Cosa vuole Israele da Trump?

trump israeledi Bassam Saleh

Riceviamo dal compagno Bassam Saleh e volentieri pubblichiamo

Cosa vuole Israele da Trump? USA-Israele, una vecchia love story: la vittoria di Trump rende particolarmente felici gli israeliani, ma quale futuro per l’equilibrio politico del Medio oriente e per i palestinesi?

Trump, l’imprevedibile presidente Usa, ha firmato degli ordini esecutivi che riguardano l’ingresso dei cittadini di sette paesi islamici, nonché altri ordini contro il Messico, ed ha minacciato il ritiro americano dai trattati commerciali. Un presidente di parola! E continua il tira e molla sul trasferimento dell’Ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Per non parlare delle punizioni economiche previste nei confronti delle organizzazioni internazionali, in primis l’Onu.

In attesa dell’incontro con Netanyahu previsto nei prossimi giorni, Trump ha ignorato, persino omettendo anche una qualsiasi banale frase di cortesia, il discorso su un possibile rilancio del ruolo degli Usa al defunto processo di pace fra israeliani e palestinesi o un accenno pur da lontano sulla illegalità degli insediamenti israeliani nei territori occupati. Il che, in sè, è un regalo al governo dei partiti religiosi israeliani, così che possano legalizzare e aumentare la colonizzazione dei territori palestinese occupati, anche a Gerusalemme. In piena violazione delle risoluzioni dell’Onu e del Consiglio di Sicurezza. Continua così, la politica israeliana dei fatti compiuti, sostenuta dall’amministrazione nord americana.

E mentre i palestinesi ed il mondo arabo e musulmano discutono su cosa fare se dovesse avverarsi il trasloco dell’ambasciata americana a Gerusalemme, Israele continua nella sua politica di permanente aggressione contro i palestinesi, e contro ogni possibilità di una soluzione politica del conflitto.

Cerchiamo allora di vedere cosa vuole Israele dall’amministrazione Trump, oltre a quello che ha già avuto dalle altre amministrazioni. Troviamo che c’è un punto fermo nella politica americana, ossia garantire l’esistenza e la sicurezza dello stato di Israele, sostegno politico, economico e militare, e superiorità militare nei confronti dei paesi arabi messi tutti insieme.

Da una rapida lettura del discorso elettorale di Trump e del suo discorso di insediamento, si può dire che il suo punto di vista può essere un prolungamento della politica dei neoconservatori dell’amministrazione di George W. Bush, appartiene al pensiero della stessa destra fondamentalista ed ha la stessa posizione nei confronti dell’Islam radicale.

Questo, ci porta a dire che egli vede in Israele l’immagine che vorrebbe per gli Stati Uniti, e questo punto di vista si rafforza alla luce dell’incontro con la AIPAC (la più grande e influente lobby ebraica negli Usa), nel quale è stato sancito il suo impegno sulle promesse fatte in cambio del voto ebraico ed annessi. Un chiaro segnale del fatto che il neo presidente approva ciò che Israele vuole.

È proprio dalla pressione praticata contro l’amministrazione Obama da parte di Trump per non astenersi alla risoluzione del Consiglio di sicurezza sugli insediamenti illegali che condannava Israele, che subito è apparsa chiara l’intenzione del neo presidente che tutto volgesse al più presto verso un cambiamento: dal mancato sostegno nei confronti della organizzazione internazionale per punirla, alla sua richiesta di annullare la risoluzione e, infine, l’impegno per spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Quest’ultimo proponimento fu messo sul piatto anche da tutte le amministrazioni precedenti, che però non ne hanno mai voluto l’attuazione per vari motivi geopolitici che riguardano gli interessi americani e i rapporti con i paesi arabi. Dalla questione dell’improbabile trasferimento, si intravede bene la visione di Trump e la sua politica nei confronti di Israele, e indicativa è la squadra che ha messo a lavorare in Israele: è stato nominato Friedman come ambasciatore in Israele, uno dei più convinti sostenitori della costruzione degli Insediamenti, e sostenitore di Israele, il quale è impegnato a gestire i rapporti dell’ambasciata da Gerusalemme, dove ha una residenza permanente. Poi ha nominato consigliere per il Medio Oriente Walid Phares conosciuto per suo amore di Israele e il suo odio per i palestinesi, e ha nominato suo cognato come inviato speciale per il Medio Oriente responsabile per il negoziato, noto sostenitore delle attività dei coloni, di origini ebraiche. Non vi è alcun dubbio che questa squadra rappresenti la punta di diamante che dovrebbe decidere insieme ai ministri, la politica del presidente Trump nei confronti di Israele. La domanda è: ma Israele cosa vuole da questa amministrazione?

