Il XIX congresso del Partito Comunista Cinese parla anche all’Italia

pcc 18mo congressoIntervento di Marco Pondrelli al V Forum Europeo. La via cinese e le prospettive mondiali

Sono molti gli elementi d’interesse del XIX Congresso del Partito Comunista Cinese. Questo appuntamento non è stato importante solo per la Cina ma per tutto il mondo. Ciò perché le riforme cinesi partite 40 anni fa hanno avviato una crescita tumultuosa, che ha portato la Repubblica Popolare Cinese a diventare la seconda potenza mondiale, la prima se si considera il PIL a Parità di Potere d’acquisto. Le decisioni che vengono prese a Pechino non rimangono quindi confinate dentro questa nazione, hanno un peso ed un’importanza che tocca tutto il mondo.

Sono due i temi che in Italia la maggioranza dei mezzi d’informazione ha sottolineato.

Da una parte il ruolo che ha assunto il Presidente Xi Jinping e dall’altra la one Belt one Road. Questo interesse non è casuale. La figura della Cina e del Presidente Xi Jinping ha guadagnato molta importanza negli ultimi anni, la politica internazionale di Deng Xiaoping consisteva nel “prendere tempo mantenendo un basso profilo”, oggi questo basso profilo non è più possibile per la prima potenza globale.

I rapporti mondiali si stanno modificando: stiamo passando da un mondo unipolare ad un mondo multipolare. La politica estera statunitense è stata segnata, negli ultimi anni, da una forte aggressività militare, se volessi usare una categoria gramsciana potrei dire che venuta meno l’egemonia, venuto meno il consenso sono rimasti solo i cannoni.

Iraq e Libia, solo per citare due casi, non hanno solo rappresentato una catastrofe umanitaria ma anche la fine del diritto internazionale. Siamo di fronte ad uno stato che vuole imporre il proprio ordine, come ci spiegò in modo lucido ed impeccabile Domenico Losurdo nel suo penultimo libro ‘un mondo senza guerre’. Costruire un mondo multipolare vuole dire costruire un mondo migliore.

Oggi si confrontano due posizioni che, oltre ad avere un’idea diversa del diritto internazionale e dei rapporti fra stati, hanno anche una visione diversa dello sviluppo economico. Come ha notato Pierluigi Fagan nel suo ultimo libro (Verso un mondo multipolare), da una parte vi è il capitalismo finanziario, quello che è alla base della crisi che ancora stiamo vivendo, e dall’altra un capitalismo produttivo con un forte ruolo del pubblico. La nostra economia si basa sempre di più su complicati strumenti finanziari che hanno perso il contatto con l’economia reale.

Basta un dato per chiarire meglio questo concetto, nel luglio 2017 (la fonte è ‘il sole 24 ore’ [1] ) le borse valevano 78.000 miliardi, più del PIL mondiale (75.500), dato sconcertante se si pensa che nel 2008, l’anno dello scoppio della crisi, il valore era pari alla metà del PIL mondiale.

L’aumento dell’economia finanziaria è allo stesso tempo conseguenza e causa di un forte aumento delle ineguaglianze. In Italia 14 miliardari possiedono una ricchezza pari a quella del 30% della popolazione più povera. L’indice GINI, che misura la diseguaglianza, è passato dallo 0,41 del 1991 allo 0,51 del 2010. Questo problema non tocca solo l’Italia. Nel libro ‘Il Capitale del XXI secolo’ Thomas Piketty rileva come negli Stati Uniti il decile superiore nella gerarchia dei redditi sia passato dal detenere circa il 30-35% del reddito nazionale negli anni ’50 e ’60 al 45-50% dell’inizio del XXI secolo, questo ha portato Joseph Stiglitz a contrapporre il 99% della popolazione all’1% dei ricchi (o addirittura allo 0,1% dei super ricchi).

Un’economia ineguale non è solo un’economia ingiusta ma è anche un’economia inefficiente. In Italia, ma potremmo guardare anche al resto d’Europa o agli Stati Uniti, la domanda interna non riesce a sostenere la ripresa. Il fallimento delle politiche economiche degli ultimi decenni sta tutto qui. Il modello che, fra tante difficoltà, vediamo delinearsi in Cina è diverso, mette al centro la produzione, i consumi interni, con un ruolo centrale del pubblico, ma non è tutto: contenere lo strapotere della finanza vuole dire, come suggerivano Brancaccio e Passarella nel loro libro ‘l’austerità è di destra’, scritto nel 2012, attuare “una limitazione della libera circolazione dei capitali”.

