Cina-Corea popolare: tra disimpegno e alleanza

cina coreadelnorddi Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Per diversi opinionisti i recenti bombardamenti statunitensi in Siria e Afghanistan non sono solo il segnale di una rinnovata arroganza imperiale, ma una sorta di “avviso” fatto recapitare alla Corea popolare, facendo ventilare l’ipotesi di un attacco militare preventivo, con conseguenze che potrebbero essere disastrose non solo a livello regionale. Centrale, in questo quadro di tensione crescente, è il rapporto tra la Cina popolare e la Corea del Nord, paesi a regime socialista legati dal 1961 da un patto di assistenza militare e politica.

Da tempo a Pechino si è aperta una discussione – ormai pubblica – sul rapporto con Pyongyang, con opzioni sul tavolo che giungono persino ad una sorta di totale disimpegno. Resta, tuttavia, il rilevante peso strategico che quest’ultima rappresenta: nel pieno sviluppo di una politica di accerchiamento, se da una parte Pechino preferisce evitare tensioni che giustifichino il rafforzamento della presenza “securitaria” statunitense nella propria periferia, dall’altra non può accettare il collasso del regime guidato da Kim Jong-un ed una conseguente unificazione della penisola coreana con la presenza di truppe e strutture militari statunitensi. L’esempio dell’allargamento della Nato nell’Europa orientale costituisce un precedente preoccupante. Ad oggi permane, quindi, una sorta di “costrizione” alla protezione del Paese confinante.

La soluzione ufficiale, quella di una Corea completamente denuclearizzata, rappresenta le fondamenta della recente formula delle “due sospensioni”: la Corea del Nord sospende i test nucleari e missilistici, mentre gli Stati Uniti interrompono le esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud.

Quanto segue è un estratto del libro “Cina. Da sabbia informa a potenza globale” (Imprimatur, 2016) di Diego Angelo Bertozzi.

Un vicino ingombrante: la Corea del Nord

E proprio nei confronti della Repubblica democratica popolare di Corea, Pechino ha dato la sua adesione al pacchetto di sanzioni internazionali (risoluzione 2270 del Consiglio di sicurezza) dopo che il governo del giovane Kim Jong-un aveva lanciato in orbita un satellite spaziale compiendo quello che in molti hanno interpretato come un test missilistico balistico vietato da precedenti risoluzioni Onu. L’appoggio ad un pacchetto assai pesante non significa, tuttavia, che ci sia piena identità di vedute con Washington sulla politica verso il “Regno Eremita”, per quanto Pechino  abbia da tempo dato segnali di preoccupazione nei confronti del vicino, in un crescendo a partire dal ristabilimento nel 1992 delle relazioni diplomatiche con la Corea del Sud.

La questione è complessa e nell’analisi della posizione della Cina si deve tenere conto del quadro determinato dal Pivot obamiano e della crescente presenza militare statunitense in Asia orientale. L’aumento della tensione può avere come conseguenza proprio quella di fornire una motivazione per rafforzare progetti militari come lo scudo antimissilistico Usa-Corea del Sud-Giappone (Thaad) che Pechino giudica come una minaccia ravvicinata. Per questo all’indomani dell’adozione unanime della risoluzione sono giunte considerazioni che hanno meglio specificato la scelta effettuata: certo – ha scritto l’ufficiale Global Times – l’opinione pubblica cinese è sempre più stufa dei test nordcoreani, tuttavia le sanzioni a nulla servono se a Pyongyang non viene data una garanzia sulla propria sicurezza, quale potrebbe essere la prospettiva della denuclearizzazione della penisola. [1] C’è poi da aggiungere che la Corea del Nord riveste un ruolo geopolitico che non può essere sottostimato, vale a dire quello di cuscinetto di sicurezza, e che l’eventuale caduta del regime costringerebbe il governo di Pechino a far fronte ad una vera e propria emergenza umanitaria.

