Una contraddizione nell’approccio predominante in Syriza

di Stathis Kouvélakis, da A l’encontre, traduzione di Titti Pierini

Pubblichiamo come contributo alla discussione sugli sviluppi in Grecia

Leggere qui il testo di Sandro Mezzadra ed Etienne Balibar, apparso su Libération e il Manifesto, con cui Kouvelakis polemizza

Ultimamente, sul versante di quanti/e si rifiutano di guardare in faccia la realtà e prendere atto dell’arretramento cui è stata costretta Syriza, nonché delle possibili conseguenze, circolano due sofismi, o per meglio dire due sofismi e mezzo. E dico appunto «costretta», perché stretta entro una strategia erronea; non parlo di «tradimento» o «rinnegamento», che sono termini moralistici e ben poco utili per capire i processi politici.

Primo sofisma -Syriza non aveva «alcun mandato di uscire dall’euro». Se avesse avuto una posizione del genere non avrebbe vinto le elezioni. Formulato così, si tratta di un ragionamento assurdo. Vero, non aveva «il mandato di uscire dall’euro», ma non aveva di certo il mandato di abbandonare la sostanza del suo programma pur di rimanere nell’euro!

Né vi è alcun dubbio che, se si fosse presentata agli elettori dicendo: «ecco il mio programma, ma se vediamo che è impossibile mantenerlo all’interno dell’euro, scordiamocelo», non avrebbe avuto il minimo successo elettorale. E per ovvie ragioni: rimanere nell’euro a ogni costo è esattamente l’argomento base dei partiti pro-Memorandum, che hanno governato la Grecia in tutti questi anni. E Syriza, pur non avendo mai chiarito la sua posizione sull’euro, aveva sempre respinto la logica dell’«euro a ogni costo». Contrariamente a quel che pensa la maggior parte dei commentatori, ricordiamo che i testi programmatici di Syriza non escludono né l’uscita dall’euro come conseguenza imposta dal rifiuto degli Europei, né l’interruzione del pagamento del debito, anche se è vero che negli ultimi tempi questi testi erano rimasti un po’ da parte.

Variante del primo sofisma – Syriza aveva un duplice mandato: rompere con l’austerità e restare nell’euro. Sembra più razionale del precedente, ma ha pur sempre a che vedere col sofisma. Si ragiona infatti come se i due termini del mandato avessero lo stesso peso e che sia dunque politicamente legittimo, se si deve scegliere (e si deve scegliere, il problema è tutto qui), sacrificare immancabilmente il primo termine (l’euro) a detrimento del secondo (la rottura con l’austerità). Il tutto, senza che sia tradito il mandato in questione! E perché mai non si potrebbe rovesciare il ragionamento dicendo: «poiché mi rendo conto che le due cose sono incompatibili, scelgo il primo risvolto, perché in fondo è per questo motivo che i greci hanno votato per un partito della sinistra radicale. Dare quindi la preferenza alla rottura e non alla «stabilità» all’interno del quadro esistente, il che – perlomeno si potrebbe pensare – parrebbe più conforme alla missione di un partito di sinistra radicale, che si richiama al «socialismo» come a suo «fine strategico» (anche se non è sicuramente sull’obbiettivo del socialismo che ha vinto le elezioni).

Terzo sofisma – È quello di Etienne Balibar e di Sandro Mezzadra (tribuna in Libération e il Manifesto, 23 febbraio 2015) i quali, da quanto è avvenuto, e dopo avere ironizzato sulla «sinistra di Syriza» che parlerebbe di «rinnegamento» (naturalmente nessuno è mai ricorso a questi termini nella sinistra di Syriza, ma lasciamo perdere…), ricavano la conclusione che questo dimostra «che una politica di libertà e di uguaglianza non si costruirà in Europa sulla base della sola affermazione della sovranità nazionale». Secondo loro, l’essenziale sarebbe aver guadagnato tempo, certo al prezzo di concessioni (con il richiamo obbligato a Lenin per garantire la radicalità dell’intento), e per consentire altre vittorie politiche (menzionano la Spagna) e il dispiegarsi di mobilitazioni sul terreno dei movimenti sociali, preferibilmente “transnazionali” (tipo Blockupy).

Anche qui, si naviga in pieno sofisma, di una pseudo-ingenuità sconcertante, ma dopotutto logica, da parte di ferventi sostenitori del «progetto europeo» (naturalmente in una «buona versione») quali sono i due autori. Ovviamente, infatti, i ritmi delle forze politiche e dei movimenti sociali cui essi si riferiscono non sono sincronici. Di qui all’estate, il governo Syriza si troverà di fronte a scadenze più che pressanti e non si capisce come il successo di una manifestazione a Francoforte o il possibile successo di Podemos alle elezioni politiche di novembre potrebbero mutare la situazione a suo favore di qui ad allora. Lo scarto tra ritmi temporali è una delle modalità in cui si presenta ai protagonisti della lotta politica il carattere strategico del livello nazionale: costituisce il terreno in cui si condensa in modo decisivo il rapporto di forza tra le classi.

