Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e il confederalismo democratico

ocalan pkkdi Collettivo Tazebao
da tazebao.org

L’intervento degli Stati Uniti e della Gran Bretagna in Medio Oriente, che è sorto dalla crisi irachena, è un evento fondamentale […] I regimi mediorientali, non riuscendo a vedere le possibilità di cambiamento per mezzo di dinamiche interne, sono state portate a questo punto con l’intervento straniero. Mentre i risultati di questo intervento hanno avviato un nuovo periodo che è destinato ad avere ripercussioni in tutto il mondo, ha anche aperto la strada allo sviluppo delle forze democratiche.

Dichiarazione finale della Conferenza di Fondazione del Congresso del Popolo del Kurdistan (Kongra Gel) – novembre 2003.

Con il voto unanime del 26 novembre 2014, il senato italiano impegnava il governo ad adoperarsi per incoraggiare, anche tramite l’Ue, ad uno sviluppo positivo dei negoziati tra Ankara e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), con l’obiettivo che quest’ultimo venisse cancellato dalla lista europea delle organizzazioni “terroristiche”. Ugualmente, il primo ministro inglese, Cameron, ha più volte espresso la necessità di questo passaggio formale, mentre il parlamento europeo, pur senza successo, ha votato una mozione in tal senso.

Gli stessi stati coinvolti nell’arresto e nella deportazione nel carcere di Imrali del leader curdo Abdullah Ocalan nel 1999, oggi riconoscono il ruolo che il Pkk svolge nell’area o, in alternativa, fanno i vari distinguo rapportandosi alla sua ala siriana, il Partito dell’Unione Democratica (Pyd). Se, almeno in parte, possiamo considerare vero che le liste nere antiterrorismo, promosse dall’Ue su imitazione degli Usa, possono essere viste come una istantanea sui gruppi che si pongono sul terreno dello scontro con gli interessi strategici di tali potenze imperialiste, allora il tentativo di cancellare un particolare gruppo da tale elenco può rappresentare una sua conciliazione con tali interessi.

Per comprendere in che modo una organizzazione, nata nel solco della sinistra rivoluzionaria turca e addestratasi nei campi del Fronte Popolare in Libano, sia oggi reputata da alcuni settori della borghesia imperialista come un possibile partner, piuttosto che un nemico da eliminare, bisogna osservare lo sviluppo della linea politica del Pkk dall’arresto di Ocalan ai processi di pace, fino alla collaborazione militare con gli Usa.

L’inizio dell’attività politica e della lotta armata

Il Pkk è un partito politico fondato nel 1979 da un gruppo di studenti universitari curdi di Ankara, interni alla sinistra rivoluzionaria attiva in Turchia. A partire dagli anni ’60 si sviluppava una forte battaglia ideologica in seno al movimento comunista e alle sue organizzazioni, che vide una polarizzazione tra due linee. La prima, capeggiata dal riformista Partito dei Lavoratori di Turchia, sosteneva una transizione pacifica al socialismo dall’interno del parlamento. La seconda propugnava una rivoluzione democratica nazionale, negli interessi degli operai e dei contadini, per liberare la Turchia dal semi – colonialismo statunitense, affidandone però la guida all’esercito, secondo il modello già seguito da Kemal Ataturk – ovvero del fondatore della Turchia moderna post ottomana – ma declinandolo apertamente in senso socialista e comunista.