Una interessante discussione si è svolta già sul finire del 2014 intorno alla indispensabilità o meno di tale “cuscinetto”. Wang Hongguang, ex vice comandante della regione militare di Nanchino, si è pronunciato a chiare lettere contro qualsiasi intervento militare cinese in una eventuale guerra in difesa di Pyongyang o nel caso di crollo: “La Cina non può influenzare la situazione nella penisola coreana (…) La Cina non ha bisogno di accendere un fuoco e bruciarsi. Chi provoca un incendio ne ha la responsabilità. Ora non c’è più un campo socialista. Non è necessario per la generazione più giovane di cinesi combattere una guerra per un altro paese”. Secondo l’ex generale, Pechino dovrebbe seguire un preciso atteggiamento di base assai pragmatico e poco ideologico, riassumibile nell’espressione “sostenere quello che deve essere sostenuto, opporsi a quello che deve essere rifiutato”. Nessun vero e proprio abbandono, quindi, di un alleato sempre più scomodo, ma il suggerimento di una condotta più tiepida e attenta nei suoi confronti. Sul tema di un possibile “abbandono” il tabloid Huanqiu ha ospitato un editoriale più vicino a una posizione da “falchi” pur nella consapevolezza della presenza di un problema di sicurezza nucleare che mina la pace regionale e nei confronti del quale le sanzioni possono essere una misura necessaria. Ma c’è altro: gli equilibri dell’Estremo oriente e, incastonato in essi, l’interesse nazionale. E tutto suggerisce che un eventuale abbandono della Corea del Nord non è nell’interesse della Cina popolare: “la geopolitica non è diventata obsoleta nel campo odierno della politica internazionale” e “l’importanza della posizione strategica acquisita dalla Cina con la guerra di Corea è incommensurabile”. Il quadro di riferimento della riflessione è quello rappresentato dalla rivitalizzazione, da parte degli Stati Uniti, di una serie di alleanze politico-militari e dal progetto, coltivato a Washington e Seul, di “separazione” della Corea del Nord dalla Cina. Una eventualità, quest’ultima, che secondo l’articolo porterebbe gravi danni a entrambi i Paesi. Così chi descrive Pyongyang come “un lupo dagli occhi bianchi” (chi risponde alla gentilezza con ingratitudine) che “merita la propria povertà” viene rimproverato per la mancanza di “mentalità aperta” e di “consapevolezza del quadro generale”. [2] 

Ad oggi va segnalata la comune posizione espressa da Mosca e Pechino (vertice Cica 2016) che invita gli Stati Uniti a “non usare le azioni di Pyongyang come scusa per aumentare la propria presenza militare nella regione” e alla ripresa del Dialogo a sei per giungere ad una soluzione diplomatica. Non c’è dubbio, le due capitali condividono la stessa preoccupazione sulla propria sicurezza in riferimento ad un progetto di scudo missilistico giudicato sproporzionato rispetto alle esigenze difensive e dall’impatto diretto sulla sicurezza strategica di Cina e Russia. [3]

NOTE

1 Global Times, North Korean sanctions won’t work without security guarantees, 4 marzo 2016 e Wang Junsheng, Denuclearization an inevitable result for DPRK, China.org, 24 febbraio 2016

2 Rinvio a Bertozzi D. A., Scaricabile, anzi indispensabile. Che fare con la Corea del Nord? Cinaforum, 10 dicembre 2014.

3 Liu Zhen, US shouldn’t use North Korea’s actions as an excuse’: China, Russia raise concerns over US missile defence plans, South China Morning Post, 29 aprile 2016.

Cina-Corea popolare: tra disimpegno e alleanza

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Per diversi opinionisti i recenti bombardamenti statunitensi in Siria e Afghanistan non sono solo il segnale di una rinnovata arroganza imperiale, ma una sorta di “avviso” fatto recapitare alla Corea popolare, facendo ventilare l’ipotesi di un attacco militare preventivo, con conseguenze che potrebbero essere disastrose non solo a livello regionale. Centrale, in questo quadro di tensione crescente, è il rapporto tra la Cina popolare e la Corea del Nord, paesi a regime socialista legati dal 1961 da un patto di assistenza militare e politica.

 

Da tempo a Pechino si è aperta una discussione – ormai pubblica – sul rapporto con Pyongyang, con opzioni sul tavolo che giungono persino ad una sorta di totale disimpegno. Resta, tuttavia, il rilevante peso strategico che quest’ultima rappresenta: nel pieno sviluppo di una politica di accerchiamento, se da una parte Pechino preferisce evitare tensioni che giustifichino il rafforzamento della presenza “securitaria” statunitense nella propria periferia, dall’altra non può accettare il collasso del regime guidato da Kim Jong-un ed una conseguente unificazione della penisola coreana con la presenza di truppe e strutture militari statunitensi. L’esempio dell’allargamento della Nato nell’Europa orientale costituisce un precedente preoccupante. Ad oggi permane, quindi, una sorta di “costrizione” alla protezione del Paese confinante.

 

La soluzione ufficiale, quella di una Corea completamente denuclearizzata, rappresenta le fondamenta della recente formula delle “due sospensioni”: la Corea del Nord sospende i test nucleari e missilistici, mentre gli Stati Uniti interrompono le esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud.

Quanto segue è un estratto del libro “Cina. Da sabbia informa a potenza globale” (Imprimatur, 2016) di Diego Angelo Bertozzi.

Un vicino ingombrante: la Corea del Nord

E proprio nei confronti della Repubblica democratica popolare di Corea, Pechino ha dato la sua adesione al pacchetto di sanzioni internazionali (risoluzione 2270 del Consiglio di sicurezza) dopo che il governo del giovane Kim Jong-un aveva lanciato in orbita un satellite spaziale compiendo quello che in molti hanno interpretato come un test missilistico balistico vietato da precedenti risoluzioni Onu. L’appoggio ad un pacchetto assai pesante non significa, tuttavia, che ci sia piena identità di vedute con Washington sulla politica verso il “Regno Eremita”, per quanto Pechino  abbia da tempo dato segnali di preoccupazione nei confronti del vicino, in un crescendo a partire dal ristabilimento nel 1992 delle relazioni diplomatiche con la Corea del Sud.

