Il ritorno di uno “stato forte” come soluzione alla crisi economica?

francia presidenzialidi Leon Caquant

da https://www.economie

Tradotto da Lorenzo Battisti (Dip. Internazionale Pci)

Il Dipartimento Esteri continua nella sua attività di traduzione per mettere a disposizione di militanti e simpatizzanti comunisti dei testi che permettano, anche in periodo di quarantena, di continuare nel lavoro ideologico, di analisi e di “azione”. Non dobbiamo lasciare che questo periodo di chiusura forzata (per chi non deve lavorare) si trasformi in un momento di passività, perché “la controparte” è più attiva che mai. 

In questo articolo, pubblicato sulla rivista economica del Partito Comunista Francese, si analizza e si smonta la nuova passione per l’intervento statale che sembra sbocciare tra i più grandi avversari dell’intervento pubblico (la destra) o tra chi a sinistra la propone senza troppe clausole (il Partito Socialista e l’ex socialista Mélenchon). Come sottolineano i compagni francesi, non basta richiedere l’intervento statale. Non solo perché spesso si trasforma in una socializzazione delle perdite (e dei debiti!) e nella successiva privatizzazione dei profitti. Ma soprattutto perché un’impresa statale (e in particolare le banche) che, sebbene di proprietà pubblica, continua a funzionare secondo criteri capitalistici non produce cambiamenti significativi in favore della classe lavoratrice. Per questo riteniamo che l’analisi fatta in questo articolo sia interessante e utile anche per il contesto italiano.

Emmanuel Macron, il presidente della deregolamentazione e del ridimensionamento del potere pubblico, sembra aver cambiato disco e promuove ora il ritorno al controllo dei mercati e dello Stato [1]. Le ragioni di carattere politico non sono certo estranee; dopo una crisi sanitaria e ora economica, la richiesta di protezione dei cittadini si rifletterà nella retorica di molti rappresentanti politici con un forte ritorno dello Stato come strategia di mobilitazione dell’industria e della nazione di fronte a una grande sfida. Questa conversione di facciata ai “benefici” dello Stato si estende oltre i ranghi della République en Marche (LREM). Un tale richiamo al ritorno dello Stato si può trovare in tutto lo spettro politico, da sinistra (il che non sorprende) a destra (e a volte è più inaspettato!).

“Aiuto, lo Stato deve intervenire! “Una panoramica delle varie posizioni.

I repubblicani [il partito di destra fondato da Sarkozy NdT] stanno così tornando alle antiche tradizioni golliste, e lo possiamo già ascoltare dalla bocca del repubblicano numero 3 che dichiara: “L’idea che il denaro sia l’unica scala di valore, e che lo Stato non abbia più alcun ruolo da svolgere. Abbiamo ucciso l’idea di stato. Abbiamo detto che era un problema, l’abbiamo spogliato e screditato” [2]. Sono commenti sorprendenti, soprattutto se si pensa alle posizioni del candidato molto liberale per le elezioni presidenziali del 2017, François Fillon.

Il Rassemblement national (RN) [il vecchio Front National di Marine Le Pen NdT], dal canto suo, assume l’idea di un nazionalismo che trascende le opposizioni di classe con uno Stato autoritario che si occuperebbe di alcune industrie e controllerebbe i suoi confini pur restando vago sulla concretezza delle sue proposte.

Si presenta in entrambi i casi come un ritorno ai mitici anni Settanta… mentre per alcuni è un arruolamento nazionale in una guerra economica a favore del capitale (capitale che non ha un granché di nazionale), per altri è un arruolamento federalista europeo, sempre in una guerra economica della stessa natura.

