L’implosione programmata del sistema europeo

di Samir Amin | Traduzione di Andrea Catone per MarxVentuno

corda spezzaLa parte finale dell’articolo che comparirà integralmente su MarxVentuno Rivista Comunista in corso di pubblicazione

(..) Ecco dove porta l’incaponirsi nella difesa di questo progetto europeo contro venti e maree: alla sua distruzione.

C’è un’alternativa meno desolante? Si va verso una nuova ondata di trasformazioni sociali progressiste!

Certamente sì, perché le alternative (al plurale) esistono sempre in linea di principio. Ma le condizioni perché questa o quella delle alternative possibili divenga realtà devono essere precisate. Non è possibile tornare a uno stadio precedente lo sviluppo del capitale, ad uno stadio precedente la centralizzazione del suo controllo. Possiamo solo andare avanti, cioè, a partire dalla fase attuale di centralizzazione del controllo del capitale, capire che è venuto il tempo dell’”l’espropriazione degli espropriatori”.

Non vi è altra prospettiva praticabile possibile. Detto ciò, la proposta in questione non preclude lo svolgimento di lotte che, per tappe, vanno nella sua direzione. Invece prevede l’individuazione di obiettivi strategici di fase e l’attuazione di tattiche efficaci. Esimersi dal preoccuparsi di strategie di fase e di tattica d’azione significa condannarsi a proclamare alcuni slogan facili (“Abbasso il capitalismo”) senza effetto.

In questo spirito, e per quanto riguarda l’Europa, un primo passo efficace, che d’altronde forse si delinea, parte dal mettere in discussione le cosiddette politiche di austerità, associate all’ascesa delle pratiche autoritarie antidemocratiche che esse richiedono. L’obiettivo della ripresa economica, nonostante l’ambiguità del termine (quali attività promuovere? Con quali mezzi?), è strettamente legato con questo.

Ma si deve sapere che questo primo passo cozzerà contro l’attuale sistema di gestione dell’euro da parte della BCE. Quindi, non vedo come sia possibile evitare di “uscire dall’euro” attraverso il ripristino della sovranità monetaria degli stati europei. Allora, e solo allora, potranno aprirsi spazi di movimento, imponendo la negoziazione tra i partner europei e, quindi, la revisione delle norme che disciplinano le istituzioni europee. Allora, e solo allora, si potrà intervenire avviando la socializzazione dei monopoli. Penso, ad esempio, alla separazione delle funzioni bancarie, persino alla nazionalizzazione definitiva delle banche in difficoltà, all’alleggerimento della tutela che i monopoli esercitano sugli agricoltori, le piccole e medie imprese, all’adozione di norme di tassazione fortemente progressiva, al trasferimento ai lavoratori e alle comunità locali della proprietà delle imprese che scelgono la delocalizzazione, alla diversificazione dei partner commerciali, finanziari e industriali attraverso l’apertura di negoziati, in particolare con i paesi emergenti del Sud, ecc. Tutte queste misure richiedono l’affermazione della sovranità economica nazionale e, pertanto, la disobbedienza alle regole europee che non le consentirebbero. Perché mi sembra evidente che le condizioni politiche che consentono questi progressi non saranno mai raggiunte contemporaneamente in tutta l’Unione europea. Questo miracolo non accadrà. Occorrerà quindi accettare di cominciare lì dove è possibile, in uno o più paesi. Rimango convinto che il processo avviato non tarderebbe a divenire valanga.

A queste proposte (la cui formulazione, almeno in parte, è stata abbozzata dal Presidente F. Hollande) le forze politiche al servizio dei monopoli generalizzati contrappongono già altre proposte che ne annientano la portata: il “rilancio attraverso la ricerca di una migliore competitività degli uni e degli altri nel rispetto della trasparenza della concorrenza”. Questo discorso non è solo quello della Merkel, è anche quello dei suoi avversari socialdemocratici, quello di Draghi, presidente della BCE. Ma si deve sapere – e dire – che “la concorrenza trasparente” non esiste. È quella – opaca per natura – dei monopoli in conflitto mercantile. Non si tratta dunque che di una retorica bugiarda che bisogna denunciare come tale. Tentare di svilupparne la gestione, dopo averne accettato il principio – offrendo norme di “regolazione” – non porta a nulla di efficace. Significa chiedere ai monopoli generalizzati – i beneficiari del sistema che essi dominano – di agire contro i loro interessi. Troveranno il modo di annientare le norme di regolazione che si vorrebbero imporre loro.

Le decisioni prese a settembre 2012 per uscire dalla crisi dell’euro (Fondo di solidarietà europeo, emissione di eurobond, riacquisto del debito degli stati da parte della BCE), non solo vengono troppo tardi e non sono – in volume – all’altezza di ciò di cui c’è bisogno, ma si iscrivono ancora sempre nella strategia dell’austerità che ne annulla automaticamente gli eventuali effetti benefici, perché l’austerità produce la crescita inesorabile del debito e non la sua riduzione; credere altrimenti è pura sciocchezza. Concepita per rimanere nel sistema della finanziarizzazione, cioè della sottomissione alle “aspettative” dei monopoli generalizzati finanziarizzati, questa politica è destinata in linea di principio a lasciare il campo aperto alla spirale discendente dell’implosione.

