Il capitalismo moderno è sostenibile?

di Kenneth Rogoff* | traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

 

*Professore di scienze economiche e politiche pubbliche presso la Harvard University, dall’agosto 2001 al settembre 2003 ha occupato l’incarico di consigliere economico e direttore del settore ricerche del Fondo Monetario Internazionale.

 

occupy wall_street-w350

www.project-syndicate.org

 

Cambridge, 2 dicembre 2011

 

La versione ultima di capitalismo del nostro tempo ha cinque punti deboli importanti.

 

Spesso mi viene chiesto se la recente crisi finanziaria globale possa segnare l’inizio della fine del capitalismo moderno. Si tratta di una domanda curiosa, in quanto sembra presumere che esista un sostituto valido in attesa dietro le quinte. La verità della questione è che, almeno per ora, le sole serie alternative al paradigma anglo-americano oggi dominante sono altre forme di capitalismo.

Il capitalismo dell’Europa continentale, che coniuga generose prestazioni nei settori sociali e sanitari con orari di lavoro moderati, lunghi periodi di ferie, pensionamento anticipato e prematuro, e distribuzione del reddito relativamente equa, sembrerebbe avere tutto per venire raccomandato – tranne la sostenibilità.

Il capitalismo darwiniano della Cina, con la sua feroce concorrenza tra imprese esportatrici, una debole rete di previdenze sociali, e l’intervento del governo in tutti i settori, viene ampiamente propagandato come l’erede inevitabile del capitalismo occidentale, anche se solo per le enormi dimensioni della Cina e il tasso di crescita costantemente fuori dell’ordinario. Eppure, il sistema economico della Cina è in continua evoluzione.

Infatti, è tutt’altro che chiaro fino a che punto le strutture politiche, economiche e finanziarie della Cina continueranno ad auto-rinnovarsi, e se la Cina finirà per trasformarsi in un nuovo esemplare di capitalismo. In ogni caso, la Cina è ancora gravata dalle solite vulnerabilità sociali, economiche e finanziarie insite in un paese a basso reddito in rapida crescita.

 

Capitalismo di transizione

 

Forse il vero punto è che, nell’ampio dipanarsi della storia, tutte le attuali forme di capitalismo sono, in ultima analisi, di transizione. Il capitalismo dell’era moderna ha avuto uno straordinario andamento a partire dalla “rivoluzione industriale” di due secoli fa, sollevando miliardi di miserabili persone dalla loro abietta povertà.

Il marxismo e il socialismo oppressivi hanno collezionato record di disastri al confronto. Comunque, dato che l’industrializzazione e il progresso tecnologico si sono diffusi in Asia (e ora in Africa), un giorno la lotta per la sopravvivenza non sarà più un imperativo primario, e i numerosi difetti del capitalismo contemporaneo potranno profilarsi in modo preoccupante.

In primo luogo, anche le economie capitaliste dominanti non sono riuscite efficacemente a stabilire il prezzo dei beni pubblici, come l’aria e l’acqua pulite. Il fallimento degli sforzi per concludere un nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici è sintomatico della paralisi.

Secondariamente, pur fra la grande ricchezza, il capitalismo ha prodotto straordinari livelli di disuguaglianze. Il crescente divario è in parte un semplice sottoprodotto dell’innovazione e dell’imprenditorialità. La gente non si lamenta per il successo di Steve Jobs; i suoi contributi sono evidenti. Ma questo non è sempre il caso: la grande ricchezza permette a gruppi e ad individui di acquistare potere e influenza politica, che a sua volta contribuiscono a generare ancora di più ricchezza. Solo alcuni paesi – la Svezia, ad esempio – sono stati in grado di dare un taglio a questo circolo vizioso senza provocare un impulso al collasso.

Un terzo problema è la fornitura e distribuzione di cure mediche, un mercato che non riesce a soddisfare alcuni dei requisiti di base necessari al meccanismo dei prezzi per produrre efficienza economica, a cominciare dalla difficoltà che i consumatori hanno nel farsi imporre una tassazione congrua alla qualità del trattamento loro ricevuto.

Il problema non può che peggiorare: quando le società diventano più ricche e gli individui più anziani, i costi sanitari in proporzione al reddito sicuramente sono destinati a salire, forse eccedendo del 30% del prodotto interno lordo in pochi decenni.
Nel settore della sanità, più che in qualsiasi altro mercato, molti paesi sono alle prese con il dilemma morale di come mantenere gli incentivi a produrre e consumare in modo efficiente senza produrre disparità, largamente inaccettabili, di accesso alle cure. È ironico che le moderne società capitalistiche si impegnino in campagne pubbliche per sollecitare le persone a essere più attente alla loro salute, mentre promuovono un ecosistema economico che seduce molti consumatori ad una dieta estremamente malsana. Secondo i Centri per il controllo delle malattie negli Stati Uniti, il 34% degli Statunitensi sono obesi.

Chiaramente, la crescita economica convenzionalmente misurata – il che comporta un maggiore consumo – non può essere fine a se stessa.

Quarto, i sistemi capitalistici di oggi sottovalutano enormemente il benessere e lo stato sociale delle generazioni future. Per la maggior parte dell’epoca storica, a partire dalla rivoluzione industriale, questo non ha avuto importanza, dato che i doni continui ricevuti dal progresso tecnologico hanno reso vincenti politiche miopi. In generale, ogni generazione si è trovata molto meglio di quella precedente. Ma, con la popolazione mondiale che va a superare i 7 miliardi di individui, e i sintomi dei limiti delle risorse che diventano sempre più evidenti, non è garantito che questo percorso possa essere mantenuto.

Le crisi finanziarie sono ovviamente un quinto problema, forse quello che ha provocato da qualche tempo le maggiori preoccupazioni. Nel mondo della finanza, la continua innovazione tecnologica non ha vistosamente ridotto i rischi, potrebbe addirittura averli ingranditi.

 

In linea di principio, nessuno dei problemi del capitalismo è insormontabile, e gli economisti hanno offerto una varietà di soluzioni, sempre basate sul mercato.

Un alto prezzo mondiale per il carbone potrebbe indurre le imprese e gli individui a internalizzare i costi delle loro attività inquinanti.

I sistemi fiscali possono essere progettati per fornire una dimensione maggiore nella redistribuzione del reddito senza necessariamente implicare distorsioni paralizzanti, riducendo al minimo le spese fiscali non trasparenti e conservando i tassi marginali bassi.
(Per tasso marginale si intende il rapporto al quale il consumatore è disposto a scambiare un bene con un altro, ad esempio quanto un cittadino è disposto a concedere del proprio reddito per ottenere un servizio sociale).

Il prezzo effettivo dell’assistenza sanitaria, compreso il prezzo dei tempi di attesa, potrebbe favorire un migliore equilibrio tra principio di eguaglianza ed efficienza.

Il sistema finanziario potrebbe essere meglio regolato, con una più rigorosa attenzione alle eccessive accumulazioni del debito.

Sarà il capitalismo una vittima del proprio successo nella produzione di una ricchezza così massiccia?

Per ora, il tema che si potrebbe assistere alla morte del capitalismo, tema che va tanto di moda, potrebbe avere una possibilità decisamente remota.

Tuttavia, dato che l’inquinamento, l’instabilità finanziaria, i problemi della sanità, e le disuguaglianze continuano a crescere, e visto che i sistemi politici rimangono paralizzati, il futuro del capitalismo potrebbe in pochi decenni non apparire tanto sicuro come sembra attualmente.

© Project Syndicate, 2011.