L’opportunità offerta dalla Cina

container cinadi Marco Pondrelli

Leggendo i giornali italiani si direbbe che un fantasma si aggiri per l’Europa e che vi sia entrato passando dall’Italia. Poco più di un anno fa gli stessi opinionisti ci spiegarono che Xi Jinping aveva abbandonato il comunismo e si era posto contro Donald Trump quale fiero difensore del neoliberismo. Oggi la Cina torna ad essere il pericolo, non deve sorprendere la capacità che hanno certi personaggi di cambiare idea. Erano gli stessi che negli anni ’70 scendevano in piazza col libretto rosso inneggiando alla rivoluzione culturale e che oggi attaccano la Cina convinti che sia rimasta quella di Mao. Non avevano capito nulla della Cina negli anni ’70 continuano a non capire nulla oggi!

Ma cos’è successo? È bastato che Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, dichiarasse al Financial Times: “noi vediamo la Belt and Road Initiative come un’iniziativa pensata dalla Cina per l’interesse della Cina, siamo scettici sull’adesione italiana” ed è scoppiato il finimondo, oltre ai mass media anche il Quirinale e la Lega hanno mostrato preoccupazione (per usare un eufemismo). Su ‘la repubblica’ si sostiene che “gli Stati Uniti considererebbero di fatto una frattura dell’amicizia atlantica la firma dell’Italia in calce a quell’accordo”.

La crociata maccartista questa volta si consuma contro la ‘via della seta’, scordiamoci quindi la lotta al sovranismo in nome del mercato capace di travalicare i confini nazionali portando prosperità ai popoli.

Secondo Bonanni (la repubblica 7 marzo) “la Cina ha lanciato da anni un programma che aveva come obiettivo quello di dividere la Ue”, sarebbe interessante conoscere questo programma per capire se è in esso che possiamo trovare le cause della politica tedesca. La Germania ha un surplus commerciale con la Cina, e non solo, e così si spiega la freddezza europea verso il progetto cinese, le cose a Berlino (quindi a Bruxelles) vanno bene così.

Il sottosegretario Michele Geraci ha affermato (la stampa 7 marzo) “forse non è noto, ma l’Irlanda esporta in quel Paese più generi alimentari dell’Italia. La Francia vende sette volte il vino italiano”. Aprirsi alla Cina è un’opportunità per l’Italia, la stessa Italia che, governata dalla DC durante la guerra fredda, non ebbe problemi ad investire in Unione Sovietica. Adesso però ci viene detto che non possiamo collaborare con la Cina, sarebbe un pericolo per la nostra sicurezza come la vicenda Huawei dimostra. Peccato che a spiare nemici, amici ed i propri cittadini siano gli Stati Uniti (Snowden docet) e forse il problema del 5G è che l’Italia e l’Europa non stanno investendo su di esso, perché, si sa, per l’Europa gli investimenti pubblici sono lo sterco del demonio.

Dobbiamo quindi, come abbiamo fatto con la Russia, mettere in secondo piano i nostri interessi in nome della fedeltà atlantica? Graham Allison nel suo ‘Destinati alla guerra’ scrive: “il ritorno a un ruolo di preminenza da parte di una civiltà con 5.000 anni di storia e con 1,4 miliardi di persone non è un problema da risolvere. È una condizione: una condizione cronica che dovrà essere gestita nell’arco di una generazione”. Gestire questa condizione è, o può essere, un’opportunità per l’Italia.

Un esempio su tutti: la politica cinese in Africa. La Cina ha bisogno di materie prime, per procurarsele sta investendo in Africa con un approccio che ricorda quello di Enrico Mattei e non con i metodi banditeschi usati dall’Occidente, dopo il forum per la cooperazione Cina-Africa svoltosi a Pechino il 3 e 4 settembre l’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu scrisse (il sole 24 ore 5 settembre 2018): “l’Italia e la Cina godono di un’amicizia tradizionale e sono entrambe partner importanti per l’Africa. Sviluppare ulteriormente la cooperazione a tre parti – Cina-Italia-Africa – può avere un valore importante per la promozione dello sviluppo africano. La Cina è pronta, nel rispetto della volontà dell’Africa e sulla base dei concetti di apertura, inclusione, cooperazione e mutuo vantaggio, a sviluppare il potenziale della cooperazione a tre parti e raggiungere un risultato finale superiore alla somma delle sue parti, per lo sviluppo comune”. Può essere questa la strada per bloccare la tratta di essere umani nel mediterraneo? Per creare benessere, prosperità e sviluppo in Africa, dando alla popolazione locale la possibilità di continuare a vivere nel proprio paese?

Il 21 e il 22 marzo prossimi il Presidente Xi Jinping sarà in Italia, nonostante le dichiarazioni positive del Presidente Conte (‘Il prossimo incontro in Italia con il presidente cinese Xi Jinping sarà l’occasione per sottoscrivere l’accordo quadro) non siamo in grado di fare previsioni precise sulle conseguenze che avrà questa visita, quello che possiamo dire è che il mondo sta cambiando. Prima lo si capirà, anche in Italia, meglio sarà.