Da questa seconda posizione, successivamente ad un suo sviluppo ideologico, che tentava di affrancarsi dalla tendenza kemalista, criticando il putchismo e la fiducia nell’esercito, nascono negli anni ’70 le organizzazioni rivoluzionarie Esercito di Liberazione del Popolo Turco (Thko) e il Partito – Fronte di Liberazione del Popolo Turco (Thkc-p), le quali sostenevano la necessità di una guerra popolare condotta da operai e contadini con l’obiettivo di liberare la Turchia dal giogo statunitense-atlantico. Il Pkk nacque e si sviluppò su ispirazione di queste, calando, all’interno della realtà curda, l’analisi che la sinistra rivoluzionaria faceva sulla Turchia, quindi rivendicando la necessità della lotta di liberazione nazionale per la costruzione di un Kurdistan socialista separato da essa. Pur traendo ispirazione dai partiti rivoluzionari della sinistra turca, il Pkk, in quella fase, criticava l’ispirazione kemalista alla base della loro analisi, accusandoli di socialsciovinismo. Da parte loro, le organizzazioni turche criticavano la definizione di colonia per il Kurdistan, vista la natura di semi – colonia e di paese con uno sviluppo capitalistico arretrato della Turchia stessa. Secondo il loro ragionamento il concetto di colonialismo deve essere letto nel quadro dell’imperialismo, negando quindi la possibilità che un paese non avanzato abbia delle pretese coloniali su altre nazioni. Di conseguenza veniva criticata la scelta dei curdi di organizzarsi separatamente dalla sinistra rivoluzionaria turca.

Le posizioni della maggior parte delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria turca e dei nazionalisti curdi, sul ruolo storico di Kemal Ataturk, sono enormemente differenti: per i primi il “padre dei turchi” rappresenta la borghesia nazionale nascente che si è opposta alla spartizione imperialista del territorio nazionale dopo la caduta dell’Impero Ottomano, traghettando il paese dal feudalesimo al capitalismo, dandone quindi, in questo senso, una lettura progressista; al contrario, per il nazionalismo curdo, egli rappresenta il punto d’inizio del colonialismo del Kurdistan. Il trattato capestro di Sevres imposto dai vincitori della Prima guerra mondiale nel 1920, prevedeva il riconoscimento dello Stato curdo; la rinegoziazione ottenuta da Kemal e la firma nel ’23 del trattato di Losanna negarono la formazione della nuova entità statale, suddividendo il territorio in quattro parti e, più in generale, dava avvio al processo assimilazionista forzato, al quale tutte le minoranze etniche (curdi, armeni, circassi etc.) e le comunità religiose (sufi, dervisci, cristiano – greche, etc.) dovettero adeguarsi, compreso l’islam politico, che rimarrà confinato e represso fino alla salita al governo di Erdogan. Le politiche di Ataturk diedero il via alla prima rivolta curda del 1925, guidata dall’autorità religiosa Şeyh Said e, più in generale, determinarono la nascita del movimento nazionalista curdo.

Per i primi anni il Pkk si orientava principalmente sulla costruzione dell’organizzazione del partito, portando avanti lotte, sabotaggi e mobilitazioni, principalmente contro le famiglie feudali in Kurdistan, che esercitavano il dominio sui lavoratori e sul territorio. Le lotte in Hilvan, nel 1978, e in Siverek, nella provincia di Urfa, nel 1979, portarono l’organizzazione a porsi il problema concreto del piano clandestino e militare che, fino ad allora, era rimasto solo sulla carta. Sul piano ideologico, il gruppo si ispirava sostanzialmente al maoismo, alla teoria della guerra popolare prolungata e alla costruzione di un esercito popolare, che avesse come referente principale i contadini.

Dopo alcuni anni passati tra i campi di addestramento in Libano e Siria, durante i quali in Turchia avvenne l’ennesimo golpe militare, veniva costruito un nucleo di circa 300 militanti che, nell’estate del 1984, entrava in Turchia, passando dal Bashur, il Kurdistan iracheno (grazie ad un accordo con il Partito Democratico del Kurdistan – Kdp). Il 15 agosto 1984, i guerriglieri curdi del Pkk attaccavano postazioni dell’esercito turco, con mitragliatrici e razzi, e distribuendo volantini, nei quali dichiaravano aperta la fase di “guerra popolare allo stato colonialista e fascista turco”. Questa data rimarrà, nella biografia dell’organizzazione, come il Giorno del Risveglio.

Il materiale distribuito durante l’azione, firmato dall’Hrk (Hazen Rizgariya Kurdistan – Unità di Liberazione del Kurdistan), non conteneva elementi di natura etnica o nazionalista, ma, al contrario, invitava le organizzazioni rivoluzionarie turche a unire le forze contro la dittatura e inquadrava la lotta del popolo curdo come parte integrante della lotta di emancipazione della classe operaia e delle masse popolari di tutta la Turchia. La lotta del Pkk – Hrk non veniva concepita esclusivamente come una lotta di curdi per i curdi, ma veniva inserita, pur rivendicando il diritto alla separazione nazionale per il popolo curdo, nella causa rivoluzionaria di tutti i popoli della Turchia.

