preoccupazioni dei cristiano-maroniti dovute alla forte presenza di rifugiati palestinesi, che per alcuni avrebbero potuto fare saltare gli equilibri interni al paese. Fu proprio questa nefasta convivenza alla base dei massacri di Sabra e Shatila, cantati in modo struggente da Fabrizio De André in Sidún.

Se Israele tenta di tessere legami con i cristiano-maroniti, l’Arabia Saudita fa la stessa cosa con i sunniti e l’Iran con gli sciiti. È però sbagliato pensare di potere leggere la contrapposizione in Libano ed in tutta la regione come uno scontro religioso. In realtà lo scontro interno all’Islam fra sunniti e sciiti è uno scontro politico.

Per capire il Libano occorre alzare lo sguardo all’area nel suo complesso. Quando Vali Nasr[1] parla di rivincita sciita non pensa ad un confronto teologico ma ad una contesa geopolitica. L’Iran che nel ’79 era il paria della comunità internazionale e che nel 1980 era stato lasciato solo, o quasi, nella guerra contro l’Iraq oggi si è rafforzato in quella che possiamo chiamare la mezzaluna sciita. Questa mezzaluna comprende oltre all’Iran, il Libano, l’Iraq e la Siria. A questa avanzata ha risposto la controffensiva sunnita che si è concentrata sulla Siria. Questa guerra benedetta dall’ex Segretario di Stato Usa, nonché idolo della sinistra nostrana, Hillary Clinton aveva nell’Isis la manovalanza, nella Turchia la logistica e nelle monarchie del golfo, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i finanziatori. Non si può capire quello che oggi succede in Libano se non si parte dal dato di fatto che sauditi ed Occidente in Siria hanno perso.

I due protagonisti di questo confronto sono Arabia Saudita ed Iran. Il recente accordo fra Israele e Emirati Arabi Uniti non è la prima tappa e non sarà l’ultima di questo percorso. Già a Varsavia, nella conferenza voluta dagli Usa per isolare Teheran, sauditi ed israeliani si erano seduti fianco a fianco e, per quanto la conferenza non abbia prodotto risultati concreti, il dato politico è stato forte. Il cosiddetto accordo di Abramo prosegue in questa direzione e probabilmente prefigura quello fra Israele e Arabia Saudita.

Lo scontro fra le due potenze regionali ha più scenari. Il paese in cui questo scontro sta producendo i costi umani più alti è lo Yemen, dove si combatte una guerra dimenticata nella quale, anche grazie ad armi italiane, i sauditi si stanno rendendo responsabili di atroci massacri. Altro scenario è quello iracheno, qui i sauditi mal sopportano che un paese a maggioranza sciita si sia avvicinato all’Iran. Per Riad la politica anti-sciita ha ripercussioni anche interne essendo sciita il 15% della sua popolazione. L’uccisione di Nimr Baqr al Nimr il 2 gennaio 2016, la personalità più influente dello sciismo in Arabia, è stato non solo un oltraggio al benché minimo senso del diritto (cosa che i nostrani castigatori delle false armi chimiche siriane si sono guardati bene dal denunciare) ma anche un attacco contro l’Iran. In Bahrein la primavera è stata repressa nel sangue essendo di matrice sciita, l’Occidente vi ha prestato scarso interesse anche perché impegnato a seguire il Gran Premio di Formula Uno che si tenne proprio durante quei giorni. In questo scontro l’uccisione del generale Soleimani è stato un durissimo colpo inferto all’Iran per il quale oltre a Trump e Salvini hanno festeggiato anche i terroristi dell’Isis.

Il Libano è un fronte sempre più caldo di questa guerra. Il 2020 per Beirut è stato segnato da molti eventi negativi, non solo il Covid che ha colpito il paese come il resto del mondo ma anche la crisi economica che ha portato al default, le proteste popolari e da ultimo l’esplosione nel porto.