Inoltre, questa politica si basa per principio sulla negazione della sovranità degli stati, in questo caso degli stati europei, mentre non esistono e non esisteranno in un futuro visibile le condizioni per sostituire ad essa la sovranità dello stato Europa. Ora, negare la sovranità degli stati, significa puramente e semplicemente sostituire ad essa quella dei monopoli, e niente di meno di questo. E senza la sovranità nazionale non vi è più democrazia possibile, come è stato ampiamente dimostrato dal reiterato rifiuto della Unione europea di prendere in considerazione l’opinione della maggioranza, i risultati delle elezioni e dei referendum che dispiacciono al capitale dei monopoli.

Per questo il ripristino del rispetto della sovranità nazionale è un’esigenza per tutti i popoli in tutte le regioni del mondo. Senza questo rispetto, il diritto internazionale violato lascia il posto al “diritto” di intervento delle potenze imperialiste negli affari delle nazioni che rifiutano di cedere agli ordini del capitale monopolistico globalizzato. Senza il rispetto della sovranità, non vi è alcuna alternativa democratica e progressista possibile, né in Europa né altrove.

Il XX secolo non è stato solo il secolo delle guerre più violente che abbiamo conosciuto, prodotte in gran parte dal conflitto degli imperialismi (allora declinati al plurale). È stato anche il secolo di immensi movimenti rivoluzionari delle nazioni e dei popoli delle periferie del capitalismo del tempo. Queste rivoluzioni hanno trasformato a un ritmo accelerato la Russia, l’Asia, l’Africa e l’America Latina e grazie a ciò sono state il fattore più dinamico della trasformazione del mondo. Ma l’eco che esse hanno avuto nei centri del sistema imperialista è rimasto limitato a dir poco. Le forze reazionarie pro-imperialiste hanno mantenuto il controllo della gestione politica delle società in quella che è diventata la triade dell’imperialismo collettivo contemporaneo, consentendo loro in tal modo di continuare la loro politica di “containment » (“contenimento”), poi di “rolling back” (far indietreggiare) di questa prima ondata di lotte vittoriose per l’emancipazione della maggior parte dell’umanità. È questa mancanza di internazionalismo dei lavoratori e dei popoli che è all’origine del duplice dramma del XX secolo: il soffocamento delle avanzate avviate nelle periferie (le prime esperienze di orientamento socialista, il passaggio dalla liberazione antimperialista alla liberazione sociale), da un lato e, dall’altro, il riallineamento dei socialismi europei nel campo del capitalismo/imperialismo e la deriva della socialdemocrazia divenuta social-liberista.

Ma il trionfo del capitale – diventato capitale dei monopoli generalizzati – sarà stato solo di breve durata (1980-2010?). Le lotte democratiche e sociali ingaggiate per il mondo, come alcune delle politiche degli stati emergenti rimettono in discussione il sistema di dominio dei monopoli generalizzati e avviano una seconda ondata di trasformazione del mondo. Queste lotte e questi conflitti investono tutte le società del pianeta, al Nord come al Sud. Perché per mantenere il suo potere il capitalismo contemporaneo è costretto ad attaccare a un tempo gli stati, le nazioni e i lavoratori del Sud (supersfruttando la loro forza-lavoro, saccheggiando le loro risorse naturali) e i lavoratori del Nord, messi in concorrenza con quelli del Sud. Vi sono dunque le condizioni oggettive per la nascita di una convergenza internazionalista delle lotte. Ma tra l’esistenza di condizioni oggettive e l’utilizzazione di esse da parte degli agenti sociali soggetti della trasformazione, vi è ancora una distanza che non è colmata. Non è nostra intenzione affrontare questa questione con qualche bella frase ad effetto semplice e vuota. Un esame approfondito dei conflitti tra gli stati emergenti e l’imperialismo collettivo della triade e della loro articolazione con le rivendicazioni democratiche e sociali dei lavoratori dei paesi interessati, un esame approfondito delle rivolte in corso nei paesi del Sud, dei loro limiti e dei loro vari sviluppi possibili, un esame approfondito delle lotte dei popoli in Europa e negli Stati Uniti, costituiscono il presupposto ineludibile per ulteriori proficue discussioni riguardanti “i” futuri possibili.

L’inizio del superamento del difetto di internazionalismo è però ancora lungi dall’essere visibile. La seconda ondata di lotte per la trasformazione del mondo sarà quindi un “remake” della prima? Per quanto riguarda l’Europa, oggetto qui della nostra riflessione, la dimensione antimperialista delle lotte rimane assente dalla coscienza degli attori e delle strategie che essi sviluppano, quando ne hanno. 

Volevo concludere la mia riflessione sull’”L’Europa vista dall’esterno” con questa osservazione a mio parere di grande importanza.

Settembre 2012