Le esperienze di fronte unito con le organizzazioni comuniste turche furono molteplici a partire dal 1982, come il Faşizme Karşı Birleşik Direniş Cephesi (Fkbdc; Fronte Unificato di Resistenza Contro il Fascismo) che comprese, oltre al Pkk, Sentiero Rivoluzionario (Dev Yol), il Thkc-p, Guerra Rivoluzionaria (Devrimci Savas) e altri. Esso venne sciolto nell’86 a causa degli arresti che colpivano Dev Yol, l’organizzazione maggiore del Fronte. Seguiranno altri protocolli di collaborazione, tra cui quello con il Partito/Fronte di Liberazione del Popolo Rivoluzionario (Dhkc-p) nel 1996. [1] Esperienza conclusasi due anni dopo con l’accusa, da parte dei rivoluzionari turchi nei confronti del Pkk, di privilegiare la collaborazione con i partiti riformisti. Infatti, parallelamente ai rapporti, talvolta simbolici, con le altre organizzazioni rivoluzionarie turche, il Pkk, a partire dagli anni ’90, incominciava a cooperare con una serie di partiti parlamentari filo – curdi, come il Partito della Democrazia del Popolo (Hadep), con l’obiettivo di avere un ramo legale della lotta di liberazione, che conducesse la denuncia della repressione dello Stato.

Alla fine degli anni ’80, con l’inizio dello scontro armato, il partito dava vita ad una serie di strutture ramificate come l’Ernk (Fronte di Liberazione Nazionale del Kurdistan), organizzazione interclassista di intellettuali, studenti, operai, rappresentativa di ogni settore della società curda. Esso veniva concepito come un fronte ampio con un notevole sostegno di massa e che operava anche fuori dai confini del Kurdistan, per far conoscere la lotta di autodeterminazione del popolo curdo. Parallelamente il Pkk cambiava denominazione alle Hrk, fondando l’Esercito di Liberazione Nazionale del Kurdistan (Argk) e dando il via alla prima fase della guerra popolare, la “difensiva strategica”. L’obiettivo era quello di mobilitare il popolo curdo grazie alla lotta armata.

Nel giro di alcuni anni, a causa soprattutto delle politiche etnocide e terroristiche dello Stato turco, iniziava la “Serhildan”, la rivolta di massa curda. Questa fase rappresentò il periodo più alto raggiunto dal Pkk in termini di consenso e radicamento.

La forza della lotta curda ebbe eco internazionale, portando settori di borghesia imperialista europea, come lo Stato svizzero ed in seguito il parlamento dell’Ue, ad esprimersi per una soluzione pacifica del conflitto. L’allora premier Turgut Özal si pronunciava a favore di una serie di concessioni alla popolazione curda e Ocalan annunciava, nel 1993, la prima tregua unilaterale dichiarando che era arrivato il momento per dei negoziati pacifici.

Il riconoscimento, da parte del governo turco e internazionale, della “questione curda” e il controllo operato su alcune zone del Bakur (Kurdistan turco), portava il Pkk ad affrontare il quinto congresso, nel gennaio del ’95, come l’ingresso in una nuova fase, formalizzando il passaggio politico e militare “all’equilibrio strategico”. Dal punto di vista di Ocalan, in contrasto alla visione del movimento comunista e alle esperienze di altre guerre rivoluzionarie vittoriose, questa fase rappresentava il momento della guerra popolare in cui dare maggiore peso al piano politico e diplomatico rispetto a quello militare. Questo congresso, però, non venne ricordato per questo aspetto, pur molto importante nello sviluppo ideologico del partito, quanto per la sua lettura della situazione internazionale, nella quale il Pkk si dissociava dall’esperienza del socialismo sovietico e dalle “altre politiche dogmatiche”, ritenute “l’era più primitiva e violenta del socialismo”. Si arrivò a rimuovere, dalla propria bandiera, i simboli storici del movimento comunista, la falce e il martello, a dimostrazione di un cambio sul piano ideologico, in questo momento ancora non del tutto consolidato e solo agli inizi, ma che aprì la nuova fase del partito.

