Birmania, un paese dai due volti

di Mouad Salhi | da www.michelcollon.info

birmania monaciTraduzione dal francese di Massimo Marcori per Marx21.it

Pubblichiamo come contributo a una migliore conoscenza dell’attuale complessa situazione nel paese asiatico

E’ un paese tra i più popolati dell’Asia, ma dei più discreti. E’ un paese conosciuto per i suoi templi ancestrali che hanno permesso ad Indiana Jones di brillare. E’ soprattutto un paese che per 40 anni è anche stato sinonimo di passi cadenzati di militari e di repressione degli oppositori: la Birmania. Aung San Suu Kyi, premio Nobel della pace e figura emblematica della resistenza birmana, è la più indicata per affermarlo. Siamo ad un anno dal dissolvimento della giunta che ha lasciato il posto ad un governo civile. E’ in corso il processo democratico? Qual è lo spazio economico di questo paese? Le minoranze etniche sono tutelate? Sono molte le questioni cui deve far fronte il nuovo governo.


La Birmania era dal 1962 sotto il giogo del generale Ne Win, alla testa di una giunta militare. Nel 1988, Aung San Suu Kyi torna a Rangoon al capezzale della madre sofferente. Ella si batte contro questo regime oppressivo e crea con i suoi amici, la Lega nazionale per la democrazia (LND). Il suo impegno, non violento, a favore della creazione di un regime democratico le porta un gran successo tra la popolazione. Nel 1989, questo fervore induce la giunta militare ad assegnare Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari al fine di arrestarne l’influenza. Questo però non impedisce alla LND di conquistare più dell’80% dei seggi alle elezioni del 1990. I militari al potere rifiutano il risultato democratico uscito dalle urne ed aumentano, al contrario, la repressione e le persecuzioni nei confronti della popolazione e delle minoranze etniche. Aung San Suu Kyi, “the Lady” com’è soprannominata dal popolo birmano, ha resistito fino alla sua liberazione nel 2010.

Dalla primavera birmana all’eldorado delle multinazionali

Il mese di marzo del 2011 è segnato in Birmania dalla dissoluzione della giunta. Il governo è restituito ai civili, cosa che non avveniva da più di cinquant’anni. Tuttavia, il presidente, Thein Sein, è un vecchio generale. Quest’ultimo ha moltiplicato le riforme, liberando, tra l’altro, prigionieri politici e soprattutto permettendo l’elezione a deputata dell’oppositrice Aung San Suu Kyi. Come segno d’apertura, il governo in carica ha anzitutto abolito la censura sui media, e soprattutto ha aperto il suo mercato agli investitori stranieri. L’attuale presidente fa dell’economia la sua priorità.

Infatti, il parlamento birmano ha votato il 7 settembre una legge incaricata di favorire l’afflusso di capitali stranieri nel paese. La legge prevede che gli investitori stranieri debbano sborsare almeno cinque milioni di dollari affinché il mercato birmano possa aprirsi a loro e non debbano controllare più del 49% del capitale di una società mista. Con questa legge, il governo punta ad una crescita annuale del 7,7% per cinque anni. Tale piattaforma di investimenti da cinque milioni di dollari ha fatto sobbalzare i conservatori e gli uomini d’affari legati alla vecchia giunta. Essi stimano che il contenuto di questa legge sia troppo liberale e che sfavorisca così le piccole e medie imprese locali.

Questa legge non ha prodotto solo scontenti. Il gruppo petrolifero Total non deve più nascondere la sua collaborazione nella regione. Infatti, il gruppo presente dal 1992 a Rangoon è stato vivamente criticato per il passato, certe ONG gli rimproveravano soprattutto di aver arricchito la giunta che si faceva beffe di molti fondamenti dei diritti dell’uomo. Total ha annunciato il 3 settembre di aver acquisito il 40% dell’esplorazione di idrocarburi al largo della Birmania. E’ il primo grande investimento nel paese dal 1998.

Altre grandi multinazionali si urtano in questo mercato in espansione. In seguito alla rimozione delle sanzioni americane contro il regime birmano, il gigante americano Coca-Cola ad esempio, ha concluso un accordo di distribuzione con un’impresa locale, Pinya Manufacturing. Coca-Cola lavora già per installare una fabbrica d’imbottigliamento con l’accordo di Pinya Manufacturing al fine di lanciare una produzione locale. Il suo concorrente PepsiCo l’ha seguita e ha espresso l’augurio di commercializzare alcuni suoi prodotti sul mercato birmano.

Silenzio si uccide!

Qual è la sorte delle minoranze etniche in questo nuovo paese che si vuole liberare dell’immagine che gli è stata abbinata per più di mezzo secolo? La situazione è delle più caotiche. La minoranza Rohingya musulmana è costretta all’esilio. Si calcola più di 800.000. Durante il governo in cui la giunta era al potere, quest’ultima rifiutava la cittadinanza ai Rohingyas. Essi dovevano avere un permesso per sposarsi o avere più di due figli e dovevano avvisare le autorità se intendevano viaggiare al di fuori dei loro villaggi.

I birmani in maggioranza buddisti non riconoscono questa minoranza musulmana. Una leggenda racconta che questa minoranza discende dagli arabi naufragati sulle coste della Birmania nell’VIII secolo. Questi ultimi si sarebbero dispersi in tutto il Sud-est asiatico. Per la loro lingua, il bengali, lingua parlata nel sud-est del Bangladesh, paese vicino, i Rohingyas sono considerati come immigranti illegali da Rangoon.

Le tensioni sono nate a causa di uno stupro che sarebbe stato commesso su una donna buddista Arakan da tre Rohingyas. Molte persone hanno perso la vita e decine di migliaia hanno perso la casa a causa degli scontri intercomunitari. In seguito a ciò, decine di migliaia di Rohingyas hanno cercato rifugio nei campi di fortuna lungo la frontiera con il Bangladesh. Un recente rapporto dell’ONU ha descritto la minoranza Rohingya come una delle minoranze più perseguitate al mondo.

Aung San Suu Kyi è stranamente silenziosa sulla sorte della minoranza Rohingya nel sud-ovest della Birmania. A giocare la regina del silenzio, si sono messe alcune associazioni per i diritti dell’uomo.

Aung San Suu Kyi è a capo di un comitato incaricato per il primato del diritto, della pace e della sicurezza. Essa deve giocare un ruolo attivo quanto alla riconciliazione di queste due comunità. Maung Zami, ricercatore ed esperto di Birmania ha dichiarato: “Politicamente, Aung San Suu Kyi non ha assolutamente nulla da guadagnare per discutere di questi problemi”. Egli aggiunge: “Non è più una dissidente politica per tentare di attenersi a questi principi. E’ una politica e i suoi occhi sono fissati sull’obiettivo, che sono le elezioni legislative del 2015, la maggioranza della popolazione è buddista”. La causa Rohingya è molto impopolare in seno alla popolazione birmana, la grande maggioranza della popolazione è buddista e considera i Rohingya come clandestini venuti dal Bangladesh.

Recentemente, Aung San Suu Kyi ha ricevuto la più alta onorificenza rilasciata dal Congresso americano in occasione di una grande cerimonia avvenuta nella rotonda del Campidoglio di Washington. Ella ha dichiarato che il suo paese poteva “andare avanti unito ed in pace”. Ed ha anche aggiunto: “Potremo superare gli ostacoli con l’aiuto e il sostegno dei nostri amici”. Manterrà le sue promesse? L’avvenire lo dirà.