India: il più grande sciopero generale della storia

di Paolo Rizzi | da lacittafutura.it

180 milioni di lavoratori scioperano contro Nerandra Modi

2 Settembre 2016, India. Secondo i sindacati è il più grande sciopero generale della storia. 180 milioni di lavoratori del settore pubblico e privato si sono astenuti dal lavoro, secondo il segretario del sindacato All India Trade Union Congress – la più antica confederazione indiana, affiliata al Partito Comunista d’India (CPI). Secondo i giornali filo governativi, gli scioperanti sarebbero stati “solo” 150 milioni.

Lo sciopero è stato proclamato dopo la rottura delle trattative da parte del governo della destra religiosa induista – hindutva, per usare il termine più preciso – guidato dal primo ministro Nerandra Modi. Il punto di rottura è stato il rifiuto del governo di alzare il salario minimo mensile all’equivalente di 280 dollari americani.

Lo sciopero è stato proclamato da dieci delle undici maggiori confederazioni sindacali. Oltre a quelle legate ai partiti comunisti e al Partito del Congresso, hanno scioperato anche i sindacati indipendenti. L’unica grande confederazione a non partecipare è stata, ovviamente, quella legata al BJP, il partito di governo.

Lo sciopero è stato tanto più importante dato che solo il 5% della popolazione lavoratrice indiana aderisce alle organizzazioni sindacali e che più del 90% della forza lavoro è impiegata nel settore informale dell’economia. Sono stati quindi i sindacati del settore pubblico a caricarsi sulle spalle le richieste di tutta la società e organizzare una giornata di lotta che ha visto la partecipazione anche di milioni di lavoratori senza contratto.

In uno stato enormemente complesso come l’India, la partecipazione allo sciopero generale non poteva che essere molto variata. Il blocco quasi totale si è ottenuto negli stati federali dove è storicamente forte la sinistra, come nel Bengala Occidentale o nel Kerala, dove lo sciopero è stato salutato positivamente dal Primo Ministro Vijayan, membro del Partito Comunista Indiano Marxista (CPIM). Adesioni notevoli si sono registrate anche in uno stato federale come il Gujarat, storicamente roccaforte della destra religiosa e stato d’origine del primo ministro indiano Modi.

12 punti contro Modi

I sindacati hanno indetto lo sciopero sulla base di 12 richieste programmatiche che da un anno erano state presentate al governo. Le uniche risposte dell’esecutivo sono state sul salario minimo, molto al di sotto delle richieste dei lavoratori.

I 12 punti dei sindacati sono:

– misure urgenti per contenere l’inflazione attraverso l’universalizzazione del sistema di distribuzione pubblica e il divieto del commercio speculativo delle materie prime;
– contenimento della disoccupazione attraverso misure concrete per la creazione di posti di lavoro;
– attuazione del diritto del lavoro senza eccezioni o esenzioni, misure punitive stringenti per le violazioni;
– copertura universale della previdenza sociale per tutti i lavatori;
– stipendio minimo mensile di 280 dollari con adeguamento all’inflazione;
– pensione minima di 56 dollari mensili per tutti i lavoratori;
– fine dei tagli alle imprese pubbliche;
– fine del caporalato e paga uguale per lavoro uguale;
– rimozione di tutti i massimali di pagamento e l’ammissibilità di bonus, fondo di previdenza; aumentare la soglia della gratuità;
– obbligo di registrare ufficialmente i sindacati entro 45 giorni dalla richiesta, ratifica immediata delle convenzioni della Organizzazione Internazionale del Lavoro C87 e C98;
– fine dei cambiamento al diritto del lavoro a favore delle imprese;
– fine dell’ingresso di capitali esteri nei settori delle ferrovie, delle assicurazioni e della difesa.

Contro il “modello Gujarat”

Dopo essere stato governatore dello stato federale de Gujarat, Nerandra Modi è diventato primo ministro dell’India nel 2014 col programma di applicare all’intero paese le politiche già sperimentate nel suo stato. Un programma che può suonare familiare anche ai lettori italiani: meno tasse alle imprese, meno diritti ai lavoratori e più privatizzazioni. Un programma apparentemente di successo a giudicare dal PIL: ritmi di crescita dal 15 al 20%, più alti della crescita del PIL indiano, tra i più alti del mondo.

I numeri presi da soli, però, non spiegano tutto. Anzi, i comunisti indiani accusano Modi di praticare la “jumlanomics”. Jumla è una parola di origine indiana che indica le affermazioni basate su dati vaghi, se non bugie esplicite. Jumlanomics quindi è l’economia della menzogna, l’economia che – come ha fatto Modi – ridefinisce il calcolo del PIL per dare l’impressione che il paese cresca più di quanto accada nella realtà, l’economia che nasconde la povertà dietro scenografie scintillanti. E ancora – come succede in Gujarat – l’economia che fa numeri basando su sull’estrazione mineraria ed energetica portando la ricchezza della terra all’estero. Non c’è quindi da stupirsi se nel Gujarat di Modi gli indici di sviluppo umano (sanità, istruzione, protezione ambientale) in realtà sono stagnanti o comunque crescono a ritmi molto più bassi di altri stati federali indiani.

Lo sciopero generale in India è stato un evento epocale, passato nel quasi totale disinteresse dell’occidente. Chi pensa che sia finita l’epoca della lotta di classe deve solo guardare un po’ più in là per vedere 180 milioni di lavoratori e lavoratrici in sciopero.