Israele vuole, secondo esperti palestinesi, qualcosa che vada ben oltre l’impegno per la sicurezza e la sopravvivenza di Israele, e l’aiuto finanziario e militare: vuole un impegno più profondo e più strategico nel rapporto tra i due paesi, e cioè che la qualità del cambio nei rapporti venga sancita dalla firma di un patto di difesa comune con gli Stati Uniti. Un patto che confermi, oltre agli impegni detti sopra, che qualsiasi guerra contro Israele sia da intendere come una guerra agli Stati Uniti stessi, in particolare di fronte alle minacce comuni, come il terrorismo e la potenza nucleare iraniana. Quindi gli Stati Uniti dovrebbero chiedere la revisione dell’accordo nucleare e modificarlo per garantire questa visione strategica.

Per ciò che riguarda la questione palestinese, Israele vuole liquidare completamente la questione palestinese, in linea con la visione della destra al governo del paese, attraverso la cessazione della prospettiva risolutiva dei due stati: dunque, da una parte, pensa a soluzioni alternative per il popolo palestinese – come l’opzione Giordania patria dei palestinesi – e, dall’altra, propone soluzioni sul piano dei diritti umani per accreditarsi il riconoscimento del proprio diritto ad espandere le colonie ( compresa l’annessione dell’insediamento maalih Adumim a Israele), il che, tradotto, significa l’impossibilità di costruire uno stato palestinese.

Israele vuole qualcosa di più oltre al trasferimento dell’ambasciata o la protezione al Consiglio di Sicurezza; vuole operare un cambiamento nel rapporto a proprio vantaggio, anche se è a scapito degli interessi degli Stati Uniti nella regione.

Israele vuole con queste pretese sbarazzarsi della causa palestinese, quindi annullare tutte le risoluzioni di legittimità internazionale e cancellarli dagli archivi delle Nazioni Unite.

Israele per 68 anni ha cercato di sbarazzarsi del popolo palestinese e della sua causa ma, nonostante tutta la potenza militare e le politiche di colonizzazione, ha fallito. E oggi vuole ciò che non è riuscito ad ottenere dalle precedenti amministrazioni, attraverso l’imposizione di una soluzione politica dal Presidente Trump.

Cosa risponde l’amministrazione Trump a queste richieste, avrà le capacità di attuarle? Gli Stati Uniti “delle solidi istituzioni” permetteranno a Trump di infischiarsi dei rapporti commerciali e politici con i paesi arabi e con i paesi islamici, degli interessi europei e delle organizzazioni internazionali, potranno mai arrivare a questo punto di auto isolamento?

I palestinesi e la loro causa stanno attraversando la fase più delicata della loro storia. Come affronteranno la nuova era americana? A quanto riferiscono i mezzi di informazione palestinesi, sembra che si stia accelerando sulla questione dell’unità nazionale, stando agli incontri di Beirut e di Mosca tra le organizzazioni dell’Olp e Hamas e Jhad islamico; sono passi importanti che muovono verso la fine della divisione e verso la messa in opera di un programma politico comune, che si manifesterà, se tutto ciò risulterà essere vero, nelle elezioni presidenziali e legislative nei territori occupati, e nelle elezioni del consiglio nazionale dell’Olp in esilio. Ma c’è anche qualche sfida già annunciata, in caso di trasferimento dell’ ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme: infatti l’Olp ritirerà il riconoscimento allo stato di Israele, con tutte le conseguenze derivanti da questa scelta che aprirebbero le porte a tutto un altro scenario nel medio oriente.

Questioni complesse e delicate si pongono davanti al neo presidente americano, ed è ancora troppo presto per dare un giudizio, ma il tempo è tiranno anche per i grandi del pianeta. E i popoli che lottano per la loro libertà stanno per perdere la pazienza. Trump ha davanti quattro anni, per essere ricordato nel bene e nel male.