Intervista a Jeronimo de Sousa: “l’alternativa nascerà dalla lotta di massa”

a cura di Anabela Fino e Gustavo Carneirowww.avante.pt | traduzione a cura di Marx21.it

 

INTERVISTA A JERONIMO DE SOUSA, SEGRETARIO GENERALE DEL PARTITO COMUNISTA PORTOGHESE

 

sousa pcp

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista concessa ad Avante, settimanale del PCP, in cui Jeronimo de Sousa fa il punto sulla situazione economica e sociale in Portogallo e in Europa e sul ruolo dei comunisti nella lotta dei lavoratori e del popolo portoghese contro gli effetti devastanti della crisi e le ricette imposte dai poteri forti continentali e nazionali.

 

All’inizio del 2012 sono entrate in vigore, con tutta la loro valenza, le misure previste dal Memorandum firmato dalla troika nazionale (PS/PSD/CDS) insieme alla troika straniera, che il PCP fin dal primo momento ha definito patto di aggressione. Quali le conseguenze che c’è da aspettarsi dall’approfondimento della politica che verrà seguita?

 

Queste misure, una volta che saranno messe in pratica, si tradurranno in maggiore recessione, maggiore indebitamento, maggiore disoccupazione e maggiori ingiustizie. Al contrario di quanto il governo afferma, le condizioni del Paese peggioreranno nel 2012 per peggiorare ancora di più nel 2013, nel caso prosegua l’attuazione del patto di aggressione. E’ in tal senso che pensiamo che sconfiggere questo patto costituisca un dovere nazionale.

 

Quando dici che il Paese si troverà in condizioni peggiori, che intendi dire con questa affermazione? Ci troviamo in recessione, la disoccupazione non cessa di aumentare, non ci sono misure orientate alla crescita economica. In tali condizioni, come si potrà ancora peggiorare?

 

Il peggioramento avverrà proprio per questa aspettativa di tagli, sacrifici e austerità, di rifiuto di investimenti per creare nuova ricchezza, in una prospettiva di crescita economica e sviluppo. Tenendo conto del fatto che produrremo minore ricchezza, le conseguenze saranno l’aumento delle difficoltà, dei fallimenti, delle chiusure di imprese e della disoccupazione. Le ultime statistiche dimostrano ormai la verità di questa affermazione.

 

Anche i tagli nei servizi pubblici e l’aumento brutale del costo della vita che peserà sul popolo portoghese portano alla contrazione del mercato interno. E questa è una legge economica semplice: se le persone hanno meno potere d’acquisto, le imprese vendono meno, soprattutto quelle che vivono del mercato interno. E c’è anche questa offensiva contro i lavoratori, attorno a due obiettivi che sono previsti nelle modifiche alla legislazione del lavoro.

 

Il governo giustifica tutte queste misure con la necessità di ridurre il deficit e pagare il debito. Nel caso specifico delle leggi sul lavoro, come si relazionano con il deficit e il debito?

 

Non hanno nulla a che vedere con il deficit e neppure con il debito, e ancora meno risolvono i problemi della competitività e della produttività dell’economia nazionale, che passano meno dal fattore lavoro che dal fattore capitale. Le modifiche proposte alla legislazione del lavoro , che sono previste anche nel patto di aggressione, rivelano in forma cruda la natura di classe di questo governo e il suo obiettivo dell’aumento dello sfruttamento dei lavoratori.

