Merkel padrona d’Europa

di Tommaso De Berlanga | da il Manifesto

 

Merkel EuropaR375Scontro sottotraccia con Barroso, che rivendica il ruolo di governo economico dell’Unione alla Commissione da lui guidata. Ma è Berlino ad avere «i dané» Accordo Ecofin per ricapitalizzare – con soldi pubblici, ancora una volta – gli istituti in difficoltà, a cominciare dalla franco-belga Dexia

 

Il giorno dopo il clamoroso downgrade dell’Italia da parte di Moody’s le borse festeggiano, compresa quella italiana (+4%). Ma non c’è nulla di folle, in questo. Se non il fatto che il problema chiave del mercato finanziario – la tenuta delle banche a un eventuale default greco e/o di qualche altro paese Piigs – è stato «risolto» esattamente come tre anni fa: saranno gli stati a farsi carico della ricapitalizzazione degli istituti in difficoltà, a cominciare dalla banca franco-belga Dexia, praticamente sull’orlo del baratro.
Il cambio di vento si era avuto a notte fonda, quando da una delle più lunghe riunioni delll’Ecofin – i ministri finanziari dell’Unione – era uscita la notizia che poi Olli Rehn, commissario Ue agli affari economici, ha dettagliato in un’intervista al Financial Times. Dal punto di vista strutturale, i problemi restano tutti: i mercati finanziari non riescono a camminare sulle proprie gambe, tendono a cadere a scadenze sempre più ravvicinate e solo «la garanzia pubblica» riesce a risollevarne per qualche tempo, o qualche giorno, l’umore.
Diventa dunque centrale capire chi, oggi, rappresenti il potere politico – decisionale in senso stretto – nel Vecchio Continente minato dalla crisi. Lo scontro sottotraccia, mimato anche ieri, tra la Commissione europea e la Germania, sta diventando palpabile. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha gettato tutto il peso della propria economia spiegando, dopo un incontro con Manuel Barroso (presidene della Commissione), le proprie priorità. Per quanto riguarda la necessità di ricapitalizzare le banche, «l’Efsf (il fondo di stabilità europeo che si è deciso di rafforzare, ndr) può intervenire solo come ultima istanza; prima devono provvedere le banche stesse, poi – se persistono le difficoltà – devono intervenire i governi nazionali». Solo se nemmeno questo sarà sufficiente, «allora si può pensare all’uso dell’Efsf».
A rafforzare la sua posizione era già arrivato il ministro delle finanze di berlino: «in caso di emergenza potremmo reintrodurre le leggi del 2008»; ovvero un fondo salva-banche (il Soffin) totalmente dedicato ai soli istituti tedeschi. Una scelta «nazionale» che sottrae quantomeno risorse al contributo teutonico per uno sforzo comune «europeo».
Un doppio secchio d’acqua gelata sulle speranze di «sanare» situazioni critiche con soldi tedeschi, in pratica. Ma anche questa disponibilità «di ultima istanza» è condizionata: «la modifica dei trattati non deve essere un tabù, se questo serve ad affrontare le sfide». La sfida è quella di trasformare il format che la «troika» (Ue, Bce, Fmi) sta sperimentando sulla Grecia in qualcosa di automatico, sancito con una revisione dei patti interstatuali, in direzione di una limitazione di sovranità in materia di politica economica.
Il buon Barroso ha fatto fatica a contenere tanto «interventismo», stemperando dove possibile («il Trattato va cambiato solo se questo che abbiamo si dimostrerà inadeguato»), ma rivendicando una difficile supremazia dell’organismo che presiede («la Commissione è il governo economico dell’Europa»). La realtà nuda e cruda è che comanda chi ha le risorse maggiori. E su questo dubbi non ce ne sono (né la Germania vuole seminarne). Solo sulla Tobin tax c’è unità di intenti, e sarà proposta a una riunione del G20.
Il rischio di queste tensioni è evidente: dare la fotografia di un’Europa divisa in tanti interessi nazionali, dunque incapace di affrontare «con uno sforzo coordinato» la tempesta dei debiti sovrani «declassati». Una eventuale rottura dell’unità monetaria sarebbe per la stessa Germania un disastro (anche se forse minore che per altri paesi). Uno studio pubblicato proprio ieri da Allianz calcola che in questo caso ci sarebbe una caduta del Pil nazionale del 3% e la scomparsa di almeno un milione di posti di lavoro.
In ogni caso, le banche europee verranno ricapitalizzate dagli stati; in primo luogo da quelli «di riferimento» territoriale. Ma quanto servirà? Rehn ha svicolato («non è il caso di speculare sull’ammontare necessario, la situazione cambia giorno per giorno»). Ma Morgan Stanley – banca d’affari Usa, a sua volta sospettata di poter diventare «la prossima Lehman» – ha fatto i suoi bravi conti: «almeno 140 miliardi di euro». E soltanto dal fondo Efsf che, come diceva Merkel, «interverrà solo in ultima istanza» e «dopo gli stati nazionali». Comunque sia, possiamo dimenticarci qualsiasi ritorno alla stabilità nei conti pubblici: ci attende un secondo round di «socializzazione delle perdite» a favore dei banchieri privati.
I quali hanno anche altri problemi a breve termine. La stessa Merkel, parlando della ferma volontà di mantenere «la Grecia nell’euro», ha spiegato che «occorre rivedere la partecipazione dei privati» al piano di salvataggio. Nell’accordo siglato il 21 luglio, si era convenuto di riconoscere loro un prezzo pari al 79% del valore nominale dei titoli greci. In teoria si trattava di una perdita secca del 21%. In pratica, per gli istituti che avevano scommesso sul salvataggio europeo – comprando quindi obbligazioni a prezzi stracciati (40-50%) – poteva anche esserci un guadagno mostruoso. Se passerà l’idea della Germania, invece, ci saranno guadagni minori o perdite più alte.
Per concludere il panorama, le banche stanno da settimane preferendo il deposito di liquidità presso la Bce. La quale offre un tasso di interesse annualizzato dello 0,75%. Molto meno di quell’1% che è oggi il tasso interbancario. Ma preferiscono «la sicurezza» di rivedere i propri soldi al rischio di prestarli… ad un’altra banca. Ieri è stata toccata la cifra record di 213 miliardi «privati» depositati presso l’istituto giodato da Trichet. Un livello mai toccato dal luglio 2010.
A questo punto sono in molti a scommettere che nella prossima riunione del board della Bce – l’ultima con il francese presidente, poi ci sarà l’insediamento di Mario Draghi – si deciderà un taglio dei tassi di interesse, attualmente all’1,5%. Del resto Francoforte – se vuole contribuire a una speranza di «crescita» dell’economia reale – non può più limitarsi solo all’acquisto di Btp italiani e Bonos spagnoli.