Brexit e futuri scenari europei

brexit mongolfieradi Filippo Violi per Marx21.it

Terrore nel cuore di Londra. Attacco terroristico sul ponte di Westiminster. Tentativo di irruzione dentro la House of  Commons. Non fatevi ingannare dalla fabbrica mediatica del terrore. Lunedì il governo britannico ha annunciato che il 29 marzo prossimo verrà attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per dare ufficialmente vita alla Brexit. Di certo qualcuno non avrà mandato giù il fatto che il parlamento inglese, avendone facoltà,  non abbia posto il veto per l’uscita dall’Europa. E pensare che, dopo vacui tentativi, si è dovuto attendere la morte di De Gaulle, nel 1973, per far salire l’Inghilterra a bordo della nave europea.

Se a qualcuno fosse venuto in mente di pensare ai due eventi (attacco terroristico e Brexit) quali facce della stessa medaglia, sarebbe stato utile approfondire l’argomento già il giorno dopo, sbirciando gli andamenti di borsa nelle maggiore piazze finanziare europee. Una cosa “strana” sarebbe saltata subito fuori, in modo evidente: gli attacchi terroristici sull’ormai “modello europeo Isis-Daesh” non fanno più breccia nei mercati, almeno come succedeva una tempo. Si è potuto registrare una Londra quasi piatta, nessun crollo e nessun panic salling . A Milano l’indice Ftse Mib ha segnato +0,17% a 19.953 punti. Francoforte è salita dello 0,48% a 11.904,12 punti e Parigi e avanzata dello 0,15% a 4.996 punti.

Insomma sarebbe il caso di dire: i mercati sembrano aver già deciso da tempo quale direzione prendere e a quale dei due eventi dare maggior credito o ascolto. Certo a tenere la borsa irta ha contribuito pure l’assegnazione della BCE di 233,47 miliardi di euro miliardi di fondi alle banche accorte di liquidità, col secondo programma Ltro (Targeted long-term refinancing operations) il piano di finanziamento a lungo termine.

La partita del dopo Brexit che si sta giocando in questo momento sui tavoli della diplomazia europea risulta essere di estrema importanza. Si stanno mettendo in discussione gli assetti istituzionali, politici ed economici degli Stati, nonché gli scenari futuri dei paesi europei. Nulla sarà come prima, l’equilibrio europeo basato sui diktat tedeschi, con l’appoggio determinante  dai paesi del cosiddetto “D-Mark Block” (Olanda, Finlandia Austria e la stessa Gran Bretagna), già fortemente compromesso andrebbe definitivamente distrutto.  A nulla servirà più la dittatura dei trattati e l’annessione monetaria per  difendere i privilegi mercantilistici del libero scambio. Ora viene a mancare a loro un pilastro fondamentale. Non si tratta dell’uscita dall’UE di un qualsiasi paese, che si potrebbe anche accettare prima di tornare al consueto “business as usual”. Si tratta piuttosto dell’uscita della seconda economia europea. Le dimensioni dell’economia britannica sono pari a quelle dei 20 paesi più piccoli dell’UE messi insieme. E’ come se ad uscire fossero 20 paesi su 28 contemporaneamente. La Gran Bretagna è per la Germania il terzo mercato di esportazione.

Bisogna prendere atto che questo equilibrio faticosamente raggiunto con il Trattato di Lisbona ora non c’è più, perché il blocco dominante, con l’uscita della Gran Bretagna, scenderà al 25%, mentre i paesi del Mediterraneo saliranno al 42% della popolazione, molto più’ di quanto necessario per una minoranza di blocco in seno al Consiglio dei Ministri. Se a questo si aggiunge che Il baricentro degli scambi commerciali, dei traffici marittimi  e dell’economia mondiale si è spostato nel Mediterraneo, grazie all’ascesa predominante del gigante asiatico  a beneficiarne saranno proprio i paesi appartenenti al blocco sud europeo.

