He Yafe – La Cina e la governance globale

he yafedi Marco Pondrelli

He Yafe è stato consigliere della Missione Permanente della Repubblica Popolare Cinese presso l’ONU, vicedirettore del Dipartimento di Controllo della Armi presso il Ministero degli Affari Esteri Cinese, Consigliere e inviato presso l’Ambasciata cinese negli Usa, è sicuramente un ottimo conoscitore della politica estera e può, meglio di tanti altri improvvisati opinionisti, guidarci nei cambiamenti mondiali che stiamo vivendo.

Il fallimento del mondo unipolare

Il suo ultimo libro ‘La Cina e la governance globale’ è un valido contributo per capire il passaggio fra il mondo unipolare occidentale ed un nuovo mondo guidato da una governance unificata est-ovest. Un mondo compartecipe di un ‘destino condiviso’.

Il sistema internazionale post ’89 si è rivelato fallimentare, l’idea che la caduta dell’URSS rappresentasse la fine della storia è sintomatica dell’impostazione che gli Stati Uniti hanno voluto dare alle sorti del globo. Per l’Autore il modello vincente era quello statunitense e neoliberista, ‘la globalizzazione guidata dall’Occidente è stata una globalizzazione dei grandi giocatori economici occidentali’ [pag. 96]. Questo ordine ha mostrato gigantesche storture che nel libro sono messe impietosamente in luce. Venuto meno il principio di non interferenza negli affari interni dei singoli paesi, la ‘Responsabilità a Proteggere’ (R2P) è stata usata dagli Usa e dall’Occidente in modo del tutto discrezionale, combattendo guerre mai autorizzate dalle Nazioni Unite. I risultati in termini di morti, torture, miseria e fame sono sotto gli occhi di tutti. Inoltre questo sistema si è reso responsabile di un aumento della diseguaglianza sia fra gli stati che all’interno degli stessi. 

Gli stessi Stati Uniti sono toccati dalla crescente diseguaglianza, l’Autore spiega così la vittoria di Trump. La Clinton era percepita come espressione della grande finanza, per questo larghe fasce di mondo operaio hanno creduto in Trump. Personalmente condivido l’analisi ma dissento dalla definizione di populismo rispetto a Trump. Il populismo negli Usa va riferito all’esperienza del People’s Party o Populist Party di fine Ottocento che era la reazione allo sviluppo industriale della seconda metà del secolo. Gli Usa erano passati da uno sviluppo cosiddetto per ‘gemmazione’, nel quale nascevano piccoli villaggi ognuno con le proprie figure rappresentative (sindaco, sceriffo, giudice, medico, ecc…) ad uno sviluppo verticale con la nascita di vere e proprie metropoli. Il populismo fu la reazione dalla vecchia classe dirigente locale, oggi non vi è nulla di tutto ciò ma piuttosto uno scontro fra una parte del capitalismo produttivo e la grande finanza internazionale. Definirei il trumpismo come una protesta che da posizioni di destra è riuscita ad intercettare voti operai, come sempre questi fenomeni dovrebbero interrogare la sinistra che però è troppo impegnata a criticare gli elettori per riflettere sui propri errori.

Le diseguaglianze riguardano anche il rapporto fra gli stati ed ovviamente i più colpiti non sono quelli occidentali. Strumenti come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale non solo si sono dimostrati incapaci di risolvere i problemi ma li hanno aggravati (pensiamo ai piani di riaggiustamento strutturale del FMI). L’Asia ha bisogno di 800 miliardi di dollari all’anno per la costruzione di infrastrutture ma l’Asian Development Bank e la BM ne assegnano solamente 20 [pag.104].

La Banca Mondiale non è, a differenza di quello che diceva qualche decennio fa una certa sinistra, un potere sovranazionale che non risponde a nessuno. La BM funziona per quote che vengono acquistate dai singoli stati e, per quanto i paesi in via di sviluppo abbiano accresciuto il loro peso, gli Usa possiedono il 15,85%, tenendo presente che le principali proposte devono avere almeno l’85% dei voti a favore, questo da a Washington il diritto di veto.

È un sistema ingiusto e anacronistico che la Cina si sta impegnando a modificare.

Un destino condiviso

Le caratteristiche del sistema internazionale oggi sono 4:

1) una forte disuguaglianza;

2) un’impetuosa crescita dei paesi in via di sviluppo (la cui quota di PIL mondiale è passata dal 23,6% del 2000 al 38,8% del 2016 [pag. 49]);

3) i valori neoliberisti occidentali non sono più accettati dal resto del mondo;

4) il sistema attuale ha dato, come detto, prova di inefficienza.

La crisi dell’Occidente e l’avanzata della Cina ha avuto una forte accelerazione nel 2008, la crisi, scoppiata negli Stati Uniti, ha precipitato il mondo nella recessione. La Cina è stato il primo paese a riprendersi iniettando nell’economia 4 trilioni di dollari [pag. 138]. Anche la Fed ha stampato trilioni di dollari ma questi soldi si sono fermati a Wall Street ed hanno ingrassato il capitale finanziario, Main Street non è stata raggiunta. La Cina oltre ad essersi prontamente ripresa dalla crisi è divenuta un fattore di stabilizzazione internazionale, il suo prestigio è cresciuto enormemente ed anche nella gestione della politica internazionale il suo ruolo non può più essere ignorato.