 

La proposta di aumento dell’orario, che è la più iniqua, non può essere sganciata dalle altre che sono sul tavolo e che mirano a rendere meno onerosi e più facili i licenziamenti, all’attacco delle ferie, dei congedi e delle ore extra e al tentativo di ridurre e persino eliminare la contrattazione collettiva. In estrema sintesi, possiamo dire che il governo vuole costringere i lavoratori a lavorare di più, a ricevere meno e con meno diritti. Sull’aumento dell’orario di lavoro, richiamo l’attenzione sul fatto che il governo ha cominciato ad esitare e le confederazioni padronali hanno fatto i conti. Ormai pensano di lasciar perdere la mezzora in più e di tentare di conseguire lo stesso obiettivo per altre strade, in particolare di allargare il lavoro non pagato. Senza dormire sugli allori, se questa marcia indietro dovesse essere confermata, potremmo affermare che ciò avviene in seguito alla lotta, in particolare allo sciopero generale. Il padronato sembra aver avvertito che avrebbe dovuto scatenare una guerra nelle imprese e nei luoghi di lavoro che durerebbe mesi e anni fino al ritorno dell’orario precedente senza perdita di salario.

 

La lotta deve continuare! La manifestazione convocata dalla CGTP-IN per l’11 febbraio, al Terreiro do Paco, assume un’importanza straordinaria perché, nonostante i pericoli che incombono su di noi, è possibile ottenere vittorie. A volte, resistere è già vincere.

 

C’è qui una contraddizione su cui occorrerebbe riflettere. Gli economisti e i consiglieri del governo sanno che queste misure hanno un carattere recessivo, e nonostante ciò le assumono. Come si giustifica l’insistenza su queste soluzioni?

 

Si giustifica con la natura di classe di questa politica. La destra e il capitale non hanno mai accettato la concessione di porzioni di potere perso, ai diritti conquistati dai lavoratori, e ritengono che questo sia il momento di arrivare alla resa dei conti con Aprile (la Rivoluzione dei garofani del 1974), con ciò che è stato trasformazione e conquista, e hanno scatenato questa offensiva. A dir la verità, non si tratta di una semplice offensiva, dal momento che, se ricordiamo, constatiamo che nel corso degli ultimi trent’anni, l’offensiva c’è sempre stata, con continui pacchetti sul lavoro giustificati con lo stesso discorso della competitività, della produttività e della flessibilità. Sono proposte vecchie di più di trent’anni.

 

Ma c’è da sottolineare la differenza: per la sua dimensione, diversità e profondità, è un’offensiva diversa, perché è più grave. Come dico, in un quadro di disoccupazione, di ingiustizie e di accentuazione del solco tra coloro che più hanno e più possono e quelli che meno hanno e meno possono, la questione ha a che vedere con la natura di questo governo e con la natura della politica che pratica.

 

(…)

 

Il PCP si pronunciò contro l’adesione del Portogallo alla moneta unica, ma oggi sono molti gli economisti, e non solo, a riconoscere le conseguenze negative dell’adesione e alcuni anche a difendere l’uscita del Portogallo dall’euro. L’uscita dall’euro, e dalla stessa Unione Europea, è un’ipotesi da prendere in considerazione?

 

In primo luogo, la vita ha confermato non solo la nostra denuncia, i nostri allarmi e la nostra analisi in merito alle conseguenze dell’adesione del Paese alla moneta unica e della stessa integrazione europea. Quanto alla nostra uscita o alla nostra permanenza, la posizione del Partito relativamente a ciò deriva dalle decisioni congressuali e il XIX Congresso valuterà e deciderà anche su tali questioni.

 

La crisi del capitalismo e dell’Unione Europea, le conseguenze per il nostro paese di questo processo di integrazione, il grado di distruzione del nostro apparato produttivo, il contenuto dei trattati che si sono succeduti e le decisioni del direttorio delle potenze nel senso dell’ingerenza, dell’alienazione della nostra sovranità, sono processi che ancora non sono stati compiuti. Da qui deriva che siano questioni che esigono molta riflessione. Più che una risposta secca a una domanda sintetica, come quella che è stata fatta, occorre soppesare bene tutte le conseguenze.