Dal Pkk al Kongra – Gel

La nuova fase di “equilibrio strategico”, più che determinata da fattori interni allo sviluppo della guerra popolare, era il prodotto di uno spostamento ideologico del Pkk, dal campo della sinistra rivoluzionaria turca marxista – leninista al movimento nazionalista curdo, quindi dalla prospettiva della costruzione dello Stato socialista curdo ad una soluzione autonomista. Questo passaggio fu dato da elementi di carattere internazionale, come la caduta dell’Urss, storico sostenitore dell’organizzazione, e dal consolidarsi dell’autonomia curda del Bashur, ad opera dei combattenti peshmerga del Kpd e dell’Unione Patriottica del Kurdistan (Upk), con il sostegno degli imperialisti Usa, nell’ambito del piano di frammentazione dell’Iraq successivo alla Prima guerra del Golfo (1991).

I rapporti tra Pkk e i peshmerga curdo – iracheni sono contraddittori, tanto che nel ’91 vi furono due conflitti armati, terminati con la successiva tregua e la possibilità per l’organizzazione di Ocalan di costruire le proprie basi logistiche sicure sui monti Qandil (zona sotto il controllo dell’Upk) e di condurre diverse azioni congiunte contro le incursioni dell’esercito turco in Iraq. Ocalan incominciò a vedere nella soluzione autonomista una possibilità concreta, determinata dalla caduta della cortina di ferro e quindi della rimessa in discussione di tutti quegli equilibri che, fino a quel momento, avevano caratterizzato l’area mediorientale. La nuova stagione di aggressione imperialista, iniziata con la guerra del Golfo, apriva la possibilità di modificare confini e sovranità nazionali.

L’arresto di Ocalan, nel ’99, avvenne in un momento in cui, in fuga dopo l’espulsione dalla Siria [2], si recava in Europa alla ricerca di possibili interlocutori istituzionali, che si prendessero in carico l’onere di fare da sponsor per una negoziazione del conflitto. Possiamo ricordare in tal senso gli appelli di Ocalan allo Stato italiano, all’Unione Europea e agli Stati Uniti per la costruzione di una conferenza di pace sulla questione curda che vedesse le forze imperialiste in prima linea nei negoziati. Parte di questa visione furono i tentativi di costruire una rappresentanza diplomatica curda accreditabile presso gli alleati della Turchia nell’ambito della Nato. Tale obiettivo venne raggiunto con la formazione del Knk (Congresso Nazionale del Kurdistan) con sede a Bruxelles, che funziona tuttora da “organizzazione ombrello”, raccogliendo tutti i partiti dei quattro lati del Kurdistan, dal Pkk al Kdp, fino ad altre formazioni minori curde.

L’ufficializzazione di un’ulteriore deriva revisionista nel Pkk avvenne con il settimo congresso nel 2000, con l’adozione delle tesi esposte da Ocalan nei ricorsi presentati alla corte europea dei diritti dell’uomo e al tribunale di sorveglianza di Ankara. Le dichiarazioni del dirigente curdo sostennero che l’obiettivo del partito non era più da tempo la costruzione di uno Stato indipendente socialista, bensì i legittimi “diritti culturali dei curdi” e che anzi i curdi avrebbero potuto dare un contributo alla stabilità, alla pace e allo sviluppo della Turchia. Queste stesse dichiarazioni, rilasciate al tribunale di Strasburgo, chiedevano l’intervento dell’Ue come negoziatore. Tale cambio di rotta, che trasformò l’organizzazione da partito nazionale rivoluzionario a partito nazionale riformista, ebbe le sue conseguenze sulla ristrutturazione del Pkk. Il congresso eliminò l’Argk, l’esercito popolare, mutandolo in Hpg (Forze di Difesa del Popolo), che ebbero il compito di auto – difesa contro le aggressioni dell’esercito turco, e venne sciolto l’Ernk, il fronte politico, in favore di un rafforzamento del ruolo diplomatico del Knk. Questi cambiamenti non vennero accettati da tutti i militanti dell’organizzazione. [3] Dal fronte delle carceri un gruppo di prigionieri del Pkk criticò aspramente quella che definirono una “linea liquidazionista”; all’esterno diverse unità di guerriglieri e militanti politici lasciarono l’organizzazione e formarono nuove strutture; Una di queste è il Tak (Falchi della libertà del Kurdistan) che pur non mettendo in discussione la leadership di Ocalan, attaccarono la scelta dei negoziati e dei cessate il fuoco, cominciando a portare avanti azioni di guerriglia urbana contro obiettivi turchi.

