Sulle elezioni in Francia e in Andalusia

di Lorenzo Battisti e Franco Tomassoni

Front-National podemosLe elezioni dipartimentali francesi (corrispondenti alle nostre province) si sono svolte il 22 e il 29 Marzo in una situazione di grande incertezza: il governo Valls ha infatti avviato una riforma delle amministrazioni locali che prevede una restrizione tanto delle competenze quanto del finanziamento, fino alla possibilità di sopprimere gli stessi dipartimenti prima delle prossime elezioni. In sostanza non si sa ancora bene quale saranno i compiti, né se ci saranno i mezzi per perseguirli.

Il voto ha dato alcune indicazioni precise su quello che succede nella società francese, colpita dall’austerità come le altre dell’Europa del Sud e con una disoccupazione che cresce ogni mese ormai da anni.

Ancora una volta, l’astensione è stata enorme, oltre il 50%, ma inferiore a quello che si aspettavano i sondaggi. Sicuramente la confusione della riforma ha influito, ma è chiaro il messaggio dei francesi: nessuna scelta politica appare come determinante per cambiare la situazione attuale.

Il vero vincitore delle elezioni è l’Ump di Sarkozy, alleato con i centristi dell’Udi e dei Modem di Bayrou e con una miriade di liste locali. E’ difficile fare confronti con le elezioni precedenti poiché prima della riforma si rinnovava la metà del consiglio ogni 3 anni. Il centro destra ottiene 2400 consiglieri contro i 1300 dei partiti che sostengono l’attuale governo. Sarkozy, da poco tornato a capo di un partito lacerato e lui stesso sotto processo in diversi tribunali, è riuscito nella tattica che lo aveva portato al governo nel 2007 : radicalizzare i toni per svuotare l’elettorato del Fronte Nazionale. A questo ha aggiunto un’alleanza con i centristi, delusi da Hollande  e pronti a sostenere un futuro presidente alternativo.

Il Front National ottiene il risultato storico di entrare nei dipartimenti, da dove era sostanzialmente assente in precedenza. Il risultato però è molto inferiore alle previsioni: penalizzato da un sistema elettorale maggioritario a doppio turno, che favorisce la competizione bipolare al centro e penalizza le componenti più estreme dello schieramento politico, fa sì che, pur crescendo fino al 25% dei voti, il FN ottiene solo 62 eletti. E nonostante l’alta esposizione mediatica, non riesce a ottenere alcuna presidenza come invece si era proposto. La presenza sempre maggiore di candidati del FN a livello locale rende sempre più probabile la possibilità di future alleanze con la destra di Sarkozy, che già in tale occasione ha rifiutato al secondo turno le tradizionali “alleanze repubblicane” contro i candidati frontisti,pur senza convergere sui candidati del FN che al ballottaggio si opponevano ai candidati socialisti o della sinistra.

Il Partito Socialista è colpito da una vera frana, appena arrestata dalla paura del Fn agitata da diversi esponenti. Il dato che meglio descrive questo crollo è quello dei presidenti che passano dai 48 precedenti ai 26 attuali. In molti casi si è perso in maniera disastrosa in collegi che solo 3 anni fa avevano eletto con forti maggioranze gli attuali ministri o alti dirigenti del partito, con un segnale chiaro lanciato verso le politiche scelte a Parigi. Un crollo che con tutta probabilità regalerà moltissime regioni alla destra alle elezioni di dicembre. L’unico effetto positivo è che si rafforza sempre di più il gruppo di socialisti che si oppone alle politiche del governo Hollande-Valls e che i Verdi sembrano usciti definitivamente dall’orbita di governo per cercare alleanze a sinistra del Ps (come confermano diversi candidati comuni con il Pcf e il Fdg).

Il Front de Gauche ottiene tra il 6 e il 9% dei voti a livello nazionale (a seconda del metodo di calcolo) nonostante una legge ipermaggioritaria, restando quindi sulle percentuali che ha ottenuto dal 2012 a oggi (fatta eccezione per le presidenziali, dove raggiunse l’11%). In totale il Front De Gauche scende a 170 seggi (erano 234 prima) di cui 165 sono del Pcf (erano 220). I seggi ottenuti si concentrano principalmente nel Nord operaio (ora duramente colpito dalla crisi e tentato dal Fn) e nella ex-banlieue rouge attorno a Parigi. Per quanto riguarda i presidenti dei dipartimenti, il Pcf conferma quello del Val de Marne, ma perde il presidente dell’Allier, sottratto alla destra nel 2008. Nei duelli con il Front National i candidati comunisti ottengono ottimi risultati, mostrando quindi che non necessariamente l’uscita dalla crisi attuale è a destra. Il numero di seggi porta il Pcf ad essere il terzo partito di Francia, ma è innegabile un arretramento rispetto alle elezioni precedenti, così come riconosciuto dal suo segretario Pierre Laurent.