 

Tutti questi trattati e decisioni di cui hai parlato, danneggeranno paesi come il Portogallo a beneficio delle grandi potenze…

 

Ciò che penso è che l’Unione Europea, particolarmente paesi come la Germania o la stessa Francia, hanno mangiato la carne e ora non sono disposti a rosicchiare le ossa. Particolarmente se teniamo conto dell’elevato grado di distruzione della nostra agricoltura, della nostra pesca, della nostra industria, soprattutto l’industria pesante, che ha permesso che la nostra produzione nazionale fosse sostituita dalle importazioni. E ciò è avvenuto a beneficio della Germania, fondamentalmente.

 

In tal modo, la questione dell’uscita o no dall’euro o dall’Unione Europea non deve essere un atto improvviso, ma anche il nostro Paese deve collocarsi nella posizione di creditore, poiché – anche non occultando le responsabilità dei governi di destra che si sono succeduti – la moneta unica è stata un disastro per il nostro Paese. L’approfondimento della discussione nella fase di preparazione del Congresso terrà certamente conto di queste due questioni.

 

Una catena commerciale, per promuovere i suoi prodotti, ha fatto un confronto dei prezzi in escudos, dal momento che è noto che con il cambiamento in euro i prezzi sono brutalmente aumentati. Pensi che ci sia chi è sensibile al ritorno all’escudo e al potere d’acquisto dell’escudo?

 

E’ evidente che con l’integrazione nell’euro, il Portogallo ha perso la flessibilità monetaria e, in molte circostanze, si è trovato con le mani legate. In un quadro di sviluppo diseguale, in particolare in rapporto ai paesi con grande capacità produttiva, le perdite dovute all’integrazione sono state molte. Addolcite, sul momento, con i sussidi comunitari che sono arrivati qui. Non per tutti, ma nelle mani di pochi.

 

Ciò ha condotto a una concezione terribile: che il Portogallo non aveva bisogno di produrre, che non aveva bisogno di agricoltura, di pesca e di industria perché stava nell’Unione Europea. Mi ricordo Cavaco Silva, quando era primo ministro, dire che non occorreva che il Paese producesse acciaio perché lo facevano qui di fianco, in Spagna.

 

Di qui la sensazione che molte volte si avverte da parte anche da persone che non dirigono le politiche monetarie e di cambio, ma che guardano alla realtà dei fatti e comprendono che l’integrazione nell’euro è stata una corda con la quale intendevano impiccarci. In tal senso, la questione dell’uscita dall’euro, o dell’espulsione come ormai la questione viene posta, non può essere un atto di accettazione passiva. Il nostro Paese deve fare in modo che sia nell’eventuale uscita che nella permanenza siano fatti i conti con ciò che il Portogallo come paese ha sofferto con le imposizioni che sono arrivate insieme all’adesione all’euro.

 

(…)

 

Poiché parliamo di rafforzamento, vale la pena ricordare che abbiamo due paesi dell’Unione Europea, Italia e Grecia, con governi che non sono il risultato di elezioni e si è saputo che il cancelliere tedesco ha chiesto al presidente italiano di far dimettere Berlusconi…

 

Ciò dimostra che per il capitale le elezioni e i suoi risultati vanno bene quando servono ai suoi obiettivi. E ciò riguarda questioni di democrazia, anche della democrazia borghese. Ciò che stiamo verificando è che il capitale, quando i suoi partiti politici non gli servono, cerca soluzioni antidemocratiche, o almeno non suffragate dai popoli.

 

La principale lezione che possiamo trarre è che il capitale, per raggiungere i suoi obiettivi, non guarda ai mezzi e ha una visione utilitaristica e strumentale delle elezioni. Vale a dire, se serve, vanno bene, se non serve vengono imposte altre soluzioni, come quelle che sono state imposte in Grecia e in Italia.

 

Il Partito ha invitato alla lotta popolare contro il patto di aggressione e a lavorare per sviluppare un “vasto movimento popolare che riunisca tutti i settori antimonopolisti, tutti i democratici e patrioti” per questo obiettivo. E’ questa la prospettiva che il PCP propone ai lavoratori e al popolo?

 

Una prima riflessione: è naturale che ci sia chi, partendo dalla realtà e dalla complessità attuali, abbia la tendenza a sopravvalutare le difficoltà, restando bloccato dall’idea che non esistono alternative o tentando fughe in avanti.