Passeranno due anni, prima della perdita di ruolo ufficiale del Pkk stesso e la fondazione del Kadek (Congresso per la Libertà e la Democrazia nel Kurdistan) durante l’ottavo congresso del partito. Nonostante l’assenza fisica, Ocalan continuò a dettare la linea tramite le sue teorizzazioni dal carcere.

L’organizzazione fece proprio l’impianto ideologico liquidazionista della causa curda, formalizzandone i nuovi obiettivi: lavorare per la democratizzazione della repubblica turca, riconoscendone confini e governo e costruire una coalizione di associazioni e partiti democratici che guidino il negoziato con Ankara. Non solo, rispetto alla situazione internazionale, ridefinì il ruolo Usa in Iraq, come “colonialismo democratico”, e rilesse la situazione mediorientale, dall’aggressione imperialista alla lotta del popolo palestinese, come “un uso della violenza senza senso”, invitando “tutte le forze internazionali e locali ad agire in modo più responsabile”. [4] Il Kadek, come struttura, assumeva il ruolo di congresso mirante a sviluppare il lavoro nelle aree ideologiche, politiche e pratiche per le associazioni e i gruppi della società curda. L’attività congressuale, di formazione della nuova filosofia della dirigenza del Pkk, portava da un lato alla formazione del Kongra – Gel (Congresso del Popolo del Kurdistan) e dall’altro alla ricostituzione del Pkk, che mirò a diventare l’organizzazione del Bakur nel contesto del cosiddetto confederalismo democratico.

Il confederalismo democratico

Nel 2005 il Kongra – Gel fa propria la teoria sviluppata nel carcere di Imrali da Ocalan sulle forme di autogoverno del Kurdistan. Il leader curdo, influenzato dalle teorie dell’anarchico statunitense Bookchin (1921-2006), partendo da una analisi storica della civiltà umana, basata sulla critica dello Stato, condannava l’esperienza storica del movimento comunista e dei movimenti di liberazione nazionale, in quanto sarebbero invalidati dall’idea dello Stato e dello Stato-nazione. In alternativa, elaborava una teoria idealistica dell’autogoverno della società, con il ripristino della civiltà neolitica, riafferrmando i valori umani altrimenti completamente distrutti dallo sviluppo della società gerarchica costruita dallo Stato. Quei valori comuni, come l’uguaglianza di genere, l’ecologismo, la solidarietà e il socialismo, sono la base etica della sua concezione di democrazia radicale. Sulla base di questi valori, il progetto politico e sociale di confederalismo democratico è organizzato su quattro livelli. Alla base i comuni dei villaggi e i distretti, che sono coordinati a livello di quartiere, città, provincia e regione nella quale sono situati. Poi l’organizzazione dei gruppi sociali, come le donne, i giovani, gli anziani, ecc. Un altro livello di organizzazione si verifica sul piano culturale, in termini di organizzazione di diverse identità etnico-religioso-culturali. Il quarto e ultimo livello è quello delle organizzazioni della fantomatica “società civile”. Il suo essere “autogoverno” deriva dalla forma dei consigli comunali e dalle assemblee di tutti i livelli, le quali sono libere e aperte.

Se il confederalismo democratico prevede questa forma di organizzazione sociale, rispetto invece alla causa del Kurdistan, si prospetta la costituzione di un proprio autogoverno basato sull’Unione delle Comunità del Kurdistan (Kck), organo istituito nel 2007, il quale comprenda, oltre al Pkk per il Kurdistan turco, il Pyd per il Rojava siriano, gli altri loro equivalenti per l’Iraq (il Partito del Kurdistan per la Soluzione Democratica – Pçdk) e per l’Iran (il Partito per una Vita Libera in Kurdistan – Pjack) raggruppando potenzialmente tutte le minoranze curde divise nei quattro paesi mediorientali.