Il libro è stato scritto prima della crisi pandemica, la quale ha colpito duramente tutto il globo. Pechino si sta riprendendo e sta fattivamente aiutando il resto della comunità internazionale (Italia compresa). Personalmente ritengo che questa crisi non rappresenterà un cambiamento ma una forte accelerazione di tendenze già in atto. La forza della Cina è destinata a crescere. Come ha scritto Graham Allison in ‘Destinati alla guerra‘ (libro molto citato ma poco capito) ‘il ritorno a un ruolo di preminenza da parte di una civiltà con 5.000 anni di storia e con 1,4 miliardi di persone non è un problema da risolvere. È una condizione: una condizione cronica che dovrà essere gestita nell’arco di una generazione‘.

La domanda a cui nella seconda parte del libro l’Autore tenta di rispondere è: come sarà questo nuovo ordine mondiale e quale il ruolo della Cina. Il dibattito in Italia, ma in generale in tutto l’Occidente, è molto autoreferenziale è può essere così riassunto: il nostro è il migliore dei sistemi possibili, magari non perfetto ma preferibile a qualsiasi altro. La Cina ci risponde con la sua civiltà millenaria ed invita alla coesistenza prefigurando, con le parole del Presidente Xi Jinping, ‘una comunità umana con un destino condiviso basato sul principio di sviluppo comune’ [pag. 102]. Il socialismo con caratteristiche cinesi non è il modello che il mondo deve seguire ma indica la strada, non solo ai cinesi, per un mondo multipolare in cui alla competizioni sia sostituita la cooperazione (a partire dalla ricerca di un vaccino contro il Covid-19).

Per fare questo occorre democratizzare le relazioni internazionali, tema che molto spesso sollevava Domenico Losurdo. Tanti sono gli esempi che si potrebbero citare per denunciare i drammi prodotti nel mondo unipolare, pensiamo, ad esempio, alla guerra in Iraq costruita su false prove e della quale non conosciamo con precisione il numero delle vittime (probabilmente oltre 1 milione), perché Bush e Blair (in Italia idolo per alcuni che si definiscono di sinistra) non sono stati ancora processati per crimini contro l’umanità?

Se questo è l’obiettivo quali sono gli strumenti e le azioni che Pechino sta mettendo in campo per raggiungerlo? Il primo importante tassello è la nuova via della seta. Un progetto che toccherà 4,4 miliardi di persone (il 63% della popolazione mondiale) [pag. 92] e che porterà investimenti cinesi rilevantissimi, basti pensare che ‘nei prossimi cinque anni, gli investimenti diretti esteri totali della Cina supereranno i 500 miliardi di dollari [pag. 91]. A differenza del piano Marshall, a cui spesso erroneamente la via della seta viene paragonata, si parla di cifre molto maggiori ma sopratutto occorre ricordare che il piano Marshall aveva una finalità politica, voleva ancorare i paesi europei a Washington. Pechino ha invece chiarito che continuerà a non entrare nelle scelte di politica interna dei singoli paesi.

La via della seta integra una politica estera cinese che già prima di Xi Jinping stava costruendo il proprio spazio. La Cina sta lavorando per cambiare le organizzazioni oggi esistenti, come il FMI o la BM, perché esse si trasformino prendendo atto delle modifiche negli equilibri mondiali. A questo tentativo però si sovrappone la creazione di nuovi strumenti comel’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) (di cui fa parte anche l’Italia), il cui scopo è fornire e sviluppare progetti di infrastrutture nella regione Asia-Pacifico, assieme a questa c’è la New Development Bank (NDB) che fa riferimento ai BRICS. I Brics così come lo SCO sono altri strumenti che la Cina usa per democratizzare le relazioni internazionali. Al centro di tutto questo deve rimanere l’ONU, un’organizzazione in cui, non solo a parole, tutte le nazioni devono contare allo stesso modo.

Conclusioni

La Cina è il prodotto di una civiltà millenaria; il socialismo con caratteristiche cinesi oggi sta guidando Pechino verso la prosperità interna e verso la costruzione di un mondo migliore, la sua forze economica e politica è un dato di fatto. Gli Stati Uniti hanno ancora due punti di forza: quello militare e il dollaro come moneta di scambio mondiale. Così come la macchina bellica a stelle e strisce rimane forte ma ha dimostrato di non essere imbattibile, anche il dollaro da segni di affaticamento. Lo yuan sta rapidamente diventando una delle principali valute negli scambi internazionali, anche se la sua diffusione è infinitamente minore di quella del dollaro. Vale anche per la Cina quello che disse Ahmad Shah Massoud a proposito dell’Afghanistan: gli americani possiedono gli orologi gli afghani il tempo. Oggi ‘la valuta cinese è diventata, per prima volta, una delle prime 10 valute scambiate più frequentemente al mondo’ [pag. 204], questo porta l’Autore ad affermare che ‘il declino del dollaro sarà un processo lungo’, un processo però già in atto. Il ruolo degli Stati Uniti è destinato a ridimensionarsi, che questo processo avvenga attraverso una via pacifica o meno sarà il futuro a dircelo.