Non c’è da meravigliarsi se i candidati più’ promettenti alle presidenziali francesi, Emmanuel Macron e Jean Marie Le Pen abbiano già chiesto di far fronte alle minacce di Donald Trump con un nuovo protezionismo europeo. Tali richieste rispecchiano in toto la migliore tradizione della politica francese. La stessa Le Pen, nel programma economico del front nazional, parla addirittura esplicitamente di uscita dell’euro, di investimenti pubblici e di aumento dei salari. Il vero perdente della corsa alla creazione di barriere commerciali tra Francia e America sarà senza dubbio la Germania, perché il modello di sviluppo tedesco è basato esclusivamente, a svantaggio di altri,  sul commercio internazionale. La Brexit per la Germania sarà devastante, si calcola una perdita di un 3 percento del Pil. Una stima che si basa non solo sulla riduzione dei volumi di esportazione, ma anche su una competitività che inevitabilmente rallenterebbe, in particolare nell’ambito delle innovazioni. Gli esportatori tedeschi sarebbero i primi a perderci in modo significativo. Solo l’industria automobilistica segnerebbe un meno 2 miliardi di euro, mentre quella chimica e quella meccanica, rispettivamente 1 e 2 miliardi di euro.

Ecco perché i tedeschi stanno puntando a sfruttare il separatismo scozzese e i piani di riunificazione irlandesi per aumentare la pressione su Londra e quindi costringere il governo di Londra a fare concessioni – con un consiglio: se Londra si allontanasse davvero dall’UE perderebbe la Scozia. Per un certo periodo si è addirittura parlato di una ripetizione del referendum. In alternativa, si diceva, è necessario ottenere almeno una “soft Brexit” e non un “hard Brexit” secondo quanto auspicato dalla premier  Theresa May: “Nessuna parziale appartenenza alla Ue, nessuna associazione con la Ue, niente che ci lasci metà dentro, metà fuori. Non vogliamo adottare un modello già adottato da altri paesi”. Quindi la premier è stata troppo chiara fin da subito: niente modello Norvegia (fuori dalla Ue ma dentro il mercato comune), modello Svizzera (una forma di associazione al mercato comune) o modello Turchia (fuori dal mercato ma dentro l’unione tariffaria doganale)

L’attentato nel cuore politico di Londra quindi, avvenuto durante la seduta del Parlamento, in presenza del premier britannico e a un anno esatto dall’attentato a Bruxelles, va ricondotto nella cornice di un grande paese alle prese con un complicato processo di uscita dall’Unione Europea. E non è un caso che la notizia dell’attacco sul Westiminster Bridge è arrivata mentre il capo negoziatore della UE parlava della trattative per la Brexit. Forse pigiare sull’acceleratore si pensava potesse servire ad ottenere maggiore cooperazione in termini di sicurezza, di restrizioni  e permanenza anche dei cittadini europei che soggiornano per lavoro in paesi differenti dalla loro appartenenza d’origine, argomenti messi sull’ordine del giorno del vertice di Roma.

Sarebbe ora che a Bruxelles prendessero contezza del processo di trasformazione politico ed economico in atto nel mondo, iniziato con la Brexit e proseguito con l’elezione di Trump alla Casa Bianca. La Germania farebbe bene a sedersi intorno a un tavolo e iniziare a trattare la resa, in modo da evitare in futuro bruschi atterraggi di fortuna uscendone con le ossa rotte.  Anche perché  il suo modello imperialista, basato sul saccheggio dei beni pubblici e privati ai danni di altri paesi dell’eurozona, è ormai sul viale del tramonto e questo porterà alla naturale dissoluzione dell’Euro, sotto i colpi di una spinta protezionista ancorata sull’asse Trump-May. Bisogna che si lavori tatticamente per condurre la lotta politica in questa direzione, auspicandoci sempre una presa di coscienza rivoluzionaria delle masse proletarie.