Il Kongra – Gel, invece, agirebbe come un parlamento, essendo previsto come il più alto organo legislativo dei confederati. La costituzione del Kck dovrebbe istituire anche un regime economico di tipo socialista, basato sul controllo centralizzato dell’economia da parte dell’organo stesso, pur non essendo contemplata l’abolizione della proprietà privata. Tra i territori curdi non esisterebbero frontiere, prendendo come esempio esplicito il trattato di Schengen nell’Ue, e l’ordine sarebbe regolato dalle proprie forze di difesa e da un apparato giudiziario autonomo, sia civile che militare. Il confederalismo democratico, prospettato da Ocalan, si tradurebbe in un’entità che agisca o in accordo con l’autorità centrale (i regimi di Iraq, Iran, Turchia e Siria), prevedendo una negoziazione pacifica e democratica per una riforma dell’intero assetto istituzionale di appartenenza o attuando la difesa militare dalle aggressioni di questi Stati.

Secondo Ocalan, il confederalismo democratico, applicabile anche in altri contesti fuori dal Kurdistan, sarebbe una soluzione complessiva della situazione del Medio Oriente, a partire dal conflitto arabo – sionista per il quale sostiene: “il conflitto in Palestina rende chiaro che il paradigma dello stato-nazione non aiuta una soluzione. C’è stato troppo sangue; quanto rimane è un retaggio difficile di problemi apparentemente irrisolvibili. Gli esempi israelo – palestinesi mostrano il fallimento completo del capitalismo moderno e dello Stato – nazione. Gli ebrei appartengono e sono portatori della cultura del Medio Oriente. Negare il loro diritto all’esistenza è un attacco al Medio Oriente in quanto tale”. [5] Una posizione che, dietro la vuota retorica radicaldemocratica e pacifista, porta acqua al mulino di chi taccia di antisemitismo la lotta palestinese.

Secondo Ocalan il problema del Medio Oriente è dato dalla rigidità dei confini degli Stati – nazione, nati dopo la Prima e Seconda guerra mondiale, in quanto incapaci di contenere le diverse specificità. Il suo è un attacco al panarabismo, reo di aver cercato di portare avanti politiche assimilazioniste contro l’eterogeneità culturale e religiosa, al pari dello stesso Ataturk in Turchia. Secondo la teoria di Ocalan, lo Stato prende il posto della religione e costringe gli individui a convertirsi ad esso, imponendo il proprio credo e cancellando quello degli altri. Da questo punto di vista, il ruolo delle guerre per procura degli imperialisti non è quello di aggressori di sovranità nazionali per la rapina dei territori, ma diventa occasione per liberare le forze democratiche rimaste imbrigliate dai regimi arabisti.

L’elemento estremamente idealista di questa visione del mondo è dato dalla concezione per cui le strutture sociali esistano di per sé e agiscono con una propria autonomia e non come prodotto dell’antagonismo storico tra le classi. Ocalan afferma: “Lo Stato – nazione necessitava della borghesia e del potere del capitale per rimpiazzare il vecchio ordine feudale e la sua ideologia che poggiava su strutture tribali ed aveva ereditato i diritti da un’ideologia nazionale che univa tutti i clan e le tribù sotto il tetto della nazione”.[6] All’incontrario, l’esperienza storica dimostra che è la borghesia ad aver utilizzato lo Stato – nazione moderno nella presa del potere dalle mani dell’aristocrazia e dei feudatari; non è lo Stato – nazione che agisce autonomamente, ma bensì la classe che lo dirige. L’analisi sul ruolo dello Stato è centrale in una teoria rivoluzionaria, perché implica la possibilità stessa della rivoluzione, come atto finale di una guerra in cui una classe prende il potere al posto di un’altra. Nelle lotte di liberazione nazionale questo significa lo scalzamento di una borghesia compradora o di una borghesia straniera in favore di un governo popolare di nuova democrazia. Negare il ruolo dello Stato, all’interno del sistema capitalistico, come oggetto del contendere, per la costruzione di una vera emancipazione e libertà per gli oppressi, significa opportunisticamente negare il percorso verso questa libertà stessa.

