Sulle elezioni in Gran Bretagna e sulla sconfitta dei laburisti

corbyndi Mauro Gemma

C’è da scommettere che molti “soloni” dei nostri media attribuiranno la sconfitta dei laburisti britannici al loro leader Corbyn e al fatto di essere spostati “troppo a sinistra” con proposte di politica sociale che ribaltano con un certo coraggio gli attuali orientamenti delle altre socialdemocrazie europee.

C’è da scommettere che si alzerà il coro di quelli che rimpiangono un liberista e guerrafondaio come Blair, cercando di far dimenticare che gli “europeisti” liberal democratici, nemici della classe operaia esattamente come i conservatori, hanno ottenuto anch’essi un risultato molto deludente.


C’è da augurarsi che qualcuno (tra le poche voci controcorrente invitate nei salotti televisivi) ricordi che il quesito principale su cui si è giocato l’esito della campagna elettorale (e non solo nel Regno Unito) era “Brexit si o Brexiti no” e che il Partito Laburista ha pagato soprattutto per l’ambiguità mostrata sull’argomento chiave nella determinazione della vittoria e della sconfitta, in ragione delle pressioni esercitate su Corbyn (considerato da molti “euroscettico di sinistra”) da quella destra neoliberista blairiana così simile al nostro PD e ai suoi scissionisti di Italia Viva, ai Calenda e alle Bonino.

I britannici (che al referendum avevano votato per il Brexit, compresi moltissimi lavoratori laburisti), sono evidentemente rimasti sconcertati dall’ambiguità del Labour a riguardo e hanno, purtroppo, preferito votare per il mostro conservatore (pericoloso anche per la pace sul pianeta) diretto dall’attuale premier Boris Johnson, che sull’uscita dall’Unione Europea ha giocato tutte le sue carte.