La crisi economica ha due motivazioni. Innanzitutto sono stati commessi grossi errori, le politiche economiche dagli anni ’90 sono state fallimentari. Rafīq al-Harīrī, il Primo Ministro ucciso nel 2005, ha contribuito a costruire un sistema bancario che ha sostenuto la bolla immobiliare grazie ad un importante supporto economico delle monarchie del golfo, al contempo il settore produttivo non è stato sostenuto. Oggi il Libano esporta beni e servizi per 3,7 miliardi e ne importa per 20, il tutto in dollari[2]. Il problema dello Stato libanese è questo, non la corruzione o lo spreco, basti pensare che la spesa pubblica rappresenta il 29% del PIL contro una media dei paesi arabi del 26% ed una media mondiale del 27%. Il vero problema è che con un terzo del debito (che è pari al 175%) denominato in dollari e con una moneta (la lira libanese) che da ottobre si è svalutata dell’80% l’economia non può reggere, soprattutto in un anno duro come questo[3].

Oltre agli errori interni è però indubbio che l’Arabia Saudita “sembra aver scelto di non continuare a puntare sul sostegno alla stabilità libanese[4]”. Venendo meno i soldi sauditi si è aperta la strada del default e dell’instabilità sociale. Questo dimostra che la guerra oggi non si combatte solo sui campi di battaglia ma anche sui mercati: destabilizzare economicamente un paese vuole dire creare disoccupazione, povertà, proteste rendendolo instabile ed insicuro.

In questo scontro il ruolo di Israele è quello di alleato di fatto di Riad. L’obiettivo però è diverso da quello saudita: allo Stato ebraico preme costruire divisioni ed instabilità nel campo avversario. Questa è la più grande polizza assicurativa per Tel Aviv, oramai per una parte del mondo arabo il problema palestinese non è più prioritario, perché l’obiettivo è colpire l’Iran.

La mezzaluna sciita e il ruolo degli Hezbollah

Come già sottolineato la contrapposizione fra sciiti e sunniti può essere letta correttamente sono con lenti politiche. Lo sciismo non ha l’obiettivo di costruire un califfato, ma agisce nel proprio stato e nella propria realtà. Per gli sciiti è essenziale difendersi dalle ingerenze esterne. Se si studia la storia del Medio Oriente è chiara, già dal nome, l’ingerenza straniera prima europea e poi statunitense. Il colpo di Stato contro Mossadeq (1953) organizzato da Regno Unito e Stati Uniti aveva l’obiettivo di impedire la nazionalizzazione delle aziende petrolifere, impedendo al popolo iraniano di godere delle proprie ricchezze. La lotta contro il colonialismo spiega l’odierno Iran. Pensiamo ad Ali Shariati le cui idee hanno parzialmente influenzato Khomeini, egli ha tentato di unire gli ideali socialisti con quelli islamici, teorizzando un islam sociale che rappresentasse non solo una fede ma anche uno strumento per il riscatto politico e sociale delle masse.

Senza volere idealizzare la Repubblica Islamica, va però sottolineato il ruolo oggettivamente e leninianamente anti-imperialista che essa ha assunto, anche nel sostegno alle lotte dei popoli siriano, iracheno e libanese (solo per citarne alcuni) contro Occidente e Israele. Il sostegno ad Hezbollah va letto in questo senso, non si vuole creare un califfato sciita ma sostenere la resistenza di un popolo.

Hezbollah nasce nel 1985 da Amal, organizzazione fondata da Musa al-Sad, il quale si era formato in Francia ed aveva anch’egli tentato di fare dialogare marxismo ed islam, nella lotta comune al colonialismo e per la liberazione dei popoli oppressi. Solo partendo da qua si può capire il ruolo di Hezbollah, organizzazione che si è rafforzata e radicata fino a diventare centrale negli equilibri governativi. Le due guerre vinte contro Israele ne hanno decretato il prestigio non solo verso gli sciiti ma verso tutta la popolazione.

Gli accordi di Ta’If che hanno posto fine alla guerra civile nascono su basi patriottiche, l’obiettivo è ricomporre la convivenza all’interno del paese difendendolo da ingerenze esterne. Possiamo così capire il ruolo del Presidente della Repubblica, il cristiano maronita Michel Aoun, che ha combattuto contro la Siria e gli sciiti, il quale ha però affermato che gli Hezbollah “sono miei compatrioti, ci siamo difesi assieme[da Israele][5]”. Non casualmente da più parti sono state chieste le sue dimissioni, egli è visto come il collante ed il garante dell’accordo con gli Hezbollah nella difesa del Libano.