 

La questione è complessa e nell’analisi della posizione della Cina si deve tenere conto del quadro determinato dal Pivot obamiano e della crescente presenza militare statunitense in Asia orientale. L’aumento della tensione può avere come conseguenza proprio quella di fornire una motivazione per rafforzare progetti militari come lo scudo antimissilistico Usa-Corea del Sud-Giappone (Thaad) che Pechino giudica come una minaccia ravvicinata. Per questo all’indomani dell’adozione unanime della risoluzione sono giunte considerazioni che hanno meglio specificato la scelta effettuata: certo – ha scritto l’ufficiale Global Times – l’opinione pubblica cinese è sempre più stufa dei test nordcoreani, tuttavia le sanzioni a nulla servono se a Pyongyang non viene data una garanzia sulla propria sicurezza, quale potrebbe essere la prospettiva della denuclearizzazione della penisola.[1] C’è poi da aggiungere che la Corea del Nord riveste un ruolo geopolitico che non può essere sottostimato, vale a dire quello di cuscinetto di sicurezza, e che l’eventuale caduta del regime costringerebbe il governo di Pechino a far fronte ad una vera e propria emergenza umanitaria.

 

Una interessante discussione si è svolta già sul finire del 2014 intorno alla indispensabilità o meno di tale “cuscinetto”. Wang Hongguang, ex vice comandante della regione militare di Nanchino, si è pronunciato a chiare lettere contro qualsiasi intervento militare cinese in una eventuale guerra in difesa di Pyongyang o nel caso di crollo: “La Cina non può influenzare la situazione nella penisola coreana (…) La Cina non ha bisogno di accendere un fuoco e bruciarsi. Chi provoca un incendio ne ha la responsabilità. Ora non c’è più un campo socialista. Non è necessario per la generazione più giovane di cinesi combattere una guerra per un altro paese”. Secondo l’ex generale, Pechino dovrebbe seguire un preciso atteggiamento di base assai pragmatico e poco ideologico, riassumibile nell’espressione “sostenere quello che deve essere sostenuto, opporsi a quello che deve essere rifiutato”. Nessun vero e proprio abbandono, quindi, di un alleato sempre più scomodo, ma il suggerimento di una condotta più tiepida e attenta nei suoi confronti. Sul tema di un possibile “abbandono” il tabloid Huanqiu ha ospitato un editoriale più vicino a una posizione da “falchi” pur nella consapevolezza della presenza di un problema di sicurezza nucleare che mina la pace regionale e nei confronti del quale le sanzioni possono essere una misura necessaria. Ma c’è altro: gli equilibri dell’Estremo oriente e, incastonato in essi, l’interesse nazionale. E tutto suggerisce che un eventuale abbandono della Corea del Nord non è nell’interesse della Cina popolare: “la geopolitica non è diventata obsoleta nel campo odierno della politica internazionale” e “l’importanza della posizione strategica acquisita dalla Cina con la guerra di Corea è incommensurabile”. Il quadro di riferimento della riflessione è quello rappresentato dalla rivitalizzazione, da parte degli Stati Uniti, di una serie di alleanze politico-militari e dal progetto, coltivato a Washington e Seul, di “separazione” della Corea del Nord dalla Cina. Una eventualità, quest’ultima, che secondo l’articolo porterebbe gravi danni a entrambi i Paesi. Così chi descrive Pyongyang come “un lupo dagli occhi bianchi” (chi risponde alla gentilezza con ingratitudine) che “merita la propria povertà” viene rimproverato per la mancanza di “mentalità aperta” e di “consapevolezza del quadro generale”.[2]

 

Ad oggi va segnalata la comune posizione espressa da Mosca e Pechino (vertice Cica 2016) che invita gli Stati Uniti a “non usare le azioni di Pyongyang come scusa per aumentare la propria presenza militare nella regione” e alla ripresa del Dialogo a sei per giungere ad una soluzione diplomatica. Non c’è dubbio, le due capitali condividono la stessa preoccupazione sulla propria sicurezza in riferimento ad un progetto di scudo missilistico giudicato sproporzionato rispetto alle esigenze difensive e dall’impatto diretto sulla sicurezza strategica di Cina e Russia. [3]



[1]   Global Times, North Korean sanctions won’t work without security guarantees, 4 marzo 2016 e Wang Junsheng, Denuclearization an inevitable result for DPRK, China.org, 24 febbraio 2016

[2]   Rinvio a Bertozzi D. A., Scaricabile, anzi indispensabile. Che fare con la Corea del Nord? Cinaforum, 10 dicembre 2014.

[3]   Liu Zhen, US shouldn’t use North Korea’s actions as an excuse’: China, Russia raise concerns over US missile defence plans, South China Morning Post, 29 aprile 2016.