 

Noi pensiamo che sarà la lotta dei lavoratori, in convergenza con le masse popolari e con altri settori e strati antimonopolisti, a creare le condizioni per la rottura con questa politica di destra e che sarà da questa rottura che deriverà una politica alternativa, patriottica e di sinistra, e un’alternativa politica capace di concretizzarsi.

 

La nostra proposta non è schematica né indica una data, nella misura in cui ci troviamo di fronte a un processo socio-politico vivo, in cui la coscienza, la creatività e la combattività delle masse rappresenterà sempre il fattore decisivo e determinante. Per un comunista la cosa più importante ora è lottare per sconfiggere il violento patto di aggressione, tenendo sempre presente il fatto che tale lotta è inseparabile dall’esigenza di una politica patriottica e di sinistra e dalla realizzazione del programma del PCP di una democrazia avanzata e del nostro progetto di costruzione del socialismo in Portogallo.

 

Quando si lancia un appello ai “democratici” e ai “patrioti”, ciò significa un appello all’unità con il PS (Partito Socialista)?

 

In merito alle forze che possono comporre e creare le condizioni per questa alternativa politica, noi difendiamo lo sviluppo della lotta sociale, la convergenza di ampi strati sociali, con i lavoratori che rappresentano il motore di questa stessa lotta.

 

Quanto alle forze politiche, che possiamo dire? Che oggi il PS è profondamente compromesso con la politica di destra e con il patto di aggressione. Ma questo invalida il fatto che molti democratici e patrioti che votano PS siano messi ai margini di questa lotta, tenendo conto che stanno soffrendo sulla propria pelle i costi di questa politica? Noi pensiamo di no.

 

Ma relativamente alla direzione del PS, è compromessa, per scelta, con questo patto di aggressione come è compromessa con il Bilancio di Stato da dove provengono queste misure, non è orientata alla rottura e al cambiamento, verso la politica patriottica e di sinistra che proponiamo.

 

(…)

 

Concentriamoci ora sulla “politica patriottica e di sinistra” che il PCP difende. Qual è il suo contenuto?

 

Il primo contenuto, come ho detto – e insisto – è che senza la rottura non c’è cambiamento politico nel senso che proponiamo. La prima questione è, perciò, la nostra lotta per la rottura con questa politica che ci porta al disastro.

 

Quanto agli obiettivi di questa politica patriottica e di sinistra, è fondamentale in primo luogo che il nostro Paese si orienti verso la crescita e lo sviluppo, con la debita valorizzazione del nostro apparato produttivo e della nostra produzione nazionale, del potenziamento delle ricchezze nazionali ai diversi livelli. Al contrario di quanto molta gente afferma, il Portogallo non è un paese povero. Ha potenzialità e risorse immense che possono essere indirizzate al soddisfacimento dei bisogni del popolo e del Paese.

 

E poi deve essere una politica che scommetta sull’aumento dei salari e delle pensioni, sulla difesa dei diritti dei lavoratori, che tenga conto dei servizi pubblici per il benessere della popolazione, che si indirizzi affinché lo Stato torni al comando delle imprese basiche e strategiche, che affermi chiaramente un Portogallo indipendente e sovrano, che cooperi con tutti i popoli e i paesi del mondo.

 

Ecco cosa intendiamo con la nostra proposta di politica patriottica e di sinistra.

 

Come si inserisce questa proposta negli obiettivi più generali del Partito, di una democrazia avanzata e del socialismo?

 

I comunisti portoghesi hanno sempre legato i loro compiti immediati con i loro obiettivi programmatici, definendo con rigore in ogni momento storico la fase della rivoluzione, non hanno mai separato in modo schematico e dogmatico i compiti di una delle fasi da quelle seguenti. Così è accaduto nel programma di Rivoluzione Democratica e Nazionale e così avviene nell’attuale programma di una Democrazia Avanzata. Scrivono i nostri statuti, e cito, che “la lotta in difesa delle conquiste della rivoluzione di Aprile, per la concretizzazione dei suoi valori e per la democrazia avanzata, è parte costitutiva della lotta per il socialismo”.