Conclusioni

Il Pkk, con il confederalismo democratico, conclude la propria parabola dal punto di vista ideologico: il revisionismo e l’opportunismo lo hanno portato su una linea riformista borghese. Comunque in trent’anni di attività, pur avendo dichiarato innumerevoli cessate il fuoco, non ha mai ceduto al disarmo e ha sempre cercato di rispondere agli attacchi del governo turco. Senza dubbio, però, ha progressivamente ridimensionato le proprie capacità militari, spostando aldilà del confine, in territorio iracheno, gran parte dei reparti di guerriglia, in funzione di una soluzione negoziata con lo Stato turco. Ovviamente né il Pkk né il movimento nazionalista curdo sono da considerarsi dei monoliti e, anzi, le barricate e i continui attacchi effettuati per le strade del Bakur e le azioni condotte in tutta la Turchia, dimostrano che la determinazione e la volontà di lottare da parte delle masse curde non si è mai sopita.

D’altra parte, la linea liquidazionista nel Bakur è in dialettica con quello che oggi succede nel Rojava, dove le Ypg (Unità di Protezione del Popolo), ovvero le milizie del Pyd, agiscono, da un lato, in coordinamento militare con l’aviazione yankee (all’interno del Combined Joint Task Force – Operation Inherent Resolve) e dall’altro, attualmente, anche con le forze russe. [7]

Pur avendo subito, in Siria, l’assalto delle forze islamiste, strumentali alla Turchia, e avendovi resistito, stabilendo un tacito accordo di non belligeranza, se non di vera e propria collaborazione, con l’Esercito Arabo Siriano, il Pyd si è fiondato subito nel dichiarare la sua adesione alla coalizione contro lo Stato Islamico promossa dagli Usa, che ha il chiaro scopo politico di giustificare l’intervento imperialista e mettere all’angolo Assad. Allo stesso tempo, mentre Erdogan sotto banco sosteneva lo Stato Islamico in funzione anti-Pyd e conduceva una guerra totale alla Resistenza Curda in Turchia, Siria e Iraq, la direzione del Pkk proclamava, sia nel 2014 che nel 2015, tregue unilaterali nei confronti del regime di Ankara.

Le parole di Cemil Bayk (co – fondatore del Pkk e attuale numero due del Kck), durante una intervista sul Guardian [8], sono chiare: egli auspicava che l’appoggio dato dalle forze curde alla coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti, portasse almeno al delisting del Pkk dalle liste nere antiterrorismo. Il tatticismo è chiaro: ingraziarsi le potenze imperialiste per ottenere un riconoscimento ufficiale che costringa il governo turco, in primis, a dover negoziare con l’organizzazione e a riconoscere l’autonomia curda sia in Siria che, in prospettiva, in Turchia. Quello che sta drammaticamente avvenendo nel Bakur dimostra, però, quanto questa posizione sia fallimentare. Non solo Erdogan ha chiuso qualsiasi possibilità sui negoziati, ma ha mandato l’esercito a massacrare i curdi e sta facendo pesare tutto ciò che è in suo potere sulla diplomazia internazionale (vedi ad esempio la questione dei profughi) per far considerare lo stesso Pyd una organizzazione terroristica. Per Erdogan e la borghesia turca, il Rojava, la Siria e non solo sono aree da includere nel proprio progetto espansionista neo – ottomano, che va in contraddizione aperta con qualsiasi autonomia o federazione proposta dalle organizzazioni curde. La contropartita del sangue versato dai curdi sull’altare degli interessi imperialisti non arriverà mai, o al limite essa consisterà in uno Stato satellite degli Usa com’è l’attuale Kurdistan iracheno.

