Se il popolo “vota male”, è meglio che non voti più?

da contropiano.org

Il voto per la Brexit ha sorpreso tutti. Anche e soprattutto a “sinistra”, comprendendo in questa esausta categoria tanto gli ultrariformisti approdati felicemente al sottogoverno quanto la sinistra radicale (o ex) e addirittura l’”antagonismo”.

In qualsiasi schieramento, dal liberale al democratico, dal destrorso al “radicalissimo”, appunto, sono emerse con nettezza posizioni pro e contro – addirittura – il suffragio universale. Tutti hanno dovuto prendere atto, nell’analisi del voto, che a favore del remain si sono pronunciate le aree più benestanti, le fasce d’età più giovani (ammesso che sia possibile o attendibile un’estrapolazione per generazione, visto il sistema elettorale per collegio, che consente appunto solo di appurare come abbia votato un determinato territorio), quelli a più alta scolarizzazione (l’impressione è che si sia ricorso a qualche sondaggio post-voto, piuttosto che all’analisi dei flussi). Mentre hanno certamente votato leave le aree più colpite dalla crisi, dunque le fasce più povere, le generazioni più anziane (sarà vero? mah…), gli “illetterati”.

L’argomento che ha accomunato pensosi intellettuali solitari e affannati guerriglieri della tastiera è in sintesi questo: “poveri, ignoranti e anziani non dovrebbero poter votare, perché sono troppo facilmente manipolabili da chiunque, specie dai reazionari”. O perlomeno non dovrebbero votare in ogni occasione, soprattutto in quelle in cui occorre avere una qualche conoscenza approfondita del tema in discussione.

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