Il segnale peggiore di queste elezioni (insieme all’avanzata della destra) è la rottura di alcune dighe che finora avevano tenuto (seppur con diversa intensità). Mentre i socialisti hanno cercato di mascherare la propria disfatta chiamando al voto repubblicano antifascista, Sarkozy ha indicato che in caso di duello tra la sinistra e il Fn il suo partito si sarebbe astenuto. Questo è frutto delle spinte sempre più forti, soprattutto nella base dell’Ump, per aprire al Front National: nessuna alleanza, ma collaborazione contro la sinistra.

Questo risultato è frutto delle politiche sociali di un presidente del tutto subalterno alle compatibilità di sistema, che dopo essersi presentato come il candidato avversario della grande finanza, si è convertito il giorno dopo nel più ossequioso esecutore dei dettami Ue. Un presidente che ha risposto alla crisi del suo partito spostando ancora più a destra l’asse del governo, mettendo Valls (una sorta di Renzi francese) a capo del governo, confermando così tutte le politiche antisociali precedenti e aggiungendone di altre.

Sono ormai 3 anni che il governo si pone come obiettivo “per fine anno” di invertire la tendenza all’aumento della disoccupazione, ma tutto continua come prima, con migliaia di disoccupati in più ogni mese. Hollande ha cercato di fare come Mitterand: far crescere il Front National (a discapito dell’Ump) per poter attuare politiche antisociali senza perdere le elezioni. Il risultato è quello di aver resuscitato l’Ump (martoriato da 3 anni di congresso permanente e di lotta all’ultimo sangue tra le correnti), di aver rilanciato Sarkozy (nonostante la pessima esperienza come presidente) e soprattutto di aver portato il Fn dal 10 al 25%.

La disillusione nei confronti della socialdemocrazia favorisce, come sempre, la destra. E in questo caso l’estrema destra.

A sinistra, il Front de Gauche e il Pcf – probabilmente a causa di una linea di non rottura con l’euro e con l’Unione europea – si rivelano incapaci di raccogliere il grosso della protesta operaia e sociale, che anche in questo caso va ad ingrossare le file di un’estrema destra che invece spara a zero contro l’Ue.

Spagna

L’elevatissimo tasso di disoccupazione, i numerosi scandali di corruzione di funzionari del governo regionale (guidato dal PSOE, Partito Socialista), l’alto tasso demografico (la regione più popolosa della Spagna) e specialmente lo spettro e la collocazione delle forze politiche e dei partiti in campo, fanno sì che le elezioni andaluse che si sono svolte nella metà di marzo, abbiano avuto una forte valenza nazionale.

Queste elezioni hanno rappresentato il primo banco di prova per Podemos – che si è confrontato per la prima volta con una importante tornata elettorale di livello amministrativo –  su cui sono state riposte numerose aspettative, ma anche per il partito Ciudadanos, una sorta di variante più moderata di Podemos. Inoltre le elezioni andaluse hanno rappresentato il termometro per i due principali partiti spagnoli: PSOE e Partito Popolare (PP).

Le elezioni hanno avuto una affluenza prossima al 64%, maggiore alla passata tornata elettorale, 2012, in cui il tasso di partecipazione si era fermato al 60%.

Il partito che ha guadagnato maggiori consensi è il PSOE, che ottiene il 35.6% e 47 seggi, perdendo oltre centomila voti e quasi 5 punti percentuali rispetto alle scorse elezioni. Nonostante ciò rimane il primo partito regionale, ma paga duramente gli scandali per corruzione che hanno visto coinvolti numerosi suoi funzionari.

Il PP, partito che governa nazionalmente, perde mezzo milione di voti e passa dal 40% del 2012 al 26%, ottenendo 33 deputati contro il 50 della scorsa tornata.

Podemos ottiene un voto che sfiora il 15%, 600mila voti e 15 deputati. Queste elezioni avrebbero dovuto rappresentare la consacrazione di Podemos come partito nazionale, tuttavia, nonostante il buon risultato ottenuto, Podemos non sfonda e tradisce i sondaggi, molti dei quali lo davano sopra il 20%.

Izquierda Unida (IU) raccoglie il 6.9% e 5 deputati, perdendo terreno rispetto alle precedenti elezioni in cui aveva ottenuto oltre l’11% e 12 deputati. Un arretramento dovuto principalmente alla partecipazione di IU al governo regionale insieme al PSOE, che l’ha evidentemente penalizzata.

Sono necessarie alcune considerazioni. La prima è che le elezioni andaluse indicano un forte calo dei consensi verso i partiti storici del bipolarismo spagnolo, PP e PSOE. Il PSOE, nonostante gli scandali per corruzione in cui suoi membri sono stati coinvolti, vince anche se non ottiene i seggi sufficienti per formare un governo monocolore,  poiché è percepito come l’unica forza politica in grado di fermare il PP, che soffre un enorme calo di consensi dovuto alla politica di austerity promossa a livello nazionale. Possiamo sintetizzare questo aspetto dicendo che il voto degli andalusi è stato in parte un voto rifugio, verso il PSOE, ma senza entusiasmo.

