Sicurezza in Asia: la visione “riformista” di Pechino

ChinaPoliciesonAsia PacificSecurityCooperationdi Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Il libro bianco “China’s Policies on Asia-Pacific Security Cooperation” [1] (gennaio 2017) è senza dubbio un documento interessante per comprendere il concetto di “sicurezza” che la Cina vuole applicare in una regione strategica, quella Asia-Pacifico, nella quale agisce economicamente e militarmente la superpotenza statunitense. Consapevole di questa presenza – e del portato storico delle alleanze militari e dei “dilemmi” che producono in Paesi (si pensi all’Australia o alle Filippine) stretti tra rapporti militari con gli Usa e crescenti legami economici con la Cina – Pechino traccia un percorso sul medio-lungo periodo che partendo dalla convivenza tra strutture diverse giunga ad una complessa e diversificata rete di sicurezza e cooperazione asiatica, evitando diktat di potenze esterne e contrapposizione da “guerra fredda”. Va, infatti, ricordato che nella regione accanto alle alleanze militari a guida Usa, sono attive altre piattaforme di sicurezza (non alleanze) che vedono la fondamentale partecipazione cinese come la Shanghai Cooperation Organization, prossima all’ingresso di potenze regionali come India e Pakistan.

Ecco un estratto: “In primo luogo, il futuro quadro di sicurezza regionale dovrebbe essere multi-livello, completo e diversificato. I paesi della regione Asia-Pacifico si differenziano per le loro tradizioni storiche, i sistemi politici, i livelli di sviluppo e i problemi di sicurezza. In questa regione ci sono meccanismi asiatici di sicurezza e di cooperazione e piattaforme come la SCO e la CICA, così come le alleanze militari formatesi nel tempo. Data una tale diversità, un quadro di sicurezza consistente in questa regione non è prevedibile nel prossimo futuro, e sarà normale vedere molteplici meccanismi che avanzano insieme nell’evoluzione di un quadro di sicurezza regionale. Tutti i paesi coinvolti devono svolgere i loro rispettivi ruoli nella salvaguardia della pace e la stabilità regionale. La Cina promuove la costruzione di un quadro di sicurezza nella regione Asia-Pacifico, il che non significa ricominciare tutto da capo, ma migliorare e aggiornare i meccanismi esistenti”.

Ancora una volta la Cina popolare, consapevole ormai del proprio ruolo di grande potenza con crescenti responsabilità, ribadisce di non perseguire una politica revisionista in tema di rapporti internazionali regionali e globali, quanto di aggiornamento degli stessi in linea – concetto ribadito nel Libro bianco e nel recente discorso di Xi Jinping a Davos – con una tendenza multipolare [2]. La permanenza delle alleanze già in essere – di fatto il Pivot to Asia in senso militare proseguirà con la nuova amministrazione guidata da Trump – dovrebbe essere depotenziata per evitare l’esplodere di tensioni attraverso una maggiore trasparenza e una collaborazione tra le grandi potenze in nome di un rapporto – altro pilastro delle recente politica estera cinese – di reciproco riconoscimento di interessi nelle rispettive regioni che eviti il confronto. Alle alleanze, che privatizzano la sicurezza, la Cina ribadisce la propria preferenza per la costruzione di partnership e collaborazioni (la “convergenza di interessi” dello studioso Zheng Bijian) a diversi livelli e più elastiche tra i Paesi asiatici in modo da trovare un terreno minimo comune al di là delle differenze e degli impegni già stipulati.

Nella sostanza il documento – il primo ufficiale sul tema di una leadership cinese in Asia orientale – è lo sviluppo degli inviti lanciati, tra il 2014 e il 2016, dal presidente Xi Jinping alla costruzione di una “comunità dal destino comune” caratterizzata da uno sviluppo comune e coordinato tra cooperazione economica e politica di sicurezza. È un documento che si fonda – privilegiando l’aspetto economico – sulla presa di coscienza dei punti di forza cinesi potenzialmente in grado di modificare gli equilibri post guerra fredda e post parentesi unipolare: lo sviluppo di un mercato interno potenzialmente senza fondo e l’immensa capacità di investimento per la costruzione di una rete infrastrutturale asiatica (si pensi al progetto di Nuova via della Seta e alle risorse ad essa dedicate) che potrebbe sostenere lo sviluppo complessivo dell’Asia e fondare sul reciproco interesse una forte collaborazione regionale. Una Cina “bene comune” per l’area – per riprendere la definizione dello studioso Pierluigi Fagan – che “tanto più compra, tanto più tutti beneficiano e crescono in proporzione” [3].

Certo è che questo progetto di “asiatizzazione” della sicurezza, per quanto diluito nel tempo e bilanciato sull’esistente, pone un serio problema: la sua realizzazione mette in crisi la storica influenza economica e politica degli Stati Uniti, con il rischio che la risposta di questi ultimi ad un impianto generale che ne relativizza la presenza, sia sempre più fondata sull’elemento militare e l’accensione periodica di crisi e tensioni per sostenere il ruolo di potenza “indispensabile”.

NOTE

1 Per il documento integrale, in lingua inglese, si rinvia all’indirizzo http://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/zxxx_662805/t1429771.shtml

2 Per questo aspetto rinvio a Bertozzi Diego Angelo, “Cina. Da sabbia informe a potenza globale”, Imprimatur, Reggio Emilia 2016

3 Fagan Pierluigi, Verso un mondo multipolare, Fazi editore, Roma, 2017.