La povertà nel mondo è diminuita? Le manipolazioni della Banca mondiale

di Vicenç Navarro* | da www.michelcollon.info/La-pauvrete-a-t-elle-diminue-dans.html?lang=fr
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

poverta mondoQualche settimana fa la Banca mondiale ha pubblicato un breve comunicato stampa di sei pagine, che ha fatto scorrere molto inchiostro. La Banca mondiale segnalava che, malgrado la recessione mondiale, la povertà estrema era diminuita nel mondo. Il titolo del comunicato stampa riassumeva tutto: «Nuove stime rivelano una diminuzione della povertà estrema per il periodo dal 2005 al 2010».

Inutile dire che i principali mezzi d’informazione del mondo occidentale, di sensibilità liberale e avidi di buone notizie, hanno ripreso ampiamente il dispaccio. I più grandi quotidiani e settimanali del mondo hanno pubblicato articoli gridando all’unisono la buona notizia. Il titolo del New York Times era rappresentativo: «La povertà mondiale diminuisce malgrado la recessione economica mondiale». Titoli simili sono apparsi sui grandi media, specialmente sulla stampa economica liberale, dal Financial Times passando per The Economist.

Quest’ultimo, con l’esagerazione che lo caratterizza, ha indicato che «per la prima volta il numero dei poveri è diminuito in tutto il mondo». Evidentemente, come si sarebbe potuto prevedere, i mezzi d’informazione dominanti in Spagna hanno ripreso l’informazione con la stessa esultanza.

Il problema di tutta questa mobilitazione mediatica è che i dati, ivi compresi i dati della stessa Banca mondiale, non riflettevano questa realtà. Lo studio della Banca mondiale verte sull’evoluzione della povertà estrema durante il periodo 1981-2008. Pertanto l’ultimo anno analizzato è il 2008, primo anno della recessione. Infatti, nel 2008 la recessione era appena cominciata. Dallo studio della Banca mondiale non si può quindi concludere che la povertà sia diminuita malgrado la recessione, come indicato dalla maggior parte dei media. In realtà, la crisi e la recessione sono iniziate nel 2008 e si intensificano in numerose parti del mondo. Per arrivare alla conclusione a cui sono giunti i media, si sarebbe dovuto focalizzare lo studio sugli anni 2008-2012 e vedere se la povertà fosse diminuita durante questo periodo. La Banca mondiale non ha realizzato un tale studio.

Ciò che la Banca mondiale ha realmente fatto è una stima del calo della povertà per il periodo 2008-2010, stima basata non su dati reali, bensì su dati calcolati secondo molteplici presupposti, taluni dei quali devono essere rimessi seriamente in discussione. Le stime della Banca mondiale sono di fatto note per la loro «creatività», che conduce a valutazioni e proiezioni di scarsa credibilità nella comunità scientifica. Gli unici dati esatti, e non supposizioni, dello studio della Banca mondiale terminano nel 2008, quando la recessione era appena all’inizio.

Inoltre il rapporto della Banca mondiale commette un altro errore che, come il precedente, permette di giungere ad un’errata conclusione. Vi si analizza quanta gente viva nel mondo con meno di 1,25 dollari al giorno e si quantifica come questa cifra si sia evoluta durante il periodo 1981-2008. Secondo i calcoli dello studio, vi erano 662 milioni di persone in meno che vivevano in queste condizioni nel 2008 rispetto al 1981. Da questo si è tratta la conclusione che la povertà fosse diminuita a livello mondiale. Dato che questo periodo è stato soprattutto liberista, ovvero che la maggior parte dei Paesi del mondo, sotto la pressione del FMI e della Banca mondiale, hanno seguito politiche neoliberiste, questa diminuzione è presentata come la prova del grande successo di tali politiche. Si sono visti pubblicare diversi articoli di celebri economisti liberali (in realtà, neoliberisti), che cantavano le lodi del neoliberismo. Ma una tale euforia ignora alcuni fatti elementari.

Uno di questi è che la maggior parte della diminuzione della percentuale di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno si concentra in Cina (e, al secondo posto, in India). Ora la Cina non ha seguito le politiche neoliberiste nel suo processo di sviluppo. Diversamente dal buon senso convenzionale neoliberista degli USA e dell’Unione europea, lo Stato cinese è altamente interventista, con (un esempio fra gli altri) un controllo totale della banca pubblica e del credito. In India la situazione è simile. Al di fuori di questi due Paesi, la percentuale della popolazione che vive in estrema povertà aumenta, anzichè diminuire, particolarmente nei Paesi che hanno seguito con maggiore docilità le ricette neoliberiste.

Quanto agli altri Paesi interessati dal calo di povertà, come per esempio il Venezuela, il Brasile, l’Argentina e altri Paesi dell’America latina, tale diminuzione della povertà è dovuta appunto alla rivolta contro le politiche neoliberiste. Rompendo con queste ultime, le politiche di questi Paesi sono più interventiste e di orientamento ridistributivo, con una partecipazione attiva dello Stato nell’attività economica. Come mostrano i rapporti pubblicati dal «Center for Economic and Policy Research» di Washington, le conseguenze del neoliberismo nel mondo in termini di sviluppo sono negative. I tassi di crescita economica e di produzione d’impiego sono stati più importanti nei Paesi che hanno ignorato le posizioni neoliberiste che in quelli che le hanno seguite. Infatti, uno dei Paesi che ha conosciuto la più grande diminuzione della povertà è proprio il Venezuela, sotto il governo di Hugo Chavez, demonizzato dai media spagnoli a grande diffusione.

Ma il più grande problema del rapporto della Banca mondiale è la definizione stessa che essi dànno della povertà estrema, utilizzando come indicatore il consumo di 1,25 dollari USA come soglia di povertà. Certamente utilizzare 1,25 dollari USA non significa che, nel mondo, sono poveri coloro che consumano meno di 1,25 dollari per abitante. Una simile somma, in dollari USA, potrebbe assere una quantità rispettabile di denaro per un Paese povero. La soglia di povertà estrema non si colloca a 1,25 dollari USA nei Paesi in via di sviluppo. La vera soglia di povertà estrema è piuttosto il potere d’acquisto in moneta locale il cui valore è paragonabile ad un potere d’acquisto di 1,25 dollari negli USA.

Come perfettamente dimostrato da Robin Broad e John Cavanagh nel loro libro Development Redefined. How the Market met it Match, questo indicatore è semplicistico ed estremo. In effetti, esso non tiene conto dei beni di consumo che non sono commercializzati. Per esempio, due Paesi possono essere sulla soglia di 1,25 dollari al giorno per abitante, e tuttavia quello che ha abbondanza di servizi pubblici sarà meno povero di quello che non detiene tali servizi. Il fatto è che la Banca mondiale non valorizza i servizi pubblici, ma piuttosto il settore privato. In tal modo, un simile indicatore sottovaluta deliberatamente l’effetto positivo dei servizi pubblici per quanto riguarda la riduzione della povertà in un Paese.

Ricapitolando, il neoliberismo è un fallimento, anche se la Banca mondiale ed il FMI cercano di salvarlo. Esso ha un impatto devastante sulla povertà e la crisi sta per accentuare ancor più questa situazione. La Spagna è un esempio lampante dei danni del neoliberismo. La povertà si è accentuata e non ridotta. Scrivere il contrario è propaganda neoliberista, tanto più quando si cerca di occultare questa realtà con studi, i quali di scientifico hanno solo l’apparenza.

* Vincenç Navarro, professore di politica [strategia] pubblica presso le università Pompeu Fabra e The Johns Hopkins University