Anche per alcuni di sinistra si chiede il “ritorno dello Stato”. Così il Partito socialista, attraverso la voce del Segretatio Olivier Faure, chiede “di aprire le dighe della spesa pubblica per evitare la recessione” a un piano di rilancio e a un forte impulso fiscale (ma senza specificare se questo impulso fiscale sarà o meno soggetto a condizioni[3]). Quanto alla France Insoumise [il movimento di Mélenchon], chiede “la nazionalizzazione temporanea di qualsiasi impresa in difficoltà che agisca in un settore la cui produzione sia riconosciuta come essenziale in questo periodo”.

Questi diversi interventi sul ritorno di uno “stato forte”, tuttavia, sollevano diversi interrogativi:

– Quale sarebbe allora l’ambito di intervento di questo “stato forte”?

– A chi servirebbe?

– L’intervento dello Stato è di per sé progressivo e sufficiente a far progredire l’emancipazione dei lavoratori e a rispondere alla crisi?

– Quali sono le condizioni perché l’intervento dello Stato sia progressivo?

Macron et les capitalistes défendent-ils un « État fort » ?

Non facciamoci illusioni. L’idea di uno stato forte è sincera tra i neoliberali. La concezione profonda del neoliberalismo è che abbiamo bisogno di uno Stato forte… al servizio del capitale e per organizzare i mercati e imporre loro delle regole. Non fatevi illusioni. Il capitalismo monopolistico di Stato (“CMS”) è ben lungi dall’essere scomparso. Al contrario, la sua crisi si sta aggravando, raggiungendo un parossismo in cui i suoi aspetti progressisti si fanno sempre più sfumati, mentre lo Stato è più che mai mobilitato per il capitale. E non solo attraverso la polizia o il codice del lavoro, ma anche attraverso il denaro. Ad esempio, lo stanziamento di oltre 200 miliardi di aiuti agli utili aziendali, a cui la perpetuazione del CICE [il Credito di Imposta per la Competitività delle imprese, istituito ai tempi del presidente socialista Hollande NdT] ha aggiunto uno nuovo tassello.

Ricordiamoci che dopo ogni crisi economica, i dirigenti capitalisti hanno affermato nella loro retorica che i mercati finanziari devono essere regolamentati e che deve tornare il potere statale.

Nel 2008, Nicolas Sarkozy ha implorato la ricostruzione di un “capitalismo regolare e regolamentato in cui intere aree di attività finanziaria non siano lasciate alla sola discrezione degli operatori di mercato”.

Le promesse sono vincolanti solo per chi ci crede…

Si può poi notare che gli ipocriti che oggi chiedono solidarietà agli operatori sanitari sono gli stessi che ieri hanno votato per ridurre gradualmente la capacità d’azione dei servizi pubblici e della previdenza sociale riducendo gradualmente le loro entrate (abolizione dell’ISF [la patrimoniale NdT], l’aliquota forfettaria [flat tax], esenzioni multiple dai contributi previdenziali che permettono di finanziare gli ospedali).

In realtà, il ritorno dello stato che essi sostengono non sembra essere altro che un ritorno alla concezione più reazionaria del CMS .

Questo è evidente nella richiesta di donazioni per finanziare gli ospedali o la ricerca sui vaccini. È il capitale stesso, e i grandi patrimoni, che devono decidere cosa fare per la salute della popolazione. Vedono il potere pubblico come un attore che può rispondere alle esigenze sociali contemporanee… ma è il capitale che deve decidere direttamente. Dopo aver fatto a pezzi l’ospedale, fanno appello alla beneficenza per finanziare la salute piuttosto che aumentare il budget per i servizi pubblici. Questa è la loro concezione di uno “stato forte”… 

I sostenitori di uno “Stato forte” hanno una visione particolare della portata dell’azione dello Stato e del suo ruolo. Sarebbe infatti un errore pensare che un tale intervento sia semplicemente sovrano. Essi utilizzano lo Stato e il suo bilancio in ambito economico per servire una classe.

Uno “stato forte” al servizio del capitale.

La retorica dell'” union sacrée ” mira proprio a legittimare l’intervento economico dello Stato, presentato come un attore imparziale e che agisce sempre e per natura per l’interesse generale.