Il senso di questo articolo non è quello di criticare coloro che oggi, con coraggio e determinazione, combattono in Bakur come nel Rojava, ai quali dobbiamo tutti mostrarci solidali. Anzi, i tanti giovani che partono per lottare sul fronte siriano, come prima su quello del Donbass, dimostrano un nuovo spirito internazionalista. L’obiettivo, invece, è dare degli strumenti per evitare facili innamoramenti verso delle organizzazioni liquidazioniste e linee politiche riformiste borghesi. La libertà dei popoli e le lotte di liberazione nazionale non hanno mai trovato un possibile alleato nelle fazioni di borghesia imperialista più aggressive, oggi rappresentate dal blocco Nato sotto la guida Usa: l’autodeterminazione dei popoli è impossibile da conquistare in alleanza con coloro che, per preservare la propria posizione di dominio, non possono che negarla.

Ciò che si esprime nella linea politica del Pkk e dalle organizzazioni ad esso legato confonde il movimento contro la guerra imperialista nel nostro paese, in particolare la scelta di cercare l’appoggio dei governi interventisti (è un esempio l’incontro ufficiale di Nessrin Abdalla delle Ypg con il ministro della difesa italiano Gentiloni). [9] Dal nostro punto di vista, nella fase attuale di tendenza alla guerra, il ruolo delle lotte di liberazione e autodeterminazione nazionale rivestono un ruolo essenziale nell’avanzamento della prospettiva rivoluzionaria, purché si sostanzino in lotta all’imperialismo e contribuiscano alla lotta più generale contro il capitalismo.

Note

[1] Vedi l’articolo “La lotta rivoluzionaria in Turchia e Kurdistan” 
paragrafo “Le principali formazioni rivoluzionarie turche e curde” 
Antitesi n.2 sezione 3: Imperialismo e guerra 
http://www.tazebao.org/lotta-rivoluzionaria-turchia-kurdistan/

[2] Vedi l’articolo ” Dalla <<primavera di Damasco>> al lungo inverno siriano” 
paragrafo “Il ruolo e la condizione dei curdi nel conflitto siriano 
Antitesi n.2 sezione 3: Imperialismo e guerra 
http://www.tazebao.org/primavera-damasco-inverno-siriano/

[3] http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article34511#nh45 

[4] https://wikileaks.org/gifiles/attach/8/8824_Pkk%20RESEARCH.doc

[5] http://www.uikionlus.com/wp-content/uploads/Confederalismo_democratico.pdf 

[6] Ibidem.

[7] Vedi l’articolo ” Dalla <<primavera di Damasco>> al lungo inverno siriano” 
paragrafo “Conclusioni” 
Antitesi n.2 sezione 3: Imperialismo e guerra 
http://www.tazebao.org/primavera-damasco-inverno-siriano/

[8] http://delistthePkk.com/the-guardian-interviews-cemal-bayik-in-qandil/

[9] http://www.huffingtonpost.it/2015/06/25/delegazione-curda-italia_n_7662258.html 

Materiali utili per l’approfondimento

Blood and Belief: The Pkk and the Kurdish Fight for Independence

From Kawa the Blacksmith to Ishtar the Goddess: Gender Constructions in Ideological-Political Discourses of the Kurdish Movement in post-1980 Turkey su http://ejts.revues.org/4657

http://www.kurdishquestion.com/index.php/insight-research/abdullah-ocalan/ocalan-the-Pkk-another-world-is-possible/635-ocalan-the-Pkk-another-world-is-possible.html .

Özcan, Ali Kemal, Turkey’s Kurds. A theoretical analysis of the Pkk and Abdullah Öcalan, New York 2006.  .

Turchia. Una prateria in fiamme! Internazionalismo proletario e processo rivoluzionario in Turchia del Collettivo Comunista Metropolitano, Milano, 1999.

Abdullah Ocalan, La Road Map verso i negoziati, edizioni Punto Rosso, Milano, 2014.

Knk – Congresso Nazionale del Kurdistan, Siria. Sviluppi politici nel Kurdistan Occidentale (Kurdistan Rojava), Med – Centro Culturale Curdo, Torino, 2013.

AA.VV., Dai monti del Kurdistan. Intervista a più voci in un villaggio del Kurdistan turco, edizioni a cura di “Alpi Libere”, Cuneo, 2012.