Su questo la Cina può essere un esempio, abbiamo vissuto anni di attacco al ruolo dello Stato in economia, siamo stati vittime di una perversa ideologia che ci ha spiegato che aprendoci al privato ed al liberoscambismo selvaggio avremmo guadagnato tutti. In realtà dopo 30 anni di queste politiche ci troviamo con una maggiore disuguaglianza e con un paese deindustrializzato.

Costruire una politica sovrana non vuole dire fomentare i peggiori istinti nazionalisti, è l’esatto contrario: sono le politiche attuali che hanno fatto crescere il malessere sociale. Permettetemi una citazione che ai più sprovveduti potrebbe sembrare politicamente non corretta, citazione che è anche un omaggio al Professor Carlo Galli che è stato mio docente presso l’Università degli Studi di Bologna. Carl Schmitt nel suo ‘terra e mare’ si interroga sul perché la scoperta dell’America da parte dei vichinghi, avvenuta intorno all’anno 1000, non produsse gli effetti che invece si ebbero con la scoperta di Colombo, egli scrive “affinché si realizzi una rivoluzione spaziale occorre qualcosa di più di un approdo su un territorio prima sconosciuto. Occorre una trasformazione dei concetti di spazio che abbracci tutti i livelli e tutti gli ambiti dell’esistenza umana”. Ecco noi oggi abbiamo bisogno di questo, di una trasformazione profonda che abbracci tutti gli ambiti della nostra vita e che, a differenza di quello che successe dopo la (ri)scoperta dell’America, non produca sopraffazione e genocidio.

La One Belt One Road è un’opportunità unica per rilanciare la nostra forza produttiva ed essa rappresenta la congiunzione dei due elementi che ho provato ad analizzare: da una parte un’economia produttiva e non finanziaria e dall’altra un mondo multipolare, perché non scordiamoci che la conditio sine qua non per creare benessere è la pace.

Quando la Cina parla del ‘socialismo con caratteristiche cinesi’ ci dice anche un’altra cosa: il socialismo non è uscito dalla storia, non dobbiamo pensare ad esso come un orizzonte utopico. Il socialismo è un obiettivo cha va perseguito ma che non può essere staccato dalle caratteristiche del proprio paese. In passato, in Italia, la sinistra veniva accusata di non essere patriottica. Nulla di più falso! La lotta partigiana è stata una lotta di liberazione nazionale, combattere contro le ingerenze straniere, a partire da quelle militari, è un atto di patriottismo.

Avviandomi verso la conclusione provo a sottolineare un ultimo punto.

Il dibattito politico italiano ultimamente si è, spesso in modo superficiale ed autoreferenziale, concentrato molto sul tema dell’immigrazione. Come governare un tema come questo? Come una sola nazione può farvi fronte? L’ex Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi ha dichiarato che il problema si può risolvere solo guardando alla Cina. Il Forum per la cooperazione Cina-Africa, che si è tenuto a Pechino il 3 e 4 settembre, è stato un appuntamento molto importante, l’ambasciatore cinese in Italia, Li Ruiyu, ha scritto: “l’Italia e la Cina godono di un’amicizia tradizionale e sono entrambe partner importanti per l’Africa. Sviluppare ulteriormente la cooperazione a tre parti – Cina-Italia-Africa – può avere un valore importante per la promozione dello sviluppo africano. La Cina è pronta, nel rispetto della volontà dell’Africa e sulla base dei concetti di apertura, inclusione, cooperazione e mutuo vantaggio, a sviluppare il potenziale della cooperazione a tre parti e raggiungere un risultato finale superiore alla somma delle sue parti, per lo sviluppo comune”.

L’Italia, l’Europa, ed in generale l’Occidente, hanno sempre considerato l’Africa terra di conquista, da depredare, senza mai tentare di interloquire alla pari (con alcune eccezioni come fu quella di Enrico Mattei). La Cina, ha detto il Presidente Xi Jinping al Forum del 3 e 4 settembre, “lancerà otto importanti iniziative in stretta collaborazione con i paesi africani nei prossimi tre anni”, sono progetti che, fra l’altro, si rivolgono alle infrastrutture, alla connettività, allo sviluppo sostenibile ed all’interscambio culturale.

Creare ricchezza e sviluppo è la strada maestra per affrontare il tema dell’immigrazione e per bloccare la tratta di essere umani che percorre il mediterraneo.

I temi che ho toccato: dalla crisi economica, alla costruzione di un mondo multipolare sino ad arrivare alla cooperazione con il continente africano sono la testimonianza più importante che dimostra come il congresso del Partito Comunista Cinese, e più in generale le scelte di Pechino, parlino a tutto il mondo ed anche all’Italia.

