I compiti a casa degli Stati Uniti

di Mario Margiocco | da il Sole 24 Ore

dollarImage2L’Europa ha ricevuto numerosi favori dall’America e molti europei se li ricordano tutti. Qualcuno è stato anche ricambiato e un favore europeo, attuale, è particolarmente utile ai cugini americani, soprattutto in un anno elettorale: l’Europa sta oscurando la realtà dei conti pubblici americani, perché ha riempito e, anche sotto la cura Bce, riempie ancora come si vede in questi giorni la scena con i guai dei propri debiti sovrani. Potrebbero arrivare danni seri dall’Europa, per gli Stati Uniti, se ci fosse un vero crack bancario nel Vecchio continente, come del resto qui ne sono arrivati, di guai, e parecchi, da Wall Street, negli ultimi cinque anni.

Ma per ora dall’Europa arriva più che altro un alibi. Sul quale tuttavia gli amici americani, quanto a debito altrettanto malconci, non dovrebbero insistere troppo.

L’alibi funziona perché il dollaro regge meglio la sfida, rispetto a un euro adolescente, e con troppi padri, e meglio la reggono ora i titoli sovrani degli Stati Uniti. Ma non si può procedere troppo a lungo, come fanno gli Stati Uniti da tre anni, con spese pubbliche che superano cronicamente ormai di un terzo abbondante le entrate. In campagna elettorale la Casa Bianca non ne parla molto. America is back, l’America è tornata, ha detto Obama. Se ne parlerà, sicuramente, subito dopo. Se sarà possibile aspettare.

Nessuno mette in dubbio la capacità degli Stati Uniti, e le risorse, per trarsi d’impaccio. Se ci riesce, si spera, l’Italia, con una cura da cavallo, dieci volte di più possono farcela gli Stati Uniti. Ma insieme a tanti vantaggi, l’America ha uno svantaggio: non è preparata, come sentire collettivo, a misurare la portata di rischi di questa natura, dopo un secolo durante il quale l’America ha dettato legge ai mercati, e mai fino al 7 settembre 2008 (nazionalizzazione delle megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie), ha visto i mercati dettare legge all’America. Potrebbe ripetersi, ricorda la Fed di Ben Bernanke.

In tre anni e due mesi, dal gennaio 2009, il debito è aumentato causa crisi più di quanto abbia fatto in otto anni con Bush il giovane, che quanto a debito già veniva considerato un disastro.

Nel suo ultimo giorno da presidente, il 19 gennaio 2009, Bush junior lasciava al paese un debito (Total Public Debt) di 10.626 miliardi, circa il 70% del Pil, dopo averne aggiunto in otto anni 4.899, cioè un raddoppio. Al 15 marzo 2012, in soli tre anni e due mesi scarsi, Obama superava d’un balzo, causa crisi finanziaria ed economica, i 4.900 miliardi in più. Di questo passo prima di Pasqua verrebbero doppiati i 15.600 (15.589 al 27 marzo), il 105% sul Pil 2011. Mantenendo la velocità media di crescita registrata in un anno, i 16.300 verrebbero superati entro metà ottobre, al più tardi. Entro settembre, cioè entro la fine dell’anno fiscale 2012, dice il Bilancio (Omb).

Se è così, il tetto legale attuale, fissato a fine gennaio 2012 a 16.394 miliardi, dovrebbe essere toccato poco dopo la metà ottobre. Quindi prima del voto presidenziale del 6 novembre. Pro capite, e in dollari, il debito americano è di circa 50 mila e quello italiano di 40mila. Già due mesi fa lo stesso Ben Bernanke, colto di sorpresa dalla crisi del 2007-2008 e ormai più accorto, l’ha ricordato al Congresso: «La prospettiva di deficit insostenibili ha dei costi precisi – ha detto il presidente della Federal Reserve – compresa una maggiore possibilità di una improvvisa crisi del debito». Bernanke veniva redarguito aspramente per un «discorso greco» che equiparava gli Stati Uniti a un traballante paese mediterraneo. Ma l’ha detto.

I mercati si innervosiscono quando temono per le capacità future di un paese di servire il debito e di riportarlo, a tappe, a dimensioni più gestibili. È una prova che l’Europa sta cercando di dare. E fra pochi mesi saranno gli Stati Uniti a doverla affrontare.
 

In Europa, e in Italia, si è parlato molto, recentemente, dei risultati incoraggianti di occupazione, consumi e mercato immobiliare negli Stati Uniti. Sulla casa non c’è da sperare molto, per ora. Il consumatore ha fatto un balzo, ma tornando a indebitarsi in modo massiccio, con una crescita trimestrale del debito mai più ripetuta dal 2008 e quasi sfiorando a gennaio 2012 il record di 2.576 miliardi di crediti al consumo esistenti nell’agosto 2008. «Non è sano né sostenibile», commenta Daniel Alpert di Westwood Capital. Un tentativo irripetibile, per ora, di colmare con il credito il declino del reddito disponibile reale nel 2011, osserva Lacy Hunt della texana Hoisington Investment.
 

Se è così, l’America non è ancora tornata. Anche gli Stati Uniti devono fare i loro compiti a casa. Poi sapranno di nuovo stupirci, ed essere di esempio. Quando? Alpert ricorda che furono necessari otto anni di follie per raddoppiare e oltre il debito delle famiglie. La crisi dura ormai da cinque anni o quasi. La fine forse non è lontana. Ma anche tutto quanto si è abbattuto nel frattempo sul debito pubblico va rimesso sul cammino della sostenibilità, ampiamente perduto. Anche gli Stati Uniti sono ormai, come molti europei, vicini alla costellazione di Mike Campbell, il personaggio di Il sole sorgerà ancora di Ernest Hemingway che rispondeva così a chi gli chiedeva come si fosse trovato rovinato: «Gradualmente, prima. E poi, improvvisamente».