La risposta cinese alla crisi mondiale del 2008

china1di Pasquale Cicalese

Relazione presentata al convegno tenutosi a Roma il 2 ottobre 2015 ” La Cina dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008″

Allo scoppio della crisi mondiale del 2008, la Cina si trovava in una situazione fiscale favorevole, con surplus di bilancio. In risposta alla crisi mondiale la dirigenza cinese attuava una politica fiscale espansiva data da un piano infrastrutturale di 600 miliardi di dollari, finalizzato alla costruzione di ferrovie, autostrade e porti e avente come fine lo sviluppo della logistica e, da qui, l’aumento della produttività totale dei fattori produttivi, che cresceva a due cifre. Tale politica fiscale espansiva trascinava l’aumento del commercio mondiale, soprattutto dei paesi emergenti con l’import di materie prime. A livello fiscale il piano infrastrutturale era accompagnato da una politica di reflazione salariale, cioè aumento dei salari medi annui del 12%, per stimolare la domanda interna. A livello monetario si notava invece una politica restrittiva tesa a parare l’enorme aumento di liquidità della Federal Reserve. Tale politica si attuava con un aumento dei tassi di interesse e soprattutto con un aumento della riserva obbligatoria delle banche, portata al 21%. Ciò portò ad una progressiva rivalutazione dello yuan che, nel giro di 6 anni, aveva avuto un apprezzamento reale di circa il 45%. Dunque, da una parte abbiamo politica fiscale espansiva, dall’altra politica monetaria restrittiva. In Occidente si è fatto l’opposto, con i risultati che conosciamo.

La politica fiscale espansiva continuava nel 2010 con il finanziamento della costruzione di 6 milioni di alloggi popolari, la riforma dell’hukou, che dava diritti di cittadinanza ai migranti e prime misure di costruzione di un sistema di welfare universale. Nel 2013 la nuova dirigenza decideva un piano di urbanizzazione per i migranti di circa 6 mila miliardi di dollari, nel mentre continuava la politica monetaria restrittiva attraverso misure di sterilizzazione monetaria, che impedivano l’aumento dell’inflazione dovuto al Quantitative Easing americano, inglese e giapponese. Semppre nel 2013 la dirigenza di Xi e Li cambiava rotta di politica economica: la Cina in futuro non is basava più sull’export ma sui servizi, sui consumi, in pratica sulla domanda interna. Nel 2014 attuava un piano gigantesco di riconversione ambientale dell’apparato produttivo di 1,7 triliardi di dollari e un forte aumento delle spese in istruzione, ricerca e innovazione, finalizzati anche questa volta all’aumento della produttività totale dei fattori produttivi e, da qui, agli aumenti salariali.

Inoltre veniva deciso lo sviluppo di un florido mercato finanziario, la quotazione azionaria di migliaia di imprese, la fusione dei colossi pubblici, un aumento degli investimenti esteri attraverso la politica del go global e, in ultimo, la decisione di aumentare il peso dell’oro nel paniere delle riserve valutarie, portandole a circa 10 mila tonnellate nel giro di un decennio. In ambito monetario si assisteva ad una politica di internazionalizzazione dello yuan attraverso scambi monetari con le principali banche centrali del mondo. 

La politica fiscale espansiva della Cina trovava nel 2014 una proiezione internazionale attraverso la decisione di costruire One Belt One Road e la Via della Seta Marittima e Terrestre,attraverso la costruzione di corridoi ferroviari, energetici, autostradali e portuale che attraversano l’Eurasia e arrivano in Europa, con l’Italia come terminale marittimo. La Via della Seta marittima, con al centro il Mediterraneo, attraverso il raddoppio del Canale di Suez, portava il nostr paese ad essere un centro nevralgico dei traffici mondiali, da e per l’Asia. A livello finanziario ciò si traduce in una forte politica di acquisizione di asset italiani da parte della People’Bank of China e di acquisto di aziende italiane da parte di operatori pubblici e privati cinesi.

Nell’agosto del 2014, per sviluppare il mercato finanziario, il Consiglio di Stato decide la connessione finanziaria tra la borsa di Shanghai e la borsa di Hong Kong. Nel giro di otto mesi Shanghai ha un esplosione, con un aumento del 150%, un boom non governato e a carattere speculativo che nel giugno di quest’anno provoca un crollo del 40%. Tuttavia le autorità decidono di intervenire con politica monetaria espansiva e l’obbligo di riacquisto di azioni proprie da parte delle aziende pubbliche. Ci vorrà tempo per sanare la ferita, ma una cosa è da dire: gli investimenti di riconversione ambientale dell’apparato produttivo, la costruzione della One Belt One Road e della Via della Seta marittima e terrestre, che provocherà nell’Eurasia un forte aumento della produttività totale dei fattori produttivi e da qui un aumento dei salri delle popolazioni interessate, e che coinvolgono miliardi di persone creando il più grande e florido mercato mondiale, danno la possibilità nel medio lungo termine alla borsa di Shanghai di recuperare quanto perduto e di diventare nel giro di un decennio la più importante piazza finanziaria mondiale, scavalcando Wall Street. Si tratta di investimenti per migliaia di miliardi di cui il nostro Paese ne beneficerà. Il guaio è che la classe dirigente italiana non è affatto cosciente della posta in gioco.