Per quanto riguarda questa organizzazione essa è considerata terrorista da Stati Uniti, Israele ed Unione europea: non c’è da stupirsi visto il ruolo anti-imperialista ed anti-sionista che ha giocato in questi anni. Hezbollah ha visto crescere il suo prestigio militare dopo le guerre vinte con Israele e dopo il sacrificio di oltre 1100 combattenti versato nella guerra siriana. È inconcepibile come l’Occidente possa considerare terrorista questa organizzazione, che non si è mai macchiata di atti terroristici limitandosi a combattere guerre difensive (anche in riferimento all’omicidio di Rafīq al-Harīrī va ricordato che la corte penale dell’Aja ha affermato nella sua sentenza che non ci sono prove del coinvolgimento di Hezbollah nell’assassinio[6]), mentre lo stesso Occidente non ha problemi ad avere rapporti con i sauditi o con i fantomatici ribelli ‘moderati’ siriani.

Hezbollah oltre all’indubbio prestigio militare ha costruito anche una rete assistenziale per la popolazione, un welfare che in questo momento difficile è essenziale per arginare la povertà. Un altra spiegazione del suo forte consenso (anche elettorale).

Conclusioni

In questo contesto è molto difficile spiegare l’esplosione attribuendola anche indirettamente ad Hezbollah, che avrebbe stoccato dell’esplosivo al porto. Purtroppo la stampa italiana sembra avere già deciso chi sono i colpevoli, evitando di prestare attenzione a tutto ciò che indica altre strade (come ad esempio i testimoni che avrebbero visto aerei volare in zona prima dell’esplosione).

Non è possibile per chi scrive stabilire le responsabilità dell’accaduto. Mi sono limitato a mettere in fila tutto quello che è successo sia all’interno del paese dei cedri nell’ultimo anno (dal default all’esplosione) sia all’esterno (dall’omicidio di Soleimani al cosiddetto accordo di Abramo). Questi eventi indicano che i sauditi, con il sostegno di Stati Uniti ed Israele, hanno individuato nel Libano l’anello debole della catena. Colpire il Libano vuole dire assestare un duro colpo a Teheran. Teniamo presente che lo scontro che Dilip Hiro[7] ha definito la guerra fredda nel mondo islamico, ha una valenza che va ben oltre questa regione: se i sauditi possono contare sull’appoggio, oltre che di Israele, degli Stati Uniti e del mondo ‘libero’, l’Iran ha il fattivo sostegno di Russia e Cina con cui la cooperazione, a partire da quella militare che si volge nello SCO, in questi anni è cresciuta.

Il piccolo e splendido Libano si trova al centro di un’operazione di destabilizzazione guidata dai sauditi con l’appoggio di Israele e degli Stati Uniti (a prescindere da quello che succederà a novembre). In questo momento le possibilità di dialogo sembrano ridotte al minimo e, se dovesse saltare il Libano, rischierebbe di incendiarsi tutta la regione. Dopo avremmo le lacrime di coccodrillo dei soliti soloni benpensanti, gli stessi che protestavano sotto l’ambasciata libica contro Gheddafi ed ora piangono i morti prodotti dal democratico interventismo occidentale.

Note:

1. Nasr, Vali; La rivincita sciita, i conflitti interni all’Islam e il futuro del Medio Oriente, EGEA Università Bocconi Editore, Milano 2017

2. Nigro, Vincenzo; Il deputato tycoon “Libano distrutto da banchieri e politici”, la repubblica, 13 agosto 2020

3. Bonetti, Alessandro; Perché il Libano è in default la corruzione c’entra poco, il fatto quotidiano, 24 agosto 2020

4. Speranza, Fausta; Fortezza Libano. Tra tensioni interne e ingerenze straniere, Infinito Edizioni, 2020, pag. 53

5. Cremonesi, Lorenzo; «Aerei e misteri, sull’esplosione seguo ogni pista», corriere della sera, 18 agosto 2020

6. Bongiorni, Roberto; Libano, la sentenza non trova i mandanti dell’omicidio Hariri, il sole 24 ore, 19 agosto 2020

7. Hiro, Dilip; 
Cold War in the Islamic World. Saudi Arabia, Iran and the struggle for supremacy, Hurst & Company, London, 2018