Giovani a caccia di posti, solo uno su quattro lavora

Avere vent’anni: non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita». Paul Nizan lo scriveva nel 1940 e ne aveva tutte le ragioni, per il vento di guerra che si respirava nel mondo. Oggi il clima è diverso, ma i giovani non sembrano poterne troppo gioire.
Pur essendo target fondamentale della strategia di Lisbona, che però si è concentrata soprattutto sul tasso generale di occupazione, su donne e «over 55», i giovani sono rimasti nel cono d’ombra di un’eclisse che dura ancora. È incredibile, perché nonostante i richiami e i convegni, la frattura generazionale si è consumata, segno di un welfare ancora rinchiuso su un modello di società industriale, basata sul capofamiglia maschio, che non c’è più. E così di piani concreti per i giovani se ne vedono pochi.
«Negli anni scorsi – afferma Marco Centra, responsabile di ricerca dell’Isfol – i giovani arrivavano al lavoro con il canale dei contratti di formazione lavoro (Cfl). Ora, precluso quel canale dalla Ue e non ancora raggiunto il pieno decollo del nuovo apprendistato, i giovani fanno fatica a entrare nel mercato del lavoro e, quando ce la fanno, si trovano impantanti in una flessibilità che sembra non finire mai». Non è un caso, come segnala l’indagine Plus Isfol, se circa un giovane su tre tra i 15 e i 24 anni non appartiene alle forze di lavoro e se solo uno su quattro risulta occupato. Risultato che stime dicono si vedrà confermato dai prossimi dati Istat, previsti il prossimo 21 marzo. La difficoltà di salire sulla giostra del lavoro riguarda soprattutto i giovanissimi (frutto anche dell’innalzamento dell’età della formazione, che sposta in là l’asticella dell’ingresso al lavoro), ma non salva gli altri. Anche con in mano una laurea, come ha rivelato nel weekend l’indagine Alma Laurea, un giovane su due non trova lavoro entro il primo anno, anche se sul medio-lungo termine il titolo conta di più. Solo il 45% dei laureati triennali lavora a un anno dalla tesi.
Per non parlare della qualità del lavoro dei più giovani: in molte province del Centro e del Nord, un’assunzione giovanile su due passa dal lavoro temporaneo, che diventa spesso, più che una stagione della vita, una condizione esistenziale permanente. Ciò che alimenta un circolo vizioso su cui il legislatore dovrebbe intervenire, perché innesca un’equazione perversa: lavoro a termine-difficoltà di accesso ai mutui-disincentivi a metter su famiglia-situazione previdenziale insostenibile. Come rompere la spirale? Intanto i dati ci raccontano la storia di un’occupazione giovanile complicata, per la quale urge una terapia shock.
I migliori e i peggiori
Secondo i dati dell’ultima rilevazione disponibile, quella del terzo trimestre 2006, qualche segnale più positiva la si può notare, ma la disoccupazione dei 15-24enni è sempre elevata (18,9%) e arriva a lambire il 30% nel Mezzogiorno (29,9%). In totale risultano circa 500 mila i giovani alla ricerca di un lavoro (15-24 anni). E se la metà ha solo la licenza media, l’altra metà ha il diploma superiore.
Su un tasso di occupazione giovanile nazionale del 29,9%, nella hit parade dei migliori e dei peggiori, si distinguono tra i virtuosi Cuneo, Bolzano, Reggio Emilia e Modena, tutte sopra al 40%. Mentre tra i meno fortunati si distinguono i ragazzi e le ragazze di Caltanissetta, Crotone, Caserta, Siracusa ed Enna ( vedere tabelle a lato). I giovani maschi sono sempre più avvantaggiati rispetto alle ragazze. Il loro tasso di occupazione supera il 50% a Reggio Emilia (56,0%), Pistoia (54,2%), Lodi (53,9%) e Cuneo (51,5%). Quote lontane dall’occupazione delle ragazze del Nord, dove le più fortunate non arrivano nemmeno al 40%: Forlì-Cesena (37,3%), Bolzano (36,1%), Bologna (34,7%), Modena (34,6%). Nella geografia del disagio ottengono invece i primi posti le giovani donne tra i 15 e i 24 anni di Siracusa (il tasso di occupazione è del 6,5%, record nazionale assoluto), Crotone (6,6%), Trapani (7,3%), Caltanissetta (7,9%) e Foggia (8,2%).
L’«Agenda giovani» è fitta e rischia così di essere molto lunga e perdere di vista le vere priorità. E non pare più possibile cavarsela incitando i giovani a studiare di più, se i percorsi formativi formali non sono sempre i canali più efficaci per trovare lavoro. «Nonostante l’aumento dei tassi generali di occupazione – conclude Marco Centra – i giovani sembrano una generazione in ombra nelle politiche. Vedremo che cosa ci diranno i prossimi dati sul 2006. Aumenta il Pil, entrano a regime i nuovi contratti, ma i giovani non sembrano beneficiarne. Il rischio precarietà resta elevato».
E il circolo vizioso così si autoalimenta, con un’aggravante: che in molte province del Centro e del Nord i giovani fuggono dalla scuola perché trovano un lavoro, ma non sempre di alta qualità. Con il rischio di ipotecare a lungo la loro precarietà e di dare ragione a Nizan: avere vent’anni non è più la più bella stagione della vita.