L’opportunità offerta dalla Cina

di Marco Pondrelli

 

Leggendo i giornali italiani si direbbe che un fantasma si aggiri per l’Europa e che vi sia entrato passando dall’Italia. Poco più di un anno fa gli stessi opinionisti ci spiegarono che Xi Jinping aveva abbandonato il comunismo e si era posto contro Donald Trump quale fiero difensore del neoliberismo. Oggi la Cina torna ad essere il pericolo, non deve sorprendere la capacità che hanno certi personaggi di cambiare idea. Erano gli stessi che negli anni ’70 scendevano in piazza col libretto rosso inneggiando alla rivoluzione culturale e che oggi attaccano la Cina convinti che sia rimasta quella di Mao. Non avevano capito nulla della Cina negli anni ’70 continuano a non capire nulla oggi!

Ma cos’è successo? È bastato che Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, dichiarasse al Financial Times: “noi vediamo la Belt and Road Initiative come un’iniziativa pensata dalla Cina per l’interesse della Cina, siamo scettici sull’adesione italiana” ed è scoppiato il finimondo, oltre ai mass media anche il Quirinale e la Lega hanno mostrato preoccupazione (per usare un eufemismo). Su ‘la repubblica’ si sostiene che “gli Stati Uniti considererebbero di fatto una frattura dell’amicizia atlantica la firma dell’Italia in calce a quell’accordo”.

La crociata maccartista questa volta si consuma contro la ‘via della seta’, scordiamoci quindi la lotta al sovranismo in nome del mercato capace di travalicare i confini nazionali portando prosperità ai popoli.

Secondo Bonanni (la repubblica 7 marzo) “la Cina ha lanciato da anni un programma che aveva come obiettivo quello di dividere la Ue”, sarebbe interessante conoscere questo programma per capire se è in esso che possiamo trovare le cause della politica tedesca. La Germania ha un surplus commerciale con la Cina, e non solo, e così si spiega la freddezza europea verso il progetto cinese, le cose a Berlino (quindi a Bruxelles) vanno bene così.

Il sottosegretario Michele Geraci ha affermato (la stampa 7 marzo) “forse non è noto, ma l’Irlanda esporta in quel Paese più generi alimentari dell’Italia. La Francia vende sette volte il vino italiano”. Aprirsi alla Cina è un’opportunità per l’Italia, la stessa Italia che, governata dalla DC durante la guerra fredda, non ebbe problemi ad investire in Unione Sovietica. Adesso però ci viene detto che non possiamo collaborare con la Cina, sarebbe un pericolo per la nostra sicurezza come la vicenda Huawei dimostra. Peccato che a spiare nemici, amici ed i propri cittadini siano gli Stati Uniti (Snowden docet) e forse il problema del 5G è che l’Italia e l’Europa non stanno investendo su di esso, perché, si sa, per l’Europa gli investimenti pubblici sono lo sterco del demonio.

Dobbiamo quindi, come abbiamo fatto con la Russia, mettere in secondo piano i nostri interessi in nome della fedeltà atlantica? Graham Allison nel suo ‘Destinati alla guerra’ scrive: “il ritorno a un ruolo di preminenza da parte di una civiltà con 5.000 anni di storia e con 1,4 miliardi di persone non è un problema da risolvere. È una condizione: una condizione cronica che dovrà essere gestita nell’arco di una generazione”. Gestire questa condizione è, o può essere, un’opportunità per l’Italia.

Un esempio su tutti: la politica cinese in Africa. La Cina ha bisogno di materie prime, per procurarsele sta investendo in Africa con un approccio che ricorda quello di Enrico Mattei e non con i metodi banditeschi usati dall’Occidente, dopo il forum per la cooperazione Cina-Africa svoltosi a Pechino il 3 e 4 settembre l’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu scrisse (il sole 24 ore 5 settembre 2018): “l’Italia e la Cina godono di un’amicizia tradizionale e sono entrambe partner importanti per l’Africa. Sviluppare ulteriormente la cooperazione a tre parti – Cina-Italia-Africa – può avere un valore importante per la promozione dello sviluppo africano. La Cina è pronta, nel rispetto della volontà dell’Africa e sulla base dei concetti di apertura, inclusione, cooperazione e mutuo vantaggio, a sviluppare il potenziale della cooperazione a tre parti e raggiungere un risultato finale superiore alla somma delle sue parti, per lo sviluppo comune”. Può essere questa la strada per bloccare la tratta di essere umani nel mediterraneo? Per creare benessere, prosperità e sviluppo in Africa, dando alla popolazione locale la possibilità di continuare a vivere nel proprio paese?

Il 21 e il 22 marzo prossimi il Presidente Xi Jinping sarà in Italia, nonostante le dichiarazioni positive del Presidente Conte (‘Il prossimo incontro in Italia con il presidente cinese Xi Jinping sarà l’occasione per sottoscrivere l’accordo quadro) non siamo in grado di fare previsioni precise sulle conseguenze che avrà questa visita, quello che possiamo dire è che il mondo sta cambiando. Prima lo si capirà, anche in Italia, meglio sarà.