Tuttavia è opportuno porsi la domanda: dove sono andati a finire i voti persi dal PSOE e dal PP?

La maggioranza di questi voti sono stati assorbiti da Podemos e da Ciudadanos. Questi due movimenti si disputano elettoralmente una grande fetta di consenso. Podemos, nata da poco tempo, utilizza una retorica di attacco forte a tutta la classe politica, parla apertamente di “casta” e di fine delle categorie di “destra” e di “sinistra”, tuttavia è innegabile che la maggioranza della sua base venga dalle file dell’ampio movimento che ha coinvolto la Spagna negli ultimi anni, marcato da temi che vengono dalla tradizione della sinistra. Ciudadanos, partito principalmente radicato in Catalogna, parla un linguaggio simile a quello di Podemos, ma dando connotati più populisti alla sua propaganda. Ciudadanos si è detta disponibile per la formazione di un governo regionale assieme ai socialisti, a patto che i deputati eletti nelle file del PSOE e accusati di corruzione si dimettano.

Izquierda Unida perde voti verso Podemos (e ciò viene valutato positivamente dai gruppi dominanti). Non solo voti, ma anche militanti, e il dibattito che oggi pervade IU è proprio incentrato sul rapporto con Podemos. Tuttavia come già sottolineato, la diminuzione del peso elettorale di IU in Andalusia – dove risiede la maggioranza della sua base sociale e dove questa forza politica può contare sul sostegno dei lavoratori tanto delle zone più rurali, quanto dei suburbi delle principali città come Malaga, Cordova e Siviglia – è dovuta alla sua presenza nel governo regionale, e dal fatto che questo governo non è stato in grado di risolvere i problemi sociali che affliggono gran parte della popolazione di questa regione che ha il tasso di disoccupazione più elevato della Spagna.

Molti immaginavano un crollo del PSOE simile a quello del PASOK in Grecia, ed una sua sostituzione con Podemos. Questo non è avvenuto data la storia politica differente di questi due paesi. Il PSOE non ha guidato, come ha fatto il PASOK, un governo di unità nazionale assieme ai partiti di centro destra, subalterno alla linea Ue dell’austerità. 

IU perde voti principalmente per la sua presenza nel governo andaluso. Questo dovrebbe innanzitutto richiamare alla nostra attenzione alcuni passaggi chiave della storia degli ultimi 20 anni della sinistra italiana, e dovrebbe farci riflettere sull’opportunità di alleanze di governo di questo genere, che non generano effettivo cambiamento. Anche a livello regionale, quando si ha una situazione disastrata come quella andalusa, i partiti e le organizzazioni che rappresentano gli interessi dei lavoratori non possono compromettersi in governi che non hanno la capacità, ne l’autonomia di gestione di bilancio, per risolvere questi problemi.

La chiarezza rispetto a queste scelte, la necessità di rappresentare una forza di trasformazione e di alternativa, dovrebbero far riflettere sia la sinistra andalusa che quella degli altri paesi europei, Italia inclusa.

Ciò che entrambe queste due elezioni confermano è che la situazione sociale è talmente pesante, e lo scontro tra le classi e il malcontento popolare così forti, che il sistema capitalistico – cosciente del progressivo rigetto popolare della propria linea, sia nella variante socialdemocratica che in quella più apertamente conservatrice – tenta di trovare le forme più diverse affinché non si affermino reali alternative di sistema, per evitare cioè che la protesta sociale si indirizzi verso i comunisti e le forze più coerentemente anticapitalistiche e antimperialiste: per cercare cioè di incanalare tale protesta su binari il più possibile inoffensivi per la tenuta del sistema. 

Tale obbiettivo diversivo viene perseguito in vari modi: sia attraverso l’apertura del terreno all’estrema destra, sia favorendo forze che conducono campagne qualunquiste e “anti-politiche”, sia attraverso la promozione di forze che, presentate come “nuove” e di “unità popolare”, finiscono a volte per affermarsi – anche al di là delle intenzioni di molti loro militanti e seguaci – come spazi e luoghi luoghi di ristrutturazione di una nuova forma  di socialdemocrazia e di riformismo. Così come in passato lo sono state una serie di tendenze del movimento no-global, un po’ alla volta riassorbite nell’alveo del sistema. 

La risposta a questa complessa lotta per l’egemonia sulla protesta sociale e popolare può essere una sola: affermare chiaramente la necessità di una linea di rottura col sistema capitalistico e imperialistico, evidenziare con intelligenza e senza alcun settarismo le manovre diversive di integrazione che si stanno moltiplicando, intensificare la lotta ideologica e costruire l’unità in seno al popolo affermando in seno ad esso l’esigenza di trasformazioni di tipo socialista.