Distruzione del diritto del lavoro, lavoro gratuito, ferie forzate durante il confino, sussidi incondizionati alle imprese, il piano di ripresa di Macron è comunque una vera e propria politica di classe volta a far pagare ai lavoratori la crisi economica già in atto[4].

Sono previste anche nazionalizzazioni “temporanee” per saldare i debiti di alcune grandi imprese in difficoltà.

Non è la prima volta che lo Stato viene utilizzato per socializzare le perdite, senza mettere in discussione la logica del profitto, o per garantire una risposta minima all’interesse generale, quando non farlo minaccerebbe eccessivamente la sopravvivenza del sistema stesso.

Nel 2010, dopo il trasferimento allo Stato dei debiti[5] di banche e aziende, queste ultime hanno denunciato il ricorso al loro indebitamento per giustificare le politiche di austerità, cioè per ridurre la spesa pubblica, che è alla base dell’attuale carenza di personale sanitario, letti ospedalieri, maschere, ecc.

Dopo la crisi del 2020, senza dubbio Macron attuerà le stesse politiche di austerità; certamente, il settore sanitario sarà probabilmente risparmiato, ma l’istruzione e le politiche sociali hanno molto da temere.

Dal punto di vista del Rassemblement national, anche se le modalità sono diverse, lo Stato è visto come al servizio del capitale su scala nazionale. 

Quindi la questione non è tanto un ” ritorno dello stato”, quanto piuttosto quali politiche vengono messe in atto per quale azione statale e per quale scopo?

A sinistra, di fronte alla riduzione dei servizi pubblici, a volte ci accontentiamo di un mero, e incantatore, appello all’intervento dello Stato. Dobbiamo anche interrogarci sui suoi limiti e sulle condizioni per uscire da una crisi così profonda e fare un reale progresso verso l’emancipazione di tutte le persone e dei lavoratori.

L’intervento dello Stato non è di per sé un progresso sociale

Dopo la crisi del 2008, la politica monetaria espansiva non ha subordinato la creazione di moneta a criteri precisi. Di conseguenza, le grandi quantità di denaro create hanno alimentato la crescita finanziaria: speculazioni di borsa, delocalizzazioni, acquisizioni speculative di società esistenti.

Analogamente, le nazionalizzazioni di alcuni settori possono avere dei limiti. Come accennato nell’articolo di Denis Durand, nazionalizzare per aiutare a combattere il capitale, non per salvarlo! lo Stato può gestire una società nazionalizzata secondo la stessa logica di una società privata. La nazionalizzazione può anche essere un modo per i capitalisti di socializzare le perdite, in altre parole per far pagare ai contribuenti i rischi che corrono.

Una politica di bilancio che sovvenziona le imprese in difficoltà senza mettere in discussione la logica del profitto che regola le nostre economie non è in alcun modo trasgressiva. L’intervento dello Stato deve essere uno dei mezzi per cambiare il funzionamento del sistema economico.

In generale, non possiamo ridurre il dibattito economico a una coppia Stato contro mercato, dove le uniche domande sarebbero: “Quale attività dovrebbe essere svolta dallo Stato? Quale attività dovrebbe essere svolta dal mercato? ».

Non dobbiamo dimenticare gli attori principali, che sono le aziende e le banche, che esercitano concretamente il potere del capitale sui dipendenti facendo scelte riguardanti la produzione (quali investimenti saranno finanziati, quali saranno gli aumenti salariali, ecc.) L’intervento dello Stato da solo non sarà sufficiente a mettere in discussione la logica del profitto. Sono i lavoratori e i cittadini che devono avere il potere di fare scelte democratiche sulla produzione facendo leva su nuovi poteri nelle imprese, nei territori, da nuove istituzioni.