NOTE

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2017-07-23/le-borse-ora-valgono-piu-pil-pianeta-quali-sono-rischi-160220.shtml?uuid=AEC0lr1B&refresh_ce=1

Sono molti gli elementi d’interesse del XIX Congresso del Partito Comunista Cinese. Questo appuntamento non è stato importante solo per la Cina ma per tutto il mondo. Ciò perché le riforme cinesi partite 40 anni fa hanno avviato una crescita tumultuosa, che ha portato la Repubblica Popolare Cinese a diventare la seconda potenza mondiale, la prima se si considera il PIL a Parità di Potere d’acquisto. Le decisioni che vengono prese a Pechino non rimangono quindi confinate dentro questa nazione, hanno un peso ed un’importanza che tocca tutto il mondo.

Sono due i temi che in Italia la maggioranza dei mezzi d’informazione ha sottolineato.

Da una parte il ruolo che ha assunto il Presidente Xi Jinping e dall’altra la one Belt one Road. Questo interesse non è casuale. La figura della Cina e del Presidente Xi Jinping ha guadagnato molta importanza negli ultimi anni, la politica internazionale di Deng Xiaoping consisteva nel “prendere tempo mantenendo un basso profilo”, oggi questo basso profilo non è più possibile per la prima potenza globale.

I rapporti mondiali si stanno modificando: stiamo passando da un mondo unipolare ad un mondo multipolare. La politica estera statunitense è stata segnata, negli ultimi anni, da una forte aggressività militare, se volessi usare una categoria gramsciana potrei dire che venuta meno l’egemonia, venuto meno il consenso sono rimasti solo i cannoni.

Iraq e Libia, solo per citare due casi, non hanno solo rappresentato una catastrofe umanitaria ma anche la fine del diritto internazionale. Siamo di fronte ad uno stato che vuole imporre il proprio ordine, come ci spiegò in modo lucido ed impeccabile Domenico Losurdo nel suo penultimo libro ‘un mondo senza guerre’. Costruire un mondo multipolare vuole dire costruire un mondo migliore.

Oggi si confrontano due posizioni che, oltre ad avere un’idea diversa del diritto internazionale e dei rapporti fra stati, hanno anche una visione diversa dello sviluppo economico. Come ha notato Pierluigi Fagan nel suo ultimo libro (Verso un mondo multipolare), da una parte vi è il capitalismo finanziario, quello che è alla base della crisi che ancora stiamo vivendo, e dall’altra un capitalismo produttivo con un forte ruolo del pubblico. La nostra economia si basa sempre di più su complicati strumenti finanziari che hanno perso il contatto con l’economia reale.

Basta un dato per chiarire meglio questo concetto, nel luglio 2017 (la fonte è ‘il sole 24 ore’[1]) le borse valevano 78.000 miliardi, più del PIL mondiale (75.500), dato sconcertante se si pensa che nel 2008, l’anno dello scoppio della crisi, il valore era pari alla metà del PIL mondiale.

L’aumento dell’economia finanziaria è allo stesso tempo conseguenza e causa di un forte aumento delle ineguaglianze. In Italia 14 miliardari possiedono una ricchezza pari a quella del 30% della popolazione più povera. L’indice GINI, che misura la diseguaglianza, è passato dallo 0,41 del 1991 allo 0,51 del 2010. Questo problema non tocca solo l’Italia. Nel libro ‘Il Capitale del XXI secolo’ Thomas Piketty rileva come negli Stati Uniti il decile superiore nella gerarchia dei redditi sia passato dal detenere circa il 30-35% del reddito nazionale negli anni ’50 e ’60 al 45-50% dell’inizio del XXI secolo, questo ha portato Joseph Stiglitz a contrapporre il 99% della popolazione all’1% dei ricchi (o addirittura allo 0,1% dei super ricchi).

Un’economia ineguale non è solo un’economia ingiusta ma è anche un’economia inefficiente. In Italia, ma potremmo guardare anche al resto d’Europa o agli Stati Uniti, la domanda interna non riesce a sostenere la ripresa. Il fallimento delle politiche economiche degli ultimi decenni sta tutto qui. Il modello che, fra tante difficoltà, vediamo delinearsi in Cina è diverso, mette al centro la produzione, i consumi interni, con un ruolo centrale del pubblico, ma non è tutto: contenere lo strapotere della finanza vuole dire, come suggerivano Brancaccio e Passarella nel loro libro ‘l’austerità è di destra’, scritto nel 2012, attuare “una limitazione della libera circolazione dei capitali”.

Su questo la Cina può essere un esempio, abbiamo vissuto anni di attacco al ruolo dello Stato in economia, siamo stati vittime di una perversa ideologia che ci ha spiegato che aprendoci al privato ed al liberoscambismo selvaggio avremmo guadagnato tutti. In realtà dopo 30 anni di queste politiche ci troviamo con una maggiore disuguaglianza e con un paese deindustrializzato.