Ciò che Balibar e Mezzadra sottovalutano, tra l’altro in modo grave, è l’effetto di smobilitazione che non mancherà di avere, a livello interno greco e a quello europeo, la percezione (che alla fine s’imporrà, malgrado la pubblicità che cercano di organizzare i sostenitori del governo greco con vista corta) di una Grecia e di un governo Syriza costretti a piegare la schiena di fronte ai diktat austeritari dell’UE. Già in Grecia il clima di mobilitazione e di ritrovata fiducia delle prime settimane dopo le elezioni è ormai lontano. Attualmente, dominano smarrimento e una certa confusione. Naturalmente le mobilitazioni possono riprendere ma, da un lato, saranno questa volta rivolte contro le scelte governative e, dall’altro lato, non possono nascere «a comando».

Condizionare una scelta politica all’emergere di movimenti è più che azzardato. È un modo per dire che non la si terrà ferma, per l’assenza o l’insufficienza di questi. In realtà, si tratta di muoversi all’inverso. Si assume una scelta di rottura, ed è questo che stimola la mobilitazione, che ha – o acquisisce – la sua autonomia. Del resto, è esattamente quel che è avvenuto in Grecia nella fase di «scontro» tra il governo e l’UE, tra il 5 e il 20 febbraio, quando decine di migliaia di persone sono scese in piazza in modo largamente spontaneo e al di fuori degli inquadramenti di partito.

L’argomento del «tempo guadagnato», peraltro, è in questo caso piuttosto illusorio. Nei quattro mesi di presunto «respiro», Syriza sarà in realtà costretta a muoversi nel quadro attuale, quindi a consolidarlo mettendo in atto buona parte di quel che la Trojka (nel suo nuovo look di «Istituzioni») esige e «rinviando» l’applicazione delle misure del suo programma, cosa che appunto le avrebbero consentito di «fare la differenza» e cementare l’alleanza sociale che l’ha portata al potere. Questo «guadagno di tempo» rischia infatti parecchio di rivelarsi «tempo perso», che destabilizzerà la base di Syriza, consentendo al tempo stesso agli avversari (soprattutto all’estrema destra) di raccogliere le proprie forze e presentarsi come gli unici sostenitori di una «vera rottura con il sistema».

Facciamo ugualmente notare, nonostante il disgusto che ispira ogni riferimento nazionale a innamorati cotti dell’europeismo come Balibar e Mezzadra, che i successi politici cui loro stessi si riferiscono, quelli di Syriza o di Podemos, sono non solo vittorie nel quadro nazionale, che non mutano i rapporti di forza se non perché consentono a forze politiche di sinistra radicale di accedere alle leve di uno Stato nazionale, ma si sono anche costruiti (questi successi) per una parte determinante sulla rivendicazione della sovranità nazionale, in un senso democratico, popolare, non-nazionalista, e aperto ad altri. Il discorso «nazional-popolare» e i richiami al patriottismo abbondano, in maniera assunta perfettamente nei discorsi di Tsipras e di Iglesias, come abbondano le bandiere nazionali (greca o repubblicana nel caso della Spagna, per non dire di quelle delle nazionalità dello Stato spagnolo nel suo complesso) tra le folle e i movimenti «autonomi» (per riprendere il termine di Mezzadra e Balibar) che riempiono strade e piazze di questi paesi.

Più di ogni altro elemento, questo dimostra come il riferimento nazionale costituisca, soprattutto nei paesi dominati della periferia europea, un terreno di lotte che, in paesi come la Spagna o la Grecia, forze progressiste sono riuscite a egemonizzare, per farne uno dei più potenti motori del loro successo. È su questa base che può costruirsi un vero internazionalismo, non sulle vuote enunciazioni, completamente sganciate dalle realtà concrete della lotta politica, di un livello che si crede sia, di colpo e senza mediazioni, «europeo» o «transnazionale».

Un’ultima cosa, per concludere: vi è certo un elemento di verità nei primi due sofismi, quanto al «mandato» per l’uscita dall’euro, ed è che c’era effettivamente una contraddizione nell’approccio dominante di Syriza, che ora emerge alla luce del sole: l’idea di una rottura con l’austerità e con il fardello del debito nell’attuale quadro europeo ha subito uno scacco che non poteva essere più chiaro.

In un caso del genere, è vitale fare il discorso della sincerità e dell’onestà, cominciando ad ammettere che lo scacco c’è stato e che va quindi ridiscussa la strategia più adeguata per tener fermi i propri impegni e rimettere il paese in carreggiata, inviando al contempo un messaggio di lotta a tutti/e coloro – e sono tantissimi – che avevano puntato sulla «speranza greca» e che giustamente oggi non vogliono dichiararsi sconfitti.

Fonte: anticapitalista.org