Lituania: tra integrazione e sciovinismo anti-polacco

vilnius manifestazionestudentidi Cristina Carpinelli

[In foto: Manifestazione a Vilnius di studenti e insegnanti delle scuole locali per protestare contro l’eliminazione del Polacco come lingua veicolare nelle scuole]

A differenza di Lettonia ed Estonia, in Lituania oltre l’80% della popolazione è autoctona, mentre il 5,8% è di etnia russa e il 6,6% di etnia polacca. La Lituania è il più ampio e il più popolato dei Paesi baltici, ed è il più omogeneo dal punto di vista etnico, linguistico e religioso. Tradizionalmente rurale e contadina, la Lituania non ha subito pesanti immigrazioni come è, invece, accaduto in Lettonia ed Estonia.

In Lituania, le minoranze russofone e polaccofone sono piuttosto esigue rispetto agli altri due Paesi baltici. Ecco perché questa Repubblica aveva da subito adottato – dopo l’indipendenza dall’Urss – una legge sulla cittadinanza meno improntata sulla “tutela etnica”. La legge all’art.10 concede automaticamente la cittadinanza a tutti i bambini nati in territorio lituano dopo la riconquista dell’indipendenza del Paese, i cui genitori sono privi di cittadinanza ma stabilmente residenti, e ciò a prescindere dalla loro origine etnica, dalla durata del periodo di residenza o dalla conoscenza della lingua lituana.

Tuttavia, vecchi rancori storici fanno sì che entrambe le minoranze russofone e polaccofone siano ancora discriminate ed emarginate. Ad esempio, la sindrome della “minaccia russa” ha indotto la Lituania ad annunciare, lo scorso 17 gennaio, di voler costruire una barriera (130 km.) che la separi da Kaliningrad (exclave russa). La motivazione ufficiale è quella di difendere il paese dal contrabbando. In realtà, lo scopo vero è di scoraggiare la Russia da nuove provocazioni nell’Europa orientale.

Gli abitanti di etnia polacca (vale a dire 230.000 persone, quasi tutte raccolte nel distretto di Vilnius) sono quelli più “odiati”. Dopo l’acquisizione dell’indipendenza, la Repubblica baltica aveva da subito reinnescato lo sciovinismo anti-polacco che già fu alimento dei conflitti interbaltici nei secoli andati. La ferita profonda, a causa della perdita di Vilnius e dei territori circostanti – annessi alla Polonia dal 1922 al 1939 e ritornati alla Lituania con il patto Molotov-Ribbentrop – aveva nel tempo sedimentato negli animi dei lituani delusione, ostilità e diffidenza verso i polacchi.

A rendere il conflitto interetnico più aspro fu la scelta della minoranza polacca, timorosa del rinascente nazionalismo lituano, di schierarsi nel 1990 contro la proclamazione dell’indipendenza della Lituania dall’Urss. Dopo l’agosto 1991, quando l’Urss riconobbe ufficialmente la piccola Repubblica baltica, la questione della minoranza polacca s’inasprì ulteriormente.

Nonostante siano trascorsi più di vent’anni di relazioni diplomatiche tra Polonia e Lituania, il patriottismo lituano è tuttora pervaso da un sentimento anti-polacco e dalla volontà di marginalizzare la minoranza polaccofona. Alcune recenti modifiche alle politiche sull’istruzione hanno limitato l’uso della lingua polacca nelle scuole lituane. È stata, inoltre, vietata la possibilità di scrivere e pronunciare ufficialmente i nomi in polacco. Infine, irrisolta, rimane la questione della restituzione ai polacchi delle proprietà confiscate ai tempi dell’occupazione sovietica. Nonostante la legge lituana del 1997 sulla riprivatizzazione, i polacchi residenti a Vilnius e nei dintorni della capitale si trovano a dover affrontare parecchi ostacoli per recuperare le terre espropriate. I dati catastali, antecedenti alla 2° guerra mondiale, registrati negli archivi polacchi, non sono riconosciuti e, di conseguenza, le proprietà sono assegnate solo ai legittimi proprietari lituani, mentre i polacchi sono sospesi in una sorta di limbo burocratico…..