Aspetti delle relazioni economiche tra RPC e Italia

cina italia colosseodi Pasquale Cicalese

Intervento al Forum “La Via Cinese e il contesto internazionale”, Roma, 15 ottobre 2016

In occasione di un convegno volto a celebrare il 45esimo Anniversario delle Relazioni Diplomatiche Sino-Italiane, svoltosi a Roma il 23 ottobre del 2015, l’Ambasciatore Cinese S.E. Li Ruiyu ebbe a dichiarare: ”La Cina ha sempre sostenuto lo sviluppo dell’Italia: nel momento più duro della crisi finanziaria internazionale, l’allora Presidente cinese, Hu Jintao, effettuò con successo una visita in Italia, e la delegazione di incentivazione per gli investimenti commerciali mandata in Italia dalla Cina ha fornito un aiuto concreto all’Italia nell’affrontare il problema del debito”. Queste parole sono importantissime perché svelano un aspetto per nulla considerato dai media italiani: durante la crisi del debito del 2011, contrariamente ai partner europei, le cui banche vendevano massicciamente titoli di stato italiani, la Cina interveniva per calmare la tempesta finanziaria che stava colpendo l’Italia. Il suo intervento fu finalizzato a stabilizzare i corsi dei titoli di stato italiani e a ridurre lo spread con i bund tedeschi. Per sapere con quali mezzi economici, occorre riportare le parole del Governatore della People’s Bank of China- la banca centrale cinese, Zhu Xiaochuan, il quale il 22 gennaio 2015, in occasione del Forum di Davos, dichiarò: “deteniamo asset italiani, tra azioni e titoli di stato, pari a 100 miliardi di euro e continueremo a comprare”.

Ad oggi, la People’s Bank detiene azioni sulla piazza borsistica italiana pari a 10 miliardi di euro. Dunque, i titoli di stato italiani in possesso della banca centrale cinese sono pari ad almeno 90 miliardi di euro. Ma protagonisti finanziari in Italia sono anche le quattro banche pubbliche cinesi e il fondo sovrano Cic. Si presume che la Cina detenga non meno di 130 miliardi di euro di titoli di stato italiani, quasi il 27% del debito pubblico del Belpaese detenuto da operatori finanziari esteri. La People’s Bank of China detiene poi partecipazioni minoritarie in primarie banche italiane e in importanti gruppi industriali come Telecom, Fiat, Saipem, Eni, Enel, Generali e Prysmian.

Nelle ultime settimane, alcuni media italiani hanno riferito della richiesta del Premier Renzi al Presidente Xi Jinping e ai rappresentanti dei fondi sovrani cinesi di un intervento in Monte dei Paschi di Siena, un aiuto che se realizzato comporterebbe sia il risanamento del terzo gruppo bancario italiano sia un volano per tutto il settore finanziario d’Italia. A questo punto ci sono da fare alcune considerazioni. I franco- tedeschi, per innescare la crisi del debito sovrano italiano, hanno smobilizzato titoli del nostro paese nel 2011 pari a circa 110 miliardi di euro. I cinesi, al contrario, in questo stesso periodo acquisivano, diventando attori pieni della stabilizzazione dei debito pubblico italiano e contribuendo a far scendere lo spread. Mentre altri provocavano la crisi, e sarebbero i nostri “fratelli europei”, per la qual cosa abbiamo fatto prima l’Ue e poi l’Unione Monetaria, i cinesi contribuivano a non renderla definitivamente tragica. Hanno cioè mantenuto la solvibilità del debito pubblico italiano e continueranno a farlo nei prossimi anni, viste le dichiarazioni di Zhou Xiaochuan a Davos. 

Si può dunque affermare che durante la tempesta finanziaria del 2011-2012, la Cina sia intervenuta massicciamente sulla piazza italiana per stabilizzare i corsi, un vero e proprio scudo finanziario che gli organi di informazione italiani omettono di dire, presentando la Cina sempre come una minaccia.

