Come prima, più di prima… e in Europa ancor di più

di Vladimiro Giacché | da Pubblico dell’8 ottobre

dollars euro“I mercati finanziari si sono sviluppati al punto da diventare dei mostri che ora devono essere domati”. Non sono passati neppure 5 anni da quando Horst Köhler, l’allora presidente tedesco (e in precedenza direttore generale del Fondo Monetario Internazionale), pronunciò questa frase. Ma sembrano passati secoli: negli ultimi anni capro espiatorio della crisi sono diventati – soprattutto in Europa – gli “Stati spendaccioni”. E quando in Europa si parla della finanza e del suo potere, bene che vada si accenna alle grandi banche statunitensi, considerate come colossi senza eguali nel mondo. La verità è un po’ diversa. A fine 2010, le attività delle banche USA ammontavano a 8.600 miliardi di euro. Quelle delle banche dell’Unione Europea, a 42.900 miliardi di euro. Le attività delle banche Usa erano prossime al’80% del prodotto interno lordo statunitense, quelle delle banche europee erano pari al 350% del prodotto interno lordo dell’Unione Europea.

Se il potere delle grandi banche è un problema, questo problema è molto maggiore in Europa che negli Stati Uniti. Se il gigantismo finanziario pone dei rischi di stabilità economica, questi rischi sono molto più gravi per l’Unione Europea che per gli Stati Uniti. Se le attività “speculative” delle banche espongono a rischi che possono assumere carattere sistemico, oggi le banche europee sono più esposte a questi rischi di quelle con sede negli Stati Uniti. 

L’attenzione esclusiva e ossessiva di questi mesi ai problemi del deficit e del debito pubblico ci fa perdere di vista alcuni semplici dati di fatto: che il debito delle società private e delle banche e delle istituzioni finanziarie è ovunque in Europa più elevato del debito pubblico; e che gli effetti economicamente destabilizzanti di una crisi bancaria non hanno nulla da invidiare a un default sul debito sovrano. 

Ovviamente, però, l’ossessione nei confronti del debito pubblico non ha nulla di casuale. In questo modo si tenta di risolvere una crisi di carattere strutturale, che mette in gioco il modello di sviluppo degli ultimi decenni, attraverso una compressione delle prestazioni pubbliche e un ulteriore ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia. E anche di far dimenticare che in questi anni non è stato fatto assolutamente niente per regolare meglio le attività finanziarie. Sono così continuate le frodi da parte di cartelli di banche (si veda il caso del Libor), il mercato dei derivati non ha ricevuto alcuna regolamentazione, e le attività a rischio sono cresciute ancora. In una parola: dopo la grande paura del 2008, passata grazie a iniezioni di capitali pubblici che la Bank of England stimava a metà 2009 in 14.000 miliardi di dollari, è ripreso il “business as usual”. Con un problema in più: la prossima volta sarà molto più difficile convincere i cittadini europei della necessità di svuotare le casse dello Stato per salvare le grandi banche.

vlad.g.