Non possiamo fare economie di riflessione sugli spazi in cui il potere viene esercitato al di fuori dello stato. E’ proprio questo che comincia ad essere richiesto con urgenza dai 100.000 firmatari della petizione “Miliardi per gli ospedali e non miliardi per il capitale”, che chiedono la creazione di commissioni dipartimentali e regionali per la “democrazia sanitaria nei territori”, che agiscano sui servizi pubblici e sull’uso del denaro delle imprese.

La lotta alla crisi economica deve poggiare su un potere dei lavoratori sostenuto dallo Stato con obiettivi chiari:

Una politica veramente progressista implica certamente un ritorno dello Stato, ma non purchessia, e non soltanto. In particolare, il potere economico sulla produzione deve essere esercitato dai lavoratori in nuove istituzioni. Se questo ritorno dello Stato non fa parte di una politica più ampia, lo Stato può benissimo essere uno strumento nelle mani del capitale contro i lavoratori. Lo Stato deve sostenere :

– Nuovi poteri sulle imprese, e nell’immediato:

– il divieto di attività non essenziali durante il contenimento

– la mobilitazione o addirittura la requisizione di industrie chiave per la salute

– Uno sviluppo del budget per i servizi pubblici, in particolare nel settore sanitario (vedi le nostre proposte specifiche in altri articoli).

– Nazionalizzazioni di settori strategici abbinate al potere dei lavoratori di implementare nuovi criteri di gestione di efficienza sociale ed ecologica, in alternativa a quelli di redditività finanziaria.

Le nazionalizzazioni non devono essere temporanee, la funzione dello Stato non può essere che quella di cancellare i debiti e riconsegnare le chiavi nelle mani dei capitalisti una volta ripristinata la redditività.

Le società nazionalizzate non devono essere gestite a scopo di lucro. Devono essere messi in atto nuovi criteri di gestione volti a soddisfare le esigenze sociali ed ecologiche. Devono valorizzare l’efficienza del capitale impiegato, cioè la produzione si realizza risparmiando il più possibile capitale, le risorse naturali e la manodopera necessaria per liberarli per altri usi.

– Aiuti alle imprese in difficoltà, in particolare alle PMI, subordinati ad una diversa politica dell’occupazione, della produzione e degli investimenti, a partire, durante la crisi, dal divieto di licenziamenti e di pagamento di dividendi.

Contro la folle logica di Bruno Lemaire [Ministro dell’economia NdT] distribuire sussidi alle imprese senza condizioni, come denunciato da Frédéric Boccara ne L’Humanité, gli aiuti alle imprese devono essere condizionati: il divieto di licenziamenti durante la crisi sanitaria, il divieto di pagare dividendi e, a lungo termine, l’attuazione di questi nuovi criteri di gestione di cui parlavamo per le imprese nazionalizzate.

– La mobilitazione delle banche per una selettività completamente diversa da quella del profitto e della salvaguardia del valore del capitale: una bonifica selettiva per i prestiti per gli investimenti che sviluppano l’occupazione e la creazione efficiente di ricchezza ecologica.

– Una BCE che abbassa i tassi … non per un qualsiasi tipo di prestito, ma per chi sviluppa servizi pubblici o per chi sviluppa crediti per investimenti efficienti e creatori di posti di lavoro; e che rende dissuasivi i prestiti per la speculazione o la delocalizzazione.

Insomma, una democrazia completamente diversa, piuttosto che uno Stato forte per il capitale.

Note

[1] Cf. Discorso di Emmanuel Macron del 12 Marzo 2020

[2] Cf. Albertini D. (2020), « Planification, « révolution des salaires » : les idées-choc du numéro 3 de LR » Libération, 30 Marzo 2020.

[3] Faure O. et Furbury P.-A. (2020), « Olivier Faure : « Il faut un plan de relance massif qui donne la priorité aux premiers de tranchées » », Les Échos, 1 Aprile 2020 .

[4] Macron au secours du capital , articolo in linea sul blog di économie et politique

[5] I subprimes