Se andiamo poi ad analizzare l’interscambio Italia-Cina possiamo dire che si potrebbe fare molto di più. Attualmente esso è pari a 44 miliardi di dollari, circa 10 miliardi di euro di export italiano e 28 miliardi di euro di export cinese in Italia. Durante la sua visita del 2010 il premier cinese Wen Jiabao invitò gli italiani a costituire organismi comuni per far arrivare l’interscambio a circa 80 miliardi di dollari nel giro di pochi anni. Purtroppo quella cifra è ancora lontana dall’esser raggiunta, tuttavia c’è da sottolineare che sotto l’impulso di Wen Jiabao si è costituita una Commissione governativa mista per gli investimenti cinesi. Nel giro degli ultimi tre anni essa ha registrato il boom degli Ide cinesi in Italia, tant’è che nel 2015 il nostro paese risulta il secondo dopo la Gran Bretagna per destinazione di investimenti cinesi, pari a circa 12 miliardi di dollari. Non passa giorno che i media economici non scrivano di investimenti cinesi nell’industria, nella finanza, nell’agroalimentare, nelle biotecnologie e financo nel calcio italiano con l’acquisizione delle celebri squadre di calcio Milan e Inter.

La Commissione governativa Italia Cina sta approntando un piano d’azione per il 50° anniversario delle relazioni tra i due paesi, che ricorrerà nel 2020, che ha come fulcro centrale investimenti cinesi nei porti italiani, piani infrastrutturali lungo il progetto Via della Seta e azioni comuni nell’industria meccanica, farmaceutica, nell’agroalimentare e nella sanità. Su quest’ultimo aspetto risulta che funzionari cinesi stiano studiando il sistema sanitario italiano per prendere spunti in vista dell’universalizzazione delle prestazioni sanitarie in Cina. Dalle interviste rilasciate da banchieri e alti funzionari cinesi, l’Italia è vista come piattaforma industriale e commerciale per progetti comuni italo-cinesi in Europa, Africa, Medio Oriente e anche in Asia Centrale.

Come si vede, dunque, molteplici sono gli aspetti delle relazioni economiche italo-cinesi e in futuro potrebbero essere più proficui. Purtroppo però si registra da parte italiana una scarsa sensibilità sul modo in cui questo rapporto potrebbe fungere da volano per la nostra economia. L’Italia è tutta intenta a curare i rapporti con gli Stati Uniti e quasi si vergogna di coltivare rapporti con paesi come la Cina o anche la Russia. Vede i Brics come un’opportunità puramente commerciale, ma è poco propensa a coltivare le relazioni. E’ un paese a sovranità limitata. Questa miopia diplomatica si traduce in mancate occasioni di sviluppo per l’Italia, quando tutti gli altri paesi europei, in primis la Gran Bretagna e la Germania, sono proiettati verso l’Asia e la Cina.

La novità che è intervenuta nel 2013, vale a dire Obor (One Belt One Road), ha smosso un po’ le acque. L’Italia ha aderito alla banca cinese di investimenti asiatici – l’AIIB – e vuole essere partecipe della costruzione della Via della Seta, anche perché Venezia sarebbe il terminale della via marittima. Obor sconvolgerà il continente euroasiatico perché sono previsti investimenti per migliaia di miliardi di dollari. Il fine è costruire infrastrutture che aumentino la produttività totale dei fattori produttivi lungo l’asse euroasiatico, da qui reflazionare l’economia e creare il più vasto mercato di consumi al mondo. La proposta che fa la Cina all’Italia è quella di lavorare congiuntamente lungo la via della seta e contribuire all’industrializzazione dei paesi attraversati. Obor costituisce per l’Italia la più grande occasione di sviluppo economico degli ultimi 50 anni.

Dunque, da una parte la Cina si presenta come scudo finanziario per l’Italia, dall’altra offre ad essa la possibilità di fuoriuscire dalle secche della depressione economica. Saprà la classe dirigente italiana cogliere questa opportunità? Il dubbio esiste, anche perché i mezzi di comunicazione non aiutano il dialogo, tutti propensi a parlare solo degli aspetti negativi della Cina. Occorre dunque un salto culturale, un dialogo continuo italo cinese, e l’occasione del convegno di oggi potrebbe costituire la base di questo dialogo, segno di amicizia tra due civiltà millenarie. Grazie!.