Costruire una politica sovrana non vuole dire fomentare i peggiori istinti nazionalisti, è l’esatto contrario: sono le politiche attuali che hanno fatto crescere il malessere sociale. Permettetemi una citazione che ai più sprovveduti potrebbe sembrare politicamente non corretta, citazione che è anche un omaggio al Professor Carlo Galli che è stato mio docente presso l’Università degli Studi di Bologna. Carl Schmitt nel suo ‘terra e mare’ si interroga sul perché la scoperta dell’America da parte dei vichinghi, avvenuta intorno all’anno 1000, non produsse gli effetti che invece si ebbero con la scoperta di Colombo, egli scrive “affinché si realizzi una rivoluzione spaziale occorre qualcosa di più di un approdo su un territorio prima sconosciuto. Occorre una trasformazione dei concetti di spazio che abbracci tutti i livelli e tutti gli ambiti dell’esistenza umana”. Ecco noi oggi abbiamo bisogno di questo, di una trasformazione profonda che abbracci tutti gli ambiti della nostra vita e che, a differenza di quello che successe dopo la (ri)scoperta dell’America, non produca sopraffazione e genocidio.

La One Belt One Road è un’opportunità unica per rilanciare la nostra forza produttiva ed essa rappresenta la congiunzione dei due elementi che ho provato ad analizzare: da una parte un’economia produttiva e non finanziaria e dall’altra un mondo multipolare, perché non scordiamoci che la conditio sine qua non per creare benessere è la pace.

Quando la Cina parla del ‘socialismo con caratteristiche cinesi’ ci dice anche un’altra cosa: il socialismo non è uscito dalla storia, non dobbiamo pensare ad esso come un orizzonte utopico. Il socialismo è un obiettivo cha va perseguito ma che non può essere staccato dalle caratteristiche del proprio paese. In passato, in Italia, la sinistra veniva accusata di non essere patriottica. Nulla di più falso! La lotta partigiana è stata una lotta di liberazione nazionale, combattere contro le ingerenze straniere, a partire da quelle militari, è un atto di patriottismo.

Avviandomi verso la conclusione provo a sottolineare un ultimo punto.

Il dibattito politico italiano ultimamente si è, spesso in modo superficiale ed autoreferenziale, concentrato molto sul tema dell’immigrazione. Come governare un tema come questo? Come una sola nazione può farvi fronte? L’ex Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi ha dichiarato che il problema si può risolvere solo guardando alla Cina. Il Forum per la cooperazione Cina-Africa, che si è tenuto a Pechino il 3 e 4 settembre, è stato un appuntamento molto importante, l’ambasciatore cinese in Italia, Li Ruiyu, ha scritto: “l’Italia e la Cina godono di un’amicizia tradizionale e sono entrambe partner importanti per l’Africa. Sviluppare ulteriormente la cooperazione a tre parti – Cina-Italia-Africa – può avere un valore importante per la promozione dello sviluppo africano. La Cina è pronta, nel rispetto della volontà dell’Africa e sulla base dei concetti di apertura, inclusione, cooperazione e mutuo vantaggio, a sviluppare il potenziale della cooperazione a tre parti e raggiungere un risultato finale superiore alla somma delle sue parti, per lo sviluppo comune”.

L’Italia, l’Europa, ed in generale l’Occidente, hanno sempre considerato l’Africa terra di conquista, da depredare, senza mai tentare di interloquire alla pari (con alcune eccezioni come fu quella di Enrico Mattei). La Cina, ha detto il Presidente Xi Jinping al Forum del 3 e 4 settembre, “lancerà otto importanti iniziative in stretta collaborazione con i paesi africani nei prossimi tre anni”, sono progetti che, fra l’altro, si rivolgono alle infrastrutture, alla connettività, allo sviluppo sostenibile ed all’interscambio culturale.

Creare ricchezza e sviluppo è la strada maestra per affrontare il tema dell’immigrazione e per bloccare la tratta di essere umani che percorre il mediterraneo.

I temi che ho toccato: dalla crisi economica, alla costruzione di un mondo multipolare sino ad arrivare alla cooperazione con il continente africano sono la testimonianza più importante che dimostra come il congresso del Partito Comunista Cinese, e più in generale le scelte di Pechino, parlino a tutto il mondo ed anche all’Italia.



[1]https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2017-07-23/le-borse-ora-valgono-piu-pil-pianeta-quali-sono-rischi-160220.shtml?uuid=AEC0lr1B&refresh_ce=1