Il punto di Giacchè: “per la Grecia meglio uscire dall’euro”

di D.C. e L.M. | da www.articolotre.com

Giacchè-300x225L’economista ed editorialista del “Fatto” ci aiuta a comprendere i principali fenomeni economici del momento: “Non ci sono soluzioni semplici o indolori per Atene, ma finora i sacrifici dei lavoratori non sono serviti a nulla”.

Torna il consueto appuntamento con il “Punto di Giacchè”, a cui ogni settimana chiediamo un commento sui principali temi economici. Oggi parliamo di Grecia, Francia e spread.

Professor Giacchè, ultimamente si è tornati a parlare con insistenza della crisi economica ellenica, dopo l’avanzata delle forze anti-memorandum della troika alle elezioni. Lei pensa che, oggettivamente, possa esistere una via diversa per Atene per uscire dalla crisi che non sia quella della ricetta”lacrime e sangue”?

Allo stato attuale non ci sono soluzioni semplici o indolori. Il problema principale è però chi fa i sacrifici e a cosa servono. Sinora in Grecia li hanno fatti i lavoratori (non per caso il recupero dell’evasione fiscale, che in Grecia è elevatissima, è stato molto modesto) e, come è evidente, non sono serviti a niente.

Si è assistito a un impoverimento drammatico delle condizioni di vita delle persone e nessuno in Europa ha sentito la necessità di fare autocritica su quanto era stato imposto e sulle sue conseguenze. Al punto in cui siamo, è sempre più probabile l’uscita della Grecia dall’euro. C’è chi stima che comporterebbe un 20% di calo del Prodotto interno lordo e un’inflazione al 50% (lo ha fatto la banca francese BNP oggi): non si tratterebbe insomma di una passeggiata di salute. Per essere efficace, l’uscita dall’euro dovrebbe essere accompagnata da rigidi controlli sui movimenti di capitali, per impedire l’ulteriore svendita dei pezzi pregiati del Paese. Questo punto è stato messo bene in rilievo, in termini generali, da Brancaccio e Passarella nel loro recente libro “L’austerità è di destra”. Io sono d’accordo con loro. Così configurata, per la Grecia un’uscita dall’euro sarebbe probabilmente una soluzione migliore che proseguire nel massacro sociale rimanendo dentro la moneta unica.

Cosa ne pensa della vittoria di Hollande, pensa che possa in qualche modo cambiare gli equilibri dell’Unione Europea? Quali punti dal punto di vista economico pensa che la sinistra italiana potrebbe mutuare dal suo programma?

La vittoria di Hollande potrebbe incrinare l’asse Francia e Germania, che ha imposto di fatto a tutta l’Europa politiche di austerity insensate e controproducenti. Qualche segnale forse già si avverte (ad esempio una maggiore disponibilità del governo tedesco nei confronti delle richieste di aumenti salariali in Germania, che dovrebbe far crescere la domanda interna di consumi e quindi migliorare le esportazioni dei paesi partner). Ma è un po’ presto per dare giudizi definitivi. Quanto alla sinistra italiana, il punto centrale da recepire è l’opposizione al “fiscal compact” europeo, su cui peraltro mi sembra che Hollande stia già moderando i toni. Su questa opposizione si attesta con decisione la Federazione della Sinistra, che sabato manifesterà anche per questo. Questa posizione sembra sostanzialmente condivisa da SEL. Se però allarghiamo il discorso al PD, per ora questo non è affatto acquisito, se non da parte di singoli esponenti.

Facciamo un po di chiarezza: secondo lei qual è il criterio che viene utilizzato per “bocciare” o “promuovere” un Paese? può spiegarci meglio da cosa dipende il famoso Spread? E quanto secondo lei è ancorato alla realtà dei singoli Paesi?

I criteri adoperati dalle agenzie di rating sono molti e non del tutto uniformi da un’agenzia all’altra. In generale si può dire che quanto migliore è la solvibilità di un paese (ossia la sua capacità di ripagare il debito), tanto più elevata è la valutazione delle agenzie di rating. Lo spread è il differenziale tra quanto deve pagare ad esempio lo stato italiano in interessi sui propri titoli di Stato e quanto deve pagare lo Stato tedesco sui propri. Quanto più elevato è questo differenziale, tanto peggio stanno le cose per il paese interessato: maggiori probabilità di insolvenza e quindi maggiore costo del servizio del debito, ossia degli interessi. Ovviamente, soprattutto oltre un certo livello, può innescarsi un circolo vizioso: ossia la solvibilità di un paese può peggiorare precisamente perché gli interessi da pagare sono più alti (cosicché il debito aumenta inesorabilmente e va fuori controllo). Viceversa, la solvibilità di un paese può essere artificialmente migliorata perché i suoi titoli di Stato diventano un bene rifugio e quindi pagano interessi inferiori al tasso di inflazione: è quanto sta accadendo alla Germania, che attualmente paga per i propri titoli di Stato a 10 anni meno dell’1,6% (ossia molto meno del tasso di inflazione). L’ancoraggio dello spread all’effettiva realtà dei singoli paesi è piuttosto controverso: ad esempio in una ricerca recente di Natixis si sostiene che i rendimenti pagati sui titoli di Stato italiani siano troppo alti e quelli pagati sui titoli di Stato francesi siano troppo bassi. Ma queste non sono valutazioni che si possano fare in astratto: dipendono da quello che pensano coloro che vendono o comprano titoli sul mercato.