Sovranità o barbarie, il ritorno della questione nazionale

fazi mitchell sovranitaobarbariePubblichiamo un recensione al libro di Fazi – Mitchell (edito da Meltemi) che verrà presentato a Bologna venerdì 14 dicembre presso il bar La Linea

(Thomas Fazi e William Mitchell)

di Marco Pondrelli

Il libro di Fazi – Mitchell andrebbe letto partendo dalle conclusioni, laddove si legge che le forze di destra oggi sono egemoni “perché […] in grado di tessere nuove narrazioni identitarie in cui la sovranità nazionale viene declinata in chiave etnica, razziale o religiosa”, la sinistra quindi deve sviluppare una nuova visione socioeconomica ed istituzionale della società se vuole tornare a vincere.

I mali della sinistra hanno radici profonde. Gli autori scardinano alcuni luoghi comuni che, anche fra la sinistra radicale, trovano grande eco. Per capire le difficoltà attuali bisogna partire dalla fine dei 30 gloriosi quando il patto keynesiano entrò in crisi. L’economia mista, centrale nella Costituzione Italiana, non era solo una concessione dei padroni al mondo del lavoro, era un sistema basato sul mercato interno e su un ruolo attivo dello Stato. Un sistema che diede all’Italia un importante sviluppo.

La fine di questo patto aprì la strada al neoliberismo. Questa rottura non avvenne con l’opposizione della sinistra (socialista e, in Italia, comunista) ma con la sua complicità. Nel libro è ricostruito il dibattito che attraversò il PCI, i socialisti francesi ed il Labour Party inglese. In tutti questi casi esisteva una posizione di sinistra che prefigurava un ruolo ancora più forte dello stato espandendo anche il suo ruolo come datore di lavoro. Se queste politiche non sono state attuate non è perché non vi erano alternative ma perché si scelse di fare altro.

In Italia la corrente neoliberale uscita sconfitta dalla costituente continuò la sua battaglia, il combinato disposto fra il divorzio Governo – Banca d’Italia ed ingresso nello Sme rappresentò la sconfitta di una idea di sovranità nazionale. È interessante notare come dopo la separazione fra Banca d’Italia e Governo il debito sia aumentato mentre è diminuito il deficit, l’Italia è diventata ‘virtuosa’ ma nonostante ciò il suo debito ha toccato il massimo. Perché? Semplicemente perché il problema dell’Italia non è il debito ma gli interessi sul debito che ci obbligano a chiedere sacrifici per ingrassare la grande finanza. Sono qui le radici della deindustrializzazione.

Questo regalo fatto alla grande finanza si completa con l’unione monetaria.

L’Europa ha unito in un’unica moneta economie differenti e se un tempo l’oscillazione delle monete poteva compensare costi differenti delle merci (frutto di economie diverse) oggi rimane solo la svalutazione salariale per mantenere competitive le economie. Avendo compresso il mercato interno i lavoratori si ritrovano, come nel 1914, schierati in difesa del loro Stato contro i lavoratori degli altri paesi europei, chi accusa i sovranisti di volere tornare alle pagine più buie della nostra storia non ha capito cos’è oggi l’Europa!

L’adesione dell’Italia all’Europa è stata presentata da una parte come come necessaria, ‘non siamo riusciti a fare le riforme ma ora le dobbiamo fare perché ce lo chiede l’Europa’, dall’altra come una deresponsabilizzazione, ‘non decido io ma l’Europa’. In realtà prima lo Sme poi l’Euro hanno impoverito il nostro paese rendendolo vulnerabile alle speculazioni internazionali (come possa esistere una sinistra che tifa spread rimane uno dei grandi misteri italiani) e quindi non più sovrano.

Come sempre dobbiamo chiederci: che fare? La sinistra italiana ed europea si sta dividendo: da una parte si sostiene che i costi di un’eventuale uscita dall’euro sarebbero maggiori di quello che paghiamo per rimanerci occorre riformare l’Europa, dall’altra, ed è l’opinione degli Autori, si pensa esattamente il contrario. Illuminanti a tal proposito le parole, riportate nel libro, di Luciano Gallino: “nessuna realistica modifica dell’euro sarà possibile, in quanto esso è stato progettato quale camicia di forza volta ad impedire ogni politica sociale progressista, e le camicie di forza, vista la funzione per cui sono state create, non accettano modifiche democratiche”.

L’euro nasce per attuare politiche deflative, pensare di poter trasformare questo complesso sistema in un avanzato strumento nelle mani dei lavoratori non è un progetto realistico. Il fallimento di Tsipras è stato dovuto all’aver chiesto voti per cambiare l’Europa, purtroppo il surplus tedesco non è nella disponibilità del governo greco.

Non basta però prefigurare un’uscita dall’euro e dall’Europa, va elaborato un progetto complessivo che intervenga sull’idea complessiva di società, sul ruolo dello stato, sull’organizzazione del lavoro e sull’idea di democrazia.

Assieme ad un progetto complessivo occorre il lavoro per organizzare un forte movimento di massa che non lasci alla destra la (falsa) bandiera della lotta all’Europa.