 

Cioè, la lotta che conduciamo oggi contro il patto di aggressione, per una politica patriottica e di sinistra, per un Portogallo con futuro, si inserisce nel processo e nelle fasi da percorrere per raggiungere il nostro supremo obiettivo della costruzione del socialismo in Portogallo.

 

In che condizioni si potrebbe formare un governo capace di attuare una politica patriottica e di sinistra?

 

Se si domanda oggi se ciò sia possibile, tenendo conto degli attuali rapporti di forza e di accumulazione delle forze politiche e sociali, è ovvio che questa nostra proposta non è certo dietro l’angolo. Ma ripeto, il mondo non è immutabile e ciò che appare eterno e inamovibile può essere trasformato, tenendo conto del fatto che ci troviamo in un processo storico e vivo.

 

Noi siamo fiduciosi che tale prospettiva e questo cammino possano essere concretizzati. Ma è un processo, e non del gennaio 2012. E’ la dimostrazione che abbiamo un cammino da percorrere e che, direi anche, occorre costruire. Ma che costruiremo.

 

E’ possibile, in un regime capitalista, un governo che non sia un servitore, di fatto, degli interessi del capitalismo?

 

Non dobbiamo presupporre che un processo di trasformazione, un processo rivoluzionario, abbia successo solo nel quadro della costruzione del socialismo. Senza perdere di vista questo obiettivo, è posta la questione delle fasi. Non costruiamo una “Muraglia cinese” in relazione alla rivoluzione socialista, ma pensiamo che più difficile è costruire e percorrere questo cammino, e più facile è decidere che il libro che abbiamo scritto insieme troverà il suo paragrafo finale con il socialismo.

 

Per arrivarci, dobbiamo avere, e lo abbiamo scritto nel nostro Programma, questa prospettiva di costruzione, molto complessa e molto difficile.

 

Ci sono già state esperienze di governo cosiddette di sinistra, a cui partecipavano anche partiti comunisti, i cui risultati sono stati disastrosi…

 

Si, perché ovviamente questi governi, tradendo i loro proclami e principi, si sono arresi completamente al capitalismo. E’ elemento di valutazione storica il comportamento dei partiti socialisti e socialdemocratici, particolarmente in Europa, dove tutti hanno capitolato, trascinando in questo processo alcuni partiti comunisti che non sono riusciti a sottrarsi a questo percorso di conciliazione e collaborazionismo con gli obiettivi del capitalismo.

 

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Il rafforzamento dell’organizzazione e dell’intervento del Partito è sempre messo in primo piano, in parallelo all’intensificazione della lotta di massa, come condizione necessaria alla promozione delle profonde trasformazioni che si impongono. Perché è così importante nel tempo in cui viviamo un Partito Comunista forte, combattivo e influente?

 

Noi possiamo dire che nel corso della storia dei 90 anni del nostro Partito, esso è sempre stato indispensabile ai lavoratori e al popolo portoghese. Ma oggi, se si tiene conto dell’offensiva, delle posizioni e della natura dei partiti di destra e del comportamento del PS in questa stessa offensiva, i lavoratori e il popolo portoghese hanno bisogno più che mai di questo Partito, più forte e influente.

 

Possiamo affermare che nel corso dei 30 anni dell’offensiva di destra, i lavoratori hanno sperimentato bene cosa hanno perso. Ma per fortuna, non sapranno mai quello che non hanno perso, grazie alle lotte del nostro Partito.

 

Essendo il PCP una forza insostituibile nella lotta e nella proposta, noi pensiamo che sia molto importante il suo rafforzamento. Non solo nel senso di ottenere un deputato o un municipio in più, ma